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Il “fascino” del collasso, per una ripartenza sostenibile
Questo periodo storico è l’opportunità per una ripartenza più sostenibile. Troviamo il coraggio di abbandonare i sistemi produttivi obsoleti in favore di una nuova economia.
Un virus minuscolo ha spiegato al mondo una cosa semplice in maniera molto più efficace di quanto abbiano fatto negli ultimi 20 anni migliaia di attivisti, scienziati e ambientalisti – tra cui il sottoscritto.
Il coronavirus ci ha messo di fronte a una realtà di fatto ben conosciuta ma spesso ignorata: la nostra società non è assolutamente preparata a minacce sistemiche, capaci cioè di mettere in crisi “l’intero sistema” e non una sua piccola parte (una singola regione, una singola filiera produttiva).
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Lo sa bene chi da decenni si occupa di cambiamenti climatici: i suoi effetti sulla nostra vita non si limiteranno a disagi limitati nello spazio e nel tempo, e soprattutto non si limiteranno a conseguenze facilmente prevedibili.
Un esempio? A causa dei cambiamenti climatici di colpo potremmo trovarci a non poter utilizzare infrastrutture che diamo per scontate (treni, strade, ponti ecc.) semplicemente perché non sono progettate per funzionare con temperature così alte o con precipitazioni e venti così forti come quelli a cui stiamo assistendo da qualche anno. Senza infrastrutture scopriremmo velocemente che tutto il nostro sistema di consumo è basato sui trasporti: dal cibo alla maggioranza dei prodotti che usiamo.
Dove investire le nuove risorse economiche?
Ma torniamo al punto centrale: non siamo preparati a crisi sistemiche e purtroppo se non affrontiamo immediatamente i cambiamenti climatici ne dovremo affrontare parecchie nei prossimi decenni. Saranno crisi ben più gravi della Covid-19: i costi del riscaldamento globale si stimano 60 volte superiori. Nelle discussioni sulla ripartenza di oggi ho sentito parlare molto del “come” recuperare tutte le risorse economiche che ci servono. È legittimo, se ci indebitiamo dobbiamo capire con chi e a quali condizioni. A me sembrerebbe però ragionevole dedicare molto più tempo a parlare del “dove” andare a investirle, essenzialmente per due motivi:
- le risorse investite per ripartire post coronavirus saranno ingenti. Dopo averle spese sarà difficile trovarne altrettante per dare aiuti o sterzate al sistema economico. E in ogni caso sarebbe troppo tardi per agire: abbiamo dieci anni per renderci più resilienti al riscaldamento globale e si tratta di transizioni lente e faticose. Quindi dobbiamo esser consapevoli che o ripartiamo su una base sostenibile o ripartiamo giusto per andare a sbattere contro un muro in un futuro molto vicino;
- le risorse investite nei prossimi mesi sono limitate e quindi è obbligatorio scegliere quali settori aiutare e come aiutarli.
Come affrontare la ripartenza in modo innovativo
Quindi? Forse non è delicato dirlo in modo così diretto in un momento di grandi ansie e paure, ma non posso esimermi dall’essere chiaro: ci sono tanti settori che devono essere lasciati collassare perché servirebbero solo a bruciare risorse e causare altri danni con le loro esternalità negative. Resistere ad ogni costo è stupido e mortale: meglio approfittare di queste risorse per riconvertire e innovare l’intero sistema.
È indispensabile aiutare le aziende più problematiche chiedendo in cambio una loro riconversione. In realtà molte di queste aziende dovrebbero comunque chiudere o fare dei grandi cambiamenti nei prossimi anni a prescindere dalla pandemia. Offrire loro delle risorse per un “collasso controllato”, mettere a disposizione un cuscino di aiuti per una riconversione morbida di tecnologie e lavoratori è semplicemente una grande opportunità anche per loro, difficilmente ci saranno condizioni più favorevoli in futuro.
Per semplificare, vedo tre categorie produttive:
- “i già sostenibili”, ossia filiere da aiutare così come sono, ad es. società con tecnologie innovative e green come energia rinnovabile, videoconferenze, efficienza energetica;
- “i quasi sostenibili”, ossia filiere da aiutare in cambio di una forte accelerazione verso la sostenibilità, ad es. automotive, edilizia, agricoltura;
- “gli zombie”, ossia filiere da accompagnare al collasso senza remore perché generano più danni che benefici, ad es. filiera del carbone e dello shale oil.
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Nella categoria dei “quasi sostenibili” c’è il grosso da riconvertire. Se aiutiamo il mondo dell’auto, investiamo tutti (stato ed aziende) sull’elettrificazione. Se aiutiamo l’edilizia, facciamolo per rendere efficiente il parco edilizio.
Serve una visione alta d’insieme e grande coerenza tra incentivi, investimenti di stato e impegni delle aziende. Se funziona, avremo svecchiato i nostri asset: sarà stato caro ma almeno ci ritroveremo resilienti e competitivi.
Se mancherà il coraggio di veri cambiamenti strutturali e la paura del “collasso” ci farà continuare a finanziare filiere vecchie e dannose senza cambiarne gli sprechi e le logiche malate del passato… semplicemente ci giochiamo il futuro di almeno tre generazioni.
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