La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Il tasso di estinzione degli insetti è 8 volte più veloce di quello dei vertebrati e la loro scomparsa causerà gravi reazioni a catena negli ecosistemi.
Gli insetti costituiscono circa i due terzi delle specie animali conosciute, nessun altro animale ha riscosso un simile successo evolutivo. Hanno iniziato il loro dominio all’inizio dell’Ordoviciano, circa 479 milioni di anni fa, e sono arrivati a colonizzare ogni continente, sopravvivendo a straordinari stravolgimenti ambientali e climatici. Ma questa volta il loro futuro, o quantomeno quello di molte specie, sembra davvero a rischio.
Se i vertebrati piangono (dal 1970 ne abbiamo sterminati circa il 60 per cento), gli invertebrati non ridono. Un nuovo studio, che ha analizzato oltre settanta ricerche già svolte in questo campo, rivela infatti che circa il 40 per cento delle specie di insetti è sottoposto a drastici tassi di declino in tutto il mondo, un terzo dei quali è già gravemente minacciato. Secondo la ricerca, condotta da un gruppo di ricercatori dell’Università di Sydney e pubblicata sulla rivista Biological Conservation, il loro tasso di estinzione è otto volte più veloce di quello di mammiferi, uccelli e rettili. Da circa 25-30 anni siamo arrivati a un tasso di estinzione annuale del 2,5 per cento e, secondo le stime, gli insetti potrebbero sparire entro un solo secolo.
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La sesta estinzione di massa della storia del pianeta, attualmente in atto a causa dell’impatto antropico, minaccia la sopravvivenza di un gran numero di organismi, dai più grandi ai più piccoli. Per quanto riguarda gli insetti la causa principale di estinzione è rappresentata dall’agricoltura intensiva: dal massiccio uso di pesticidi che comporta e dall’eliminazione della biodiversità agricola in favore delle monocolture. “A meno che non cambiamo il modo di produrre cibo, gli insetti percorreranno il sentiero dell’estinzione in pochi decenni”, ammoniscono i ricercatori. Altri fattori sono i cambiamenti climatici, soprattutto nei tropici, dove le specie si sono adattate a condizioni molto stabili e hanno poche possibilità di cambiare, e la perdita di habitat causata dalla dilagante urbanizzazione. Il declino degli insetti, ha spiegato uno degli autori dello studio, Francisco Sánchez-Bayo, “sembra essere iniziato all’alba del ventesimo secolo , accelerando negli anni ’50 e ’60 e ha raggiunto proporzioni allarmanti negli ultimi due decenni”.
Dallo studio è emerso che, tra gli insetti, gli ordini più colpiti sono lepidotteri, di cui fanno parte farfalle e falene, imenotteri, come api e vespe e coleotteri, specialmente gli scarabei stercorari. Il Inghilterra, ad esempio, tra il 2000 e il 2009 il numero di specie di farfalle presenti nelle aree coltivate è diminuito del 58 per cento, mentre il numero di api presenti negli Stati Uniti è quasi dimezzato in settanta anni. La nostra conoscenza di questi piccoli e incredibili animali è però ancora molto parziale e sappiamo poco sullo stato di salute, ad esempio, di mosche, formiche e grilli, ma non c’è motivo di credere che stiano meglio delle specie studiate, secondo gli scienziati. Alcune specie, come le mosche domestiche e gli scarafaggi, stanno però vivendo un trend opposto e potrebbero espandersi.
Gli insetti, come detto, sono di gran lunga gli animali più abbondanti sul pianeta, e la scomparsa di un così elevato numero di organismi avrà gravissime ripercussioni su tutti gli ecosistemi. Gli insetti impollinatori, come le api, svolgono un servizio ecosistemico essenziale aiutando i fiori a espandere il proprio areale e a riprodursi, contribuendo oltretutto in maniera decisiva alla sicurezza alimentare globale. Gli insetti costituiscono inoltre il nutrimento principale per molti animali, come uccelli, rettili, anfibi e pesci e contribuiscono alla salute degli ecosistemi riciclando i nutrienti e controllando il numero di parassiti. “La scomparsa degli insetti avrà conseguenze catastrofiche sia sugli ecosistemi del pianeta che sull’umanità”, ha affermato Francisco Sánchez-Bayo.
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