
A causa del riscaldamento globale, gli uccelli stanno migrando verso altitudini più elevate. Cambiando il piumaggio di conseguenza.
Il riscaldamento globale è un pericolo per alcune specie di volatili dell’arco alpino. Lo dimostra uno studio recente che, tuttavia, suggerisce anche il rimedio.
Il riscaldamento globale nuoce alla madre Terra e, in molti casi, diventa un pericolo mortale per alcune specie viventi. Ne sono un esempio gli uccelli alpini – fringuello in testa – che soffrono moltissimo i cambiamenti climatici. Sulla loro sopravvivenza è stato completato uno studio condotto dal dipartimento di Scienze e politiche ambientali dell’Università statale di Milano e pubblicato sulla rivista Global change biology che ne delucida rischi attuali e speranze di sopravvivenza future.
Nel giro di cinquant’anni, le aree a disposizione di alcuni volatili che vivono in alta montagna potrebbero ridursi drasticamente a causa della crisi climatica. Per la loro sopravvivenza è fondamentale e urgente la salvaguardia di alcune aree alpine che possono fungere da veri e propri rifugi. La pernice bianca, lo spioncello, il sordone e il fringuello alpino – quattro specie di uccelli associate agli ambienti alpini e ai climi freddi che li caratterizzano – rischiano infatti l’estinzione a causa del clima impazzito.
Lo studio internazionale, coordinato da Mattia Brambilla, ricercatore in ecologia, ha utilizzato modelli di distribuzione particolarmente accurati, realizzati grazie a decine di migliaia di dati relativi alla presenza dei volatili peculiari dell’arco alpino. I dati sono stati ottenuti da numerosi portali web di citizen science utilizzati da ornitologi professionisti e amatoriali. I modelli di distribuzione, basati su variabili climatiche, topografiche e di uso del suolo, sono stati “proiettati” su diversi scenari rappresentanti le condizioni attuali e quelle future, permettendo così di valutare le probabili variazioni nell’areale delle diverse specie.
Dalla situazione attuale al periodo 2041-2070, tutte e quattro le specie considerate andranno incontro a una modifica della distribuzione sulle Alpi, con un innalzamento della quota media di presenza che, nei casi più estremi, potrà oltrepassare i 400 metri. Con la parziale eccezione dello spioncello, i volatili esaminati subiranno anche una contrazione della superficie di aree idonee, compresa tra il 17 per cento e il 59 per cento a seconda delle specie e degli scenari climatici. In questo quadro poco incoraggiante emerge un risultato che fa sperare. Sono circa 15mila chilometri quadrati di territorio alpino quelli che risultano idonei per la vita di questi uccelli nelle condizioni attuali e lo rimarranno anche in futuro, a prescindere dal modello climatico considerato. Si tratta quindi di siti di cruciale importanza per la conservazione degli ecosistemi delle Alpi italiane e della biodiversità di alta quota.
Il concetto di “rifugio climatico”, sempre più frequentemente utilizzato nella letteratura ecologica in relazione agli effetti del climate change, indica quelle aree che sono in grado di mantenere le proprie caratteristiche fondamentali a prescindere dal riscaldamento globale, consentendo così la persistenza di organismi o risorse importanti da un punto di vista ecologico, fisico o socioculturale. E, nel caso degli uccelli alpini, diventa fondamentale per prospettarne la vita al di là delle problematiche evidenziate dalla crisi climatica.
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