Mancano 3.700 GW per centrare l’obiettivo di triplicare le rinnovabili, secondo Ember. Ma ora c’è chi teme un rallentamento della crescita solare dopo anni.
Rigassificatore, come funziona e perché alcuni non lo vogliono
Il rigassificatore è un impianto capace di trasformare il gas naturale liquefatto (Gnl) in gas. In Italia ce ne sono tre, ma la questione è dibattuta.
Tra gli argomenti più caldi, soprattutto durante la campagna elettorale per le politiche del 25 settembre che ha visto insediarsi il governo guidato da Giorga Meloni, c’è stato il tema rigassificatore. Il rigassificatore è un impianto capace di trasformare il gas naturale liquefatto (Gnl) in gas.
Si tratta di un tema centrale per l’Italia vista la crisi energetica scatenata dalla guerra russo-ucraina. Per poter diventare completamente autosufficienti, l’Italia ha deciso di puntare su nuove strategie, tra cui rientrano anche i rigassificatori.
- Come funziona un rigassificatore?
- Quanti impianti di rigassificazione ci sono in Italia?
- Cosa cambia con i rigassificatori di Piombino e Ravenna
- Quanto gnl intende importare l’Italia
- L’invito a eliminare gradualmente il gas per passare alle rinnovabili
- I rigassificatori sono compatibili con la decarbonizzazione?
Come funziona un rigassificatore?
Il processo di riconversione del Gnl in stato gassoso si articola in diverse fasi: il gas liquefatto viene trasportato nelle navi a una temperatura di -162 gradi centigradi, necessaria per garantirne lo stato liquido, e poi viene riconvertito in gas tramite un processo di riscaldamento controllato, effettuato all’interno di un vaporizzatore.
Il riscaldamento avviene facendo passare il gas naturale liquefatto all’interno di tubi immersi in acqua marina, che hanno una temperatura più alta. È per questo motivo che gli impianti si trovano sulla costa o in mare a poca distanza dalla costa (in quest’ultimo caso si parla di piattaforme offshore).
Quanti impianti di rigassificazione ci sono in Italia?
Al momento, nel nostro paese, ce ne sono tre:
- in Liguria c’è l’impianto di Panigaglia, località del Golfo della Spezia nel territorio del comune di Porto Venere. Costruito intorno tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, è gestito dalla Snam. Ha una capacità massima di 3,5 miliardi di metri cubi all’anno;
- il Terminale GNL Adriatico (noto in precedenza anche come Isola di Porto Levante) è un’isola artificiale che funziona da rigassificatore, collocata circa 15 km al largo di Porto Levante, frazione di Porto Viro, in provincia di Rovigo. È gestito da una joint venture costituita al 70 per cento da ExxonMobil, al 23 per cento da Qatar Petroleum e al 7 per cento da Snam, con una capacità di 8 miliardi di metri cubi l’anno.
- Infine, il terminale galleggiante del rigassificatore “FSRU Toscana”, al largo di Livorno, con una portata attuale di 3,75 miliardi di metri cubi, e che ha ottenuto l’autorizzazione per aumentare a 5 miliardi.
Cosa cambia con i rigassificatori di Piombino e Ravenna
Nell’ultimo anno sono stati autorizzati due progetti di rigassificatori, uno a Piombino e l’altro a Ravenna. Per quest’ultimo, Snam ha acquistato la nave di stoccaggio e rigassificazione Bw Singapore, che ha una capacità rigassificazione di circa 5 miliardi di metri cubi. La nave verrà posizionata nell’Alto Adriatico, a 8,5 chilometri dalla costa di Ravenna e dovrebbe entrare in funzione alla fine del 2024.
Molto più contestato il rigassificatore di Piombino. Qui, la mobilitazione di cittadini (tra cui spicca anche il primo cittadino, il sindaco Francesco Ferrari di Fratelli d’Italia, stesso partito che guida il governo) ha rallentato l’iter per ottenere pratiche e autorizzazioni. Nonostante questa opposizione, il Tar ha bocciato il ricorso del sindaco e in primavera i lavori si sono sbloccati. A inizio maggio è iniziata la fase di test del rigassificatore ma ancora mancano i documenti autorizzativi (in particolare l’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale) dal ministero perché l’impianto entri regolarmente in funzione.
L’impianto della Snam avrà una capacità complessiva di trattamento pari a 5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Una quantità in grado di coprire il 7 per cento dell’intero fabbisogno di gnl, proveniente per intero da Eni che controlla anche il 50 per cento dell’impianto di liquefazione di Damietta, in Egitto, dal quale arriveranno i rifornimenti.
Quanto gnl intende importare l’Italia
Con i due nuovi rigassificatori, il gas naturale liquefatto potrà coprire circa un terzo del fabbisogno annuo dell’Italia. 10 miliardi di gnl, infatti, proveranno da Ravenna e Piombino: considerando che nel 2022 il fabbisogno annuale di gas dell’Italia è stato di 68,6 miliardi di metri cubi, i due impianti di rigassifficazione da soli peserebbero per il 14,6 per cento, portando il peso complessivo del gnl a oltre il 35 per cento delle importazioni. L’Italia compra gas liquefatto, principalmente da Qatar, Algeria, Stati Uniti, Trinidad e Tobago, Nigeria e Norvegia. Nei primi tre mesi del 2023, il gnl rappresentava il 25,8 per cento delle importazioni di gas dell’Italia. L’Italia, poi, ha sottoscritto contratti per l’acquisto di gnl da Mozambico, Congo e Angola.
Inoltre, dopo quasi 40 anni di inattività, a luglio è tornato attivo un giacimento di gas in provincia di Bologna. Si trova nel cuore della Pianura Padana, per la precisione a Selva Malvezzi, comune di Budrio. Era di proprietà dell’Eni ed è fermo dal 1984: a ottenere le autorizzazioni per le trivelle sono due società straniere, l’australiana Po Valley Energy e la britannica Prospex. La produzione, tuttavia, sarà piuttosto bassa: circa 150mila metri cubi al giorno, ma che in base ai contratti di vendita sottoscritti dalle due società, potrebbero scendere a 70mila.
L’invito a eliminare gradualmente il gas per passare alle rinnovabili
Una goccia di gas se si pensa che la domanda italiana si attesta intorno ai 70 miliardi di metri cubi. Ma un piccolo segnale che l’Italia intende puntare ancora su questo combustibile fossile, tanto che il governo Draghi, e poi il governo Meloni, hanno sostenuto l’idea di trasformare l’Italia in un hub di smistamento del gas provenienti dall’Africa verso il resto d’Europa.
È in questa strategia che si inseriscono i rigassificatori. Eppure, non tutti sono d’accordo con questa visione. “La prospettiva energetica dell’Italia non tiene conto dell’impatto delle dinamiche di mercato, della reale fattibilità e convenienza di ulteriori infrastrutture e dell’impatto di un’espansione di fonti fossili rispetto agli obiettivi climatici”, commenta il think tank Ecco Climate. Secondo l’organizzazione, rendere l’Italia un hub del gas significherebbe rafforzare l’infrastruttura di trasporto tra Algeria e Italia, aumentare fino a raddoppiare la capacità del Tap (il gasdotto lungo la costa adriatica) e prevedere altri due rigassificatori fissi oltre a quelli galleggianti già previsti a Ravenna e Piombino. Un piano che prevede inoltre di raddoppiare la produzione nazionale di gas nel mar Adriatico e più in generale nel Mediterraneo.
I rigassificatori sono compatibili con la decarbonizzazione?
Una prospettiva che si scontra con i principali scenari di decarbonizzazione. A riprova di questo è lo scenario fornito dall’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), che mostra una domanda globale di energia in calo del 23 per cento nel 2050 rispetto al 2021. Con essa, l’offerta di gas si ridurrebbe del 90 per cento. In Europa, in particolare, l’impatto del RepowerEU, il piano di transizione adottato dalla Commissione europea, determinerebbe una riduzione della domanda di gas intorno al 40 per cento nel 2030.
A dirlo sono le stesse compagnie che operano storicamente nei fossili. L’ultimo rapporto della Bp (British Petroleum), per esempio, scrive: “Una combinazione di aumento più rapido dell’efficienza energetica, rapida crescita dell’energia rinnovabile, eolica e solare, e la crescente elettrificazione del consumo finale di energia significa che la domanda dell’Ue nel 2030 sarà inferiore di circa il 50 per cento rispetto ai livelli del 2019. Questa domanda è superiore alla perdita delle importazioni di gas dai gasdotti russi, il che implica che il livello di importazioni di gnl necessario per soddisfare il consumo interno di gas dell’Ue nel 2030 è inferiore a quello del 2019”.
Insomma, si consuma sempre meno gas e si installano sempre più fonti rinnovabili. Il rischio è che puntare ancora su infrastrutture costose e che puntano su superate modalità di produrre energia, alla lunga allontani il nostro Paese dalle reali necessità dei cittadini e dei loro consumi. Una giustificazione mossa da chi sostiene lo sviluppo della rete del gas è che in futuro, nelle stesse condotte, scorreranno milioni di metri cubi di idrogeno. “È molto probabile che gli elettrolizzatori necessari per la produzione di idrogeno saranno distribuiti all’interno di un sistema logistico radicalmente diverso da quello attuale del gas”, è la replica di Ecco. Che conclude: “Le evidenze sono molte. Rendere l’Italia e il Mediterraneo un hub del gas è antieconomico e controproducente sotto tutti i punti di vista. Al contrario trasformare l’Italia un hub verde puntando su energia rinnovabile, reti elettriche, batterie, efficienza energetica, materiali critici, oltre alla messa in sicurezza dei sistemi idrici e alimentari, potrebbe costituire le fondamenta di un nuovo ambizioso Piano Mattei, capace di costruire un futuro ambizioso e sostenibile per l’Italia e per l’Europa”.
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