In Piemonte, a pochi chilometri dal confine francese, la Valle Maira offre tutto ciò che chi ama l’autenticità dei territori montani cerca.
La fase due della montagna. I rifugisti della val Seriana, la più colpita, hanno voglia di ripartire
Come sarà l’estate per gli appassionati di montagna? Potranno frequentare in sicurezza sentieri e rifugi? Lo abbiamo chiesto ai gestori di tre rifugi della Val Seriana, la zona più colpita dal virus e territorio montano di grande bellezza.
“Le montagne sanno aspettare”, recita la campagna che il Cai, Club alpino italiano, ha lanciato a inizio emergenza coronavirus per “convincere” gli oltre 300mila soci a non frequentare le montagne durante la Fase 1 del confinamento appena terminata. Se prima però era chiaro cosa non era consentito fare, ora, con l’ultimo Dpcm del 26 aprile 2020, nemmeno gli alti vertici del Cai sanno cosa dire ai propri associati e, quel che è peggio, ai rifugisti sparsi per il paese. Noi abbiamo chiesto quale sia la situazione e le informazioni ricevute ai gestori di tre rifugi nella zona più colpita dal coronavirus, che è anche una perla delle Orobie bergamasche, la val Seriana.
Dal 4 maggio la ripartenza, ma gli escursionisti possono farlo?
Il presidente del Cai, Vincenzo Torti ha scritto pochi giorni fa al presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte per avere chiarimenti urgenti per una corretta applicazione dell’ultimo Dpcm che darà inizio alla cosiddetta fase 2. Questi i fatti. Quindi, tutti gli escursionisti italiani non sanno attualmente come comportarsi in montagna. Le questioni da dirimere sono tutt’altro che sottigliezze: il trekking è un’attività ludico ricreativa, quindi non consentita, o un’attività sportiva o motoria che dunque ha il via libera? E i rifugi possano annoverarsi tra le attività cui è permessa la ristorazione con asporto? Questi i maggiori dubbi, ma non i soli.
Insieme alla necessità di ottenere queste risposte, la massima carica del club, in diretta su Gr1 Rai il 1 maggio, ha lanciato un appello: “Le montagne hanno bisogno di noi. Tutti i sentieri sono abbandonati ormai da quasi due mesi”. Troppi, specie con il rifiorire della natura. Nessuno li ha più curati. Il dubbio è se tornare a frequentare la montagna sia davvero a norma di legge o no. Ora i territori di montagna hanno bisogno, come tutto il paese, di riprendere vita concretamente ed economicamente: ripercorrere i sentieri significherebbe infatti dare effettivo sostentamento alle realtà commerciali connesse a queste zone e regalare agli appassionati l’occasione di svagarsi dopo molte settimane di forzata inattività.
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I rifugi della val Seriana desiderano riaprire, in sicurezza
Una delle zone più colpite in Italia dal coronavirus è la val Seriana. Prima di essere tristemente nota per l’enorme numero di vittime dovute alla pandemia era soprattutto un paradiso per escursionisti e amanti della montagna. Un luogo lontano dai circuiti modaioli, che negli ultimi anni ha però visto aumentare notevolmente il suo turismo, capace di offrire tranquillità, sentieri e scorci meravigliosi adatti a tutti. Qui siamo tornati per chiedere a tre gestori di altrettanti noti rifugi, quale sia al momento la situazione e quali le prospettive nell’immediato futuro, quello estivo che per la gente di qui è anche il più importante che dà linfa all’economia locale.
Rifugio Baita Cassinelli
È un luogo molto conosciuto in valle e si trova ai piedi della Regina delle Orobie, la Presolana, a 1.568 metri s.l.m. Di proprietà del comune di Castione della Presolana, il Rifugio Baita Cassinelli è gestita da quattro anni da Claudio Trentani con cui abbiamo parlato. “Siamo sotto i riflettori, ogni giorno si sente parlare dei rifugi. Ma siamo oltre 300 strutture in tutta Italia e occorre tener conto prima di tutto che ognuna ha una storia a sé. Noi riceviamo costantemente informazioni dal Cai centrale, quasi ogni giorno facciamo riunioni in videoconferenza.
A mio parere sarebbe importante che ognuno di noi, con il suo comune, decidesse la propria apertura (i rifugi infatti non sono di proprietà del Cai ma delle sottosezioni comunali a cui appartengono) anche perché abbiamo esigenze e servizi diversi: per esempio alcuni hanno l’acqua, altri no, qualcuno la corrente, altri solo i pannelli solari. Il rifugista dovrebbe parlare con la sua sezione e poi la sezione con l’ente igienico sanitario preposto e il comune. A oggi c’è molta confusione: c’è chi dice che forse dovremmo sanificare, chi che addirittura non apriremo mai”.
“La proposta che ha fatto notizia in merito alla possibilità di dare il via alle tende, io la vedo difficilissima: può andar bene per gli alpinisti, ma se apri a loro, qui arriverà il mondo. Con inevitabili problemi di sicurezza, quelli legati al territorio e ai pericoli della montagna, ai quali vanno aggiunti quelli sanitari. Da alcuni anni la montagna è diventata un fenomeno di massa, tutti la frequentano e facevamo già fatica ad accontentare tutti. Non siamo pronti, la montagna non è fatta per la massa.
Quindi non si può aprire a tutti. E se lo si fa, occorre far rispettare le distanze. Se anche riuscissimo ad aprire insieme a bar e ristoranti, è necessario però che anche i sentieri lo siano. Di certo modificheremo la nostra offerta di ristorazione che sarà più veloce e snella, con take away e materiale compostabile che poi deve essere riportato al rifugio. Comunque, è ancora tutto da decidere. Noi siamo fiduciosi. La valle ne ha bisogno, di fiducia e ottimismo”.
La valle ne ha bisogno, di fiducia e ottimismo.Claudio Trentani, gestore rifugio Baita Cassinelli
Rifugio Rino Olmo
Elia Iseni è il gestore del rifugio Rino Olmo solo da un anno: “La scorsa è stata una stagione ottima, ero molto contento, ora, con questa situazione, è tutto incerto”. Il Rino Olmo si trova nel comune di Castione della Presolana, in alta val Seriana a 1.819 metri s.l.m. “Non abbiamo ancora alcuna notizia certa, il Cai non può darcela perché nemmeno loro ne sanno di più. Noi solitamente siamo aperti tutto l’anno, ma a inizio marzo abbiamo dovuto chiudere perché è arrivata la neve. Da lì a una settimana comunque sarebbe arrivato lo stop dal Governo. Nonostante i sentieri siano stati “abbandonati” da allora, nella nostra valle sono a posto direi, quindi da quel punto di vista siamo tranquilli. Siamo pronti.
La gente qui è molto scossa, non c’è dubbio, ma ha anche voglia di ripartire. Elia Iseni, gestore rifugio Rino Olmo
Dobbiamo però capire quali servizi possiamo offrire: nel mio rifugio c’è molto spazio anche fuori, quindi se il meteo è bello, la gente potrebbe fare una sorta di take away e mangiare in esterno, sul prato o sui tavoli. All’interno ci sono solo tavolate ampie, e quindi potremmo con il distanziamento ospitare solo 5 o 6 persone. Per il pernottamento sarà ancora più ardua: all’Olmo esiste una sola camerata con 18 posti. Tutto è in comune. Si parla di tutto, ma di niente allo stesso tempo. Attendiamo le linee guida. Da parte dello Stato abbiamo, come tutte le partite Iva, il contributo di 600 euro, mentre il Cai, nel mio caso quello della sezione di Clusone al quale apparteniamo, ci ha concesso un dimezzamento dell’affitto per venirci in aiuto. La gente qui è molto scossa, non c’è dubbio, ma ha anche voglia di ripartire”.
Rifugio Mario Merelli al Coca
Il rifugio Mario Merelli al Coca a quota 1.891 metri è costruito in uno degli angoli più suggestivi e selvaggi delle Orobie: siamo vicino alla località nota come “Conca dei giganti“, dove svettano tutte le maggiori elevazioni del gruppo. Una coppia con due bimbi lo gestisce, noi abbiamo parlato con Silvana Rodigari: “In realtà non ne sappiamo più degli appassionati: il governo non ci ha ancora dato informazioni certe. Supponiamo di dover seguire i protocolli che daranno a hotel e ristoranti, ma sono solo deduzioni nostre. Pare che il Cai ci doterà di un ozonizzatore per sanificare gli ambienti e, per quanto riguarda il servizio ristorante e il pernottamento, per il primo l’unica via è il take away – senza diventare un McDonald’s si spera – mentre per garantire i posti letto in sicurezza stiamo pensando di dedicare le stanze a gruppi famigliari già precostituiti. Ma è ancora tutto da vedere.
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“L’idea delle tende da noi è davvero improbabile, perché è un luogo particolarmente impervio, ma credo anche altrove: mettiamo il caso che il rifugio sia pieno e ci sia un temporale, noi dobbiamo comunque avere la possibilità di accogliere in caso di pericolo chi è in tenda, ma in questo modo creeremmo sovraffollamento, quindi, come fare? Non è semplice. Non posso lasciare un escursionista sotto il temporale, un rifugio deve continuare a essere tale. La gente di qui non vede l’ora di tornare a camminare in montagna, anche se deve ancora superare del tutto la paura. Per noi sarà un lavoro diverso e un’incognita per molti aspetti: abbiamo perso i tanti clienti stranieri, ora vedremo cosa succederà, se gli italiani e i lombardi verranno. Di certo c’è, nonostante tutto, che noi rifugisti abbiamo tutti voglia di riaprire.”
Poche certezze quindi. Sia il Cai che i rifugisti di tutta Italia attendono chiarimenti per preparasi al meglio e in sicurezza alla riapertura, necessaria per l’economia, per il territorio e per il morale.
Quello che di certo c’è, nonostante tutto, è che noi rifugisti abbiamo tutti voglia di riaprire.Silvana Rodigari, gestore rifugio Mario Merelli al Coca
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