A che punto è la riforma della polizia negli Stati Uniti

Nel 2023 le forze dell’ordine americane hanno già ucciso 110 persone, soprattutto afroamericane. La società civile torna a chiedere una riforma della polizia.

Il primo febbraio scorso Anthony Lowe, 36 anni, è stato ucciso dalla polizia nei sobborghi di Los Angeles, negli Stati Uniti. L’uomo era su un marciapiede con un coltello in mano, ma non costituiva in alcun modo un pericolo per gli agenti: con entrambe le gambe amputate e la sedia a rotelle di fianco a lui, Lowe si trovava per terra e anzi, secondo le riprese fatte con un cellulare stava cercando di scappare strisciando. La sua famiglia ha chiesto giustizia e non si dà pace per l’accaduto. Una disperazione che la accomuna a tante altre famiglie americane. Solo nei primi 40 giorni del 2023 sono 110 le persone uccise negli Stati Uniti per mano della polizia. Esecuzioni spesso brutali, che hanno portato le persone in piazza a manifestare come era avvenuto in seguito all’omicidio di George Floyd e la mobilitazione di Black lives matter. Proteste mosse da un obiettivo comune, lo stesso di allora: arrivare a una riforma della polizia Usa che sulla carta già c’è, ma che non si riesce ad approvare in via definitiva per le spaccature in Senato.

La violenza della polizia statunitense

Sono ormai passati 33 anni da quando un tassista nero di nome Rodney King veniva prima inseguito e poi picchiato selvaggiamente da tre agenti a Los Angeles. La scena venne ripresa e fece il giro del paese, traducendosi in una settimana di violente rivolte che lasciarono sul terreno 64 morti e migliaia di feriti. Una tragedia che mise però sotto ai riflettori gli abusi di potere della polizia statunitense e che si tradusse anche in una delle prime condanne, seppur esigue, nei confronti di agenti a causa del loro operato. Si credeva potesse essere l’inizio di una piccola rivoluzione socio-culturale, ma non è stato così.

Black Lives Matter
Un corteo di Black Lives Matter per la riforma della polizia Usa © Michael Nigro/Pacific Press/LightRocket via Getty Images

Oltre 30mila persone sono morte a causa della violenza della polizia negli Stati Uniti tra il 1980 e il 2018, secondo la rivista The Lancet. Solo nel 2022 sono state uccise dagli agenti americani 1.176 persone, una media di quasi 100 persone al mese: il dato più alto da quando viene tenuta questa statistica. E il 2023 è iniziato esattamente com’era finito l’anno precedente.

Quando il 3 gennaio è morto nelle mani della polizia Keenan Anderson, cugino di una delle fondatrici del movimento Black lives matter, si trattava già del terzo decesso di questo tipo nella città californiana in soli tre giorni. In 40 giorni in morti in tutti gli Stati Uniti sono 110. E oggi come ai tempi di Rodney King la componente razziale continua a farla da padrone. Nel 2022 nel 25 per cento dei casi a morire nelle mani della polizia sono stati afroamericani, nonostante costituiscano solo il 12 per cento della popolazione.

Le proteste dopo la morte di George Floyd

A fine gennaio negli Stati Uniti sono stati diffusi i video della body camera degli agenti coinvolti nella morte di Tyre Nichols. Il 29enne è stato preso a calci, pugni e taser a Memphis fino al decesso e i cinque agenti coinvolti sono stati arrestati e rimossi dalla polizia. La condanna è stata unanime, il presidente Joe Biden ha parlato di “un’altra dolorosa testimonianza di quello che gli afroamericani provano ogni singolo giorno”.

Migliaia di persone nelle principali città americane sono scese in piazza per protestare contro l’uccisione di Nichols ed è sembrato di tornare indietro al 2020. Il 25 maggio di quell’anno l’agente Derek Chauvin uccise l’afroamericano George Floyd a Minneapolis, schiacciandogli il collo con il ginocchio. Fu l’inizio di profonde manifestazioni, le più massicce negli Usa per quanto riguarda la violenza istituzionale razzista, che si estesero poi in tutto il mondo. Catalizzatore delle proteste fu il movimento Black lives matter, nato nel 2013 ma che proprio nel 2020 si è affermato come una realtà ben consolidata, per quanto decentralizzata, nella denuncia degli abusi di potere e del razzismo sistemico.

Le proteste sono andate avanti a lungo, in molti casi sono state soppresse con la violenza e hanno avuto la capacità di mobilitare milioni di persone e di esercitare una pressione importante sulla società civile e la politica. L’obiettivo è sempre stato lo stesso fin dall’inizio: arrivare a una riforma della polizia che limitasse la facoltà di uccidere degli agenti e di uscirne con le mani pulite a livello giudiziario. La stessa richiesta che è stata urlata nei cortei e nei presidi delle ultime settimane dopo la morte di Tyre Nichols.

Qualcosa è effettivamente cambiato soprattutto nelle legislazioni locali dopo l’omicidio di George Floyd: le body cam montate sulla divisa degli agenti per verificare il loro operato è stata sdoganata, così come è stata incrementata l’assunzione di agenti afroamericani per cercare di limitare quel razzismo che va solitamente a braccetto con gli abusi di potere. Il fatto che a uccidere l’afroamericano Tyre Nichols siano stati agenti neri però ha rimescolato le carte.

“Il sistema e la cultura della polizia plasmano la mente degli agenti spingendoli ad agire in un certo modo, e questo a prescindere dal colore della loro pelle”, ha spiegato Jeanelle Austin, direttrice del George Floyd global memorial in Minnesota, secondo cui per cambiare le cose serve focalizzarsi sull’istituzione e non sulle singole persone. Un appello per una grande riforma federale della polizia statunitense che sulla carta in realtà esiste già, ma che si è persa nei cassetti del parlamento a causa dello scontro politico.

La riforma federale della polizia

La riforma della polizia statunitense ha un nome ben preciso: George Floyd justice in policing act. La legge federale è stata scritta ed è arrivata in parlamento poche settimane dopo l’uccisione di George Floyd a Minneapolis. L’obiettivo principale della normativa è modificare il modus operandi delle forze di polizia statunitense, escludendo alcune pratiche ritenute particolarmente violente e aumentando la sfera di responsabilità degli agenti in caso di violazione del codice di condotta. Dopo quasi tre anni il testo deve però ancora essere approvato.

George Floyd Justice in Policing Act
Un evento sulla riforma di polizia Usa, il George Floyd Justice in Policing Act ©
Alex Wong/Getty Images

Cosa prevede la riforma della polizia americana, le principali disposizioni del George Floyd justice in policing act:

  • stop alla pratica di immobilizzare i sospettati con il ginocchio sul collo o comunque schiacciando l’area della carotide;
  • restringere la pratica del no-knock warrants, cioè i mandati di perquisizione che consentono agli agenti di entrare in casa senza preavviso;
  • creazione di un registro nazionale dei poliziotti che tengono comportamenti problematici;
  • restrizione del principio della qualified immunity, che dà alle forze dell’ordine immunità dalle cause civili se il comportamento tenuto è considerato in buona fede;
  • installazione più massiccia di videocamere sulle automobili e sul corpo degli agenti;
  • predisposizione di corsi in questura contro la discriminazione razziale e il racial profiling;
  • modificare la soglia per l’uso della forza da parte degli agenti: non più davanti a una situazione ragionevole ma solo se necessario per prevenire una situazione che possa portare a morte o grave ferimento;
  • modificare la soglia per l’uso letale della forza da parte degli agenti, solo come ultima istanza dopo aver provato altre modalità di intervento.

Uno degli aspetti su cui insiste il testo della riforma è quello dei finanziamenti alla polizia. Il rispetto dei punti sopra enunciati viene più volte ribadito come condizione necessaria per continuare a ricevere i fondi a livello federale e locale, questo mentre negli ultimi anni i dipartimenti hanno già subito dei tagli. Proprio quello che voleva il movimento Black Lives Matter, che attraverso lo slogan defund the police (togli i fondi alla polizia) chiede che una parte delle risorse destinate alla polizia siano trasferite a servizi sociali inerenti le marginalità, anche come deterrente agli interventi violenti degli agenti in questo ambito.

Lo scontro politico sulla riforma

Il George Floyd Justice in Policing Act è stato approvato dalla Camera statunitense una prima volta nel giugno 2020, poi nel marzo 2021. A oggi però non ha ancora superato lo scoglio del Senato e dunque a due anni e mezzo dall’arrivo in parlamento di un testo per riformare la polizia Usa, la polizia Usa non è stata ancora riformata, quanto meno a livello federale.

Un corteo di Black Lives Matter per la riforma della polizia Usa
Un corteo di Black Lives Matter per la riforma della polizia Usa © Samuel Corum/Getty Images

Il facile passaggio dalla Camera è stato dovuto al fatto che ai tempi la maggioranza era nelle mani del Partito democratico. In Senato la situazione è diversa e lo scontro politico che si è acceso su alcuni punti della legge ha reso finora impossibile andare avanti. La parte più contestata dal Partito Repubblicano è quella sulla qualified immunity, con cui si vorrebbe togliere parte dell’immunità civile agli agenti di polizia coinvolti in situazioni problematiche. Per i Repubblicani costituirebbe una profonda limitazione dell’attività delle forze dell’ordine, con conseguenze negative sulla tutela della sicurezza. Democratici e Repubblicani hanno discusso e negoziato a lungo su questo punto, i primi con i parlamentari Karen Bass e Cory Booker, i secondi con il senatore Tim Scott, ma a settembre 2021 è venuta meno ogni possibilità di convergenza e la riforma è finita nel cassetto.

Dopo la morte di Tyre Nichols nel gennaio 2023 si è tornati a parlare dell’urgenza di approvare il George Floyd justice in policing act. La deputata democratica Sheila Jackson Lee ha annunciato che il testo tornerà alla Camera e sarà arricchito da una nuova disposizione che impone agli agenti di polizia di intervenire quando un loro collega mantiene un comportamento problematico su un sospettato. Nel frattempo però la composizione della Camera è cambiata, i Repubblicani ora detengono la maggioranza. È probabile quindi che il testo, a differenza del passato, non passi più nemmeno il primo scoglio parlamentare. Ecco perché una riforma federale della polizia americana oggi sembra più lontana che mai.

Le leggi statali e locali

Le rivendicazioni di Black lives matter a seguito della morte di George Floyd non sono comunque cadute nel vuoto. Per quanto il parlamento non abbia ancora approvato la riforma federale della polizia, a livello statale e locale da giugno 2020 si sono moltiplicati i provvedimenti che hanno modificato i codici di condotta delle forze dell’ordine.

A un anno di distanza dall’omicidio Floyd, oltre 30 stati americani avevano già approvato circa 140 norme. E questo trend è proseguito anche nei mesi successivi. Gli interventi hanno spesso replicato alcuni dei punti del George Floyd Justice in Policing Act, come l’obbligo per gli agenti di dotarsi di bodycam e videocamere sul cruscotto dell’automobile, la limitazione della loro immunità e il restringimento dei casi in cui poter usare la forza. In Indiana per esempio nel 2021 è stata approvata una legge statale che proibisce la mossa del ginocchio sul collo, quella resa tristemente famosa proprio con la morte di Floyd, mentre una legge del 2022 ha imposto la presenza di persone appartenenti alle minoranze nei corsi di aggiornamento per il personale di polizia. Il Colorado invece è stato il primo Stato americano dopo l’omicidio Floyd a eliminare l’immunità per le cause civili degli agenti, seguito poi a stretto giro da Stati come il New Mexico, il Massachusetts e il Connecticut.

Un corteo di Black Lives Matter per la riforma della polizia Usa
Un corteo di Black Lives Matter per la riforma della polizia Usa © Scott Olson/Getty Images

Iniziative bipartisan, sicuramente maggioritarie negli stati guidati dal Partito Democratico, ma che si sono imposte anche lì dove i governatori sono Repubblicani. A fine settembre 2022 le leggi di riforma della polizia approvate negli Stati Uniti a livello locale post-George Floyd sono diventate circa 4.500. In alcuni casi però lo scontro politico durante e dopo l’approvazione delle riforme ha portato a fare dei passi indietro. È il caso dello stato di Washington, che nel 2020 ha limitato l’uso della forza da parte degli agenti di polizia, ma nel 2022 ha fatto in parte dietrofront dopo la strumentalizzazione politica di alcuni episodi di criminalità.

Nei due anni e mezzo successivi alla morte di George Floyd gli stati americani non sono in ogni caso stati a guardare l’immobilismo del parlamento e hanno iniziato in modo autonomo propri percorso riformisti. “I legislatori statali si sono resi conto di avere un ruolo un ruolo importante nell’aumentare la responsabilità della polizia e nel costruire la fiducia della società civile verso di essa”, ha spiegato Walter Katz del Council on Criminal Justice. Un attivismo molto importante perché ha dato il via al cambiamento, ma non sufficiente perché ha creato un contesto frammentato che rende difficile una rivoluzione socio-culturale più ampia sul tema degli abusi di potere. I tragici bilanci di morti e violenze per mano della polizia Usa che ci hanno restituito il 2022 e le prime settimane del 2023 sono la prova che c’è ancora molta strada da fare. Una riforma federale della polizia sarebbe un tassello importante in questo senso.

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