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Tav Torino-Lione: tra ritardi e proclami, a che punto siamo davvero
I lavori veri e propri del Tav non sono mai iniziati. E basterebbe ammodernare la linea esistente. Intervista all’ingegnere Alberto Poggio.
Da oltre trent’anni si discute della realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione, il Tav. Le prime discussioni risalgono, infatti, agli anni Novanta del secolo scorso, quando i governi italiano e francese convennero per la prima volta di studiare un nuovo collegamento tra i due paesi attraverso l’arco alpino occidentale. Un progetto che ha ricevuto un riconoscimento a livello europeo nel 1994, essendo stato inserito dall’Unione europea nella lista dei corridoi (14 poi ridotti a 9) della rete transeuropea dei trasporti (Ten-T): la Torino-Lione entra così a far parte del “Corridoio Mediterraneo” Algeciras – Leopoli (ex Corridoio 5 Lisbona – Kiev). La collaborazione formale tra Italia e Francia inizia nel 1996, la sigla del primo accordo risale al 2001.
Ma da allora, i lavori veri e propri della linea non sono mai stati cominciati. Casi di corruzione, ritardi progettuali, avvicendamenti politici, proteste da parte della popolazione civile: i tre decenni trascorsi sono stati puntellati da diversi ostacoli alla realizzazione dell’opera. Arrivati al 2024, la domanda è sempre la solita: a che punto siamo? LifeGate lo ha chiesto ad Alberto Poggio, ingegnere, membro della commissione tecnica Torino-Lione dell’Unione Montana Valle Susa.
Ingegner Poggio, a che punto siamo con la linea ad alta velocità Torino-Lione?
Stiamo parlando di 270 chilometri di estensione complessiva dell’opera, di cui il 70 per cento in Francia e il 30 per cento in Italia. Il tunnel di base transfrontaliero ne rappresenta solo 57,5 chilometri. La sua realizzazione è affidata a una società pubblica italo-francese denominata Telt. Poi abbiamo le due sezioni nazionali: quella italiana che va da Torino a Bussoleno – di competenza di Ferrovie dello Stato – e quella francese – di competenza di Sncf –, da Saint-Jean-de-Maurienne a Lione. Malgrado appartengano alla medesima infrastruttura, i tre progetti si sviluppano separatamente e non sono coordinati tra loro.
Iniziamo allora dalla sezione transfrontaliera. Di recente, a dicembre 2023, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini è stato a Chiomonte, Torino, dove ha annunciato l’avvio dei lavori del tunnel di base della Torino-Lione. È proprio così?
A dicembre, il ministro Salvini ha inaugurato solo la costruzione di uno svincolo autostradale. A dispetto degli annunci, qui lo scavo del tunnel di base non è mai partito. Il cantiere a La Maddalena di Chiomonte è aperto dal 2011. Il tunnel ha dovuto attendere i lavori di un cunicolo esplorativo per studiare le caratteristiche delle rocce della montagna.
Intanto il progetto ha accumulato ritardi a causa delle numerose varianti volute dai proponenti dell’opera. Una di queste ha scelto di spostare proprio nel piccolo sito di Chiomonte il principale cantiere di scavo della parte italiana del tunnel (12,5 km). Non essendo stati progettati per questo scopo, gli angusti spazi attuali sono inadeguati a gestire gli enormi volumi previsti per i detriti di scavo, che quindi devono essere portati altrove. Servono centinaia di migliaia di viaggi di camion, impossibili da far transitare sull’unica e stretta stradina montana che porta a La Maddalena.
Un bel problema, risolvibile solo a costo di realizzare un’ulteriore opera accessoria: uno svincolo temporaneo sull’autostrada A32 del Frejus, il cui viadotto passa 30 metri sopra il cantiere. Per raggiungerlo ci vuole una specie di “ottovolante” in cemento armato, con due ripide rampe. Questa costruzione aggiuntiva richiede oltre 2 anni e mezzo, con pesanti limitazioni di traffico sull’autostrada A32 che porta alle località turistiche dell’Alta Valle di Susa. Il tunnel dovrà aspettare ancora.
Come stanno procedendo i 45 chilometri di tunnel di base in territorio francese?
Nel 2001 in Francia sono partiti lavori per opere accessorie: tre gallerie trasversali per accessi di impianti e mezzi di servizio al tunnel di base, a Modane, La Praz e Saint-Martin-La-Porte. E poi, sempre a Saint-Martin-La-Porte, un altro cunicolo esplorativo di circa 10 km sul percorso ipotizzato per il tunnel di base. Essendo stato pagato in parte dall’Unione Europea come test geognostico, il cunicolo non può essere dichiarato come scavo del tunnel. Infine nel sito di Avrieux è tutt’ora in corso una lunghissima attività di perforazione per alcuni camini di ventilazione.
Il tunnel di base è a doppia canna, quindi bisogna scavare 115 km di gallerie. Lo scavo si fa prevalentemente con una fresa automatica, detta “talpa”. Quelle previste sarebbero 7 ma ad oggi non se ne vede nemmeno l’ombra.
Per dimostrare che i lavori non sono fermi, nel dicembre 2022 è stato aperto un cantiere a Saint-Julien-Montdenis, dove è previsto l’imbocco del tunnel di base. Dopo un anno e mezzo di lavoro con mezzi tradizionali, è stato scavato appena 1 km. Un’operazione puramente propagandistica per mascherare la realtà dei fatti: in Francia come in Italia i lavori sono in alto mare.
Peraltro pochi giorni fa, proprio nel cantiere di Saint-Julien-Montdenis, si è tristemente verificato un nuovo incidente mortale. Per la Torino Lione è la terza vittima sul lavoro in un anno.
Fin qui il tunnel di base. Cosa possiamo dire, invece, per quanto riguarda le due tratte nazionali, Italia e Francia?
A metà degli anni 2000 la tratta italiana di accesso al tunnel di base era stata immaginata da Bussoleno fino a Settimo Torinese. Dopo molti cambi di tracciato, nel 2011 le Ferrovie dello Stato proposero un progetto preliminare, poi messo da parte dal governo per il suo costo esorbitante. Nel 2021 l’ipotesi è stata resuscitata in versione ridotta: il governo ha deciso di utilizzare le linee esistenti, ritenute adeguate. Unica eccezione tra Avigliana e Torino, dove si continua a proporre la costruzione di una nuova linea con una galleria che attraversa la Collina Morenica di Rivoli. Malgrado la nomina di un nuovo commissario straordinario (il terzo in vent’anni), la situazione della progettazione rimane nebulosa. Recentemente è stata svolta un’ennesima campagna di carotaggi nel territorio di Rivalta. Evidentemente siamo ancora allo studio dei suoli.
Sulla parte francese, la discussione si è trascinata per vent’anni. Nel 2019 il governo francese ha assunto una decisione definitiva: ammodernerà le linee esistenti da Modane a Dijon per utilizzarle come tratta di accesso al tunnel di base. L’eventuale costruzione di nuove linee sarà valutata solo dopo il 2043, qualora sia registrata una reale evoluzione della domanda di trasporto.
Rimettendo insieme i pezzi del puzzle, il quadro è paradossale. I lavori definitivi del tunnel di base di fatto non sono ancora partiti. Le previsioni per il suo completamento slittano continuamente, stanno ormai scavallando la metà del prossimo decennio. Ammesso che venga effettivamente realizzato, il tunnel di base si ritroverà nel mezzo di linee già esistenti, non nuove come si vorrebbe far credere: sicuramente in Francia, come deciso dal governo, e in larga parte anche in Italia, dove la progettazione di nuovi tracciati è nella nebbia. Risultato? Con o senza tunnel di base, la capacità di trasporto dell’asse ferroviario Torino – Lione rimarrà uguale a quella attuale. Peraltro una capacità che il governo francese ritiene adeguata al massimo dei flussi di merci osservati negli ultimi quarant’anni.
Veniamo alla questione economica. Chi deve pagare i lavori?
I soldi pubblici. Le tratte nazionali in Italia e in Francia gravano quasi interamente sui rispettivi bilanci statali. Per il tunnel di base, la suddivisione stabilita negli accordi internazionali vede l’Italia accollarsi il 58 per cento del costo a fronte del 42 per cento della Francia. Una ripartizione decisamente asimmetrica, considerato che l’infrastruttura si sviluppa per appena un quinto in territorio italiano per ben 4/5 in quello francese.
Entrambi i paesi sperano di coprire più del 50 per cento dei costi del tunnel di base con contributi europei. Negli ultimi vent’anni il finanziamento è stato più volte richiesto all’Unione Europea, che finora ha erogato contributi per i progetti e i lavori propedeutici. Lo scorso 30 gennaio è stata presentata un’ennesima domanda nell’ultimo bando disponibile del programma Connecting Europe Facility (Cef) dedicato ai progetti Ten-T. Gli esiti si conosceranno solo nei prossimi mesi. È però già nota la dotazione economica del bando pari a 2,7 miliardi di euro, che la Torino – Lione dovrà necessariamente dividere con una miriade di altre infrastrutture ferroviarie, stradali, aeree, portuali, fluviali candidate dagli stati membri lungo i 9 corridoi europei. La prossima chance di finanziamento non arriverà prima del 2028, dopo l’approvazione del bilancio europeo per il prossimo settennato.
Pochi soldi insomma. La capacità finanziaria dei contributi europei è del tutto insufficiente a mantenere le promesse fatte sul completamento dei lavori del tunnel di base. Le 5 talpe recentemente acquistate da Telt sono ancora ferme negli stabilimenti di assemblaggio in Germania. Senza soldi per farle girare, vi rimarranno parcheggiate a lungo.
Ma di quanti soldi stiamo parlando, in totale, per vedere l’opera finita?
La Torino-Lione è il progetto infrastrutturale più costoso d’Europa: 9,6 miliardi di euro per i lavori definitivi del tunnel di base. Si tratta di una valutazione basata sui costi del periodo pre-pandemia e prima dell’invasione russa in Ucraina, pertanto da rivedere a rialzo alla luce dei recenti rincari dei materiali. In un contesto storico precedente, la realizzazione del tunnel ferroviario del Gottardo ha visto un incremento di oltre il 15 per cento del costo totale di realizzazione, in Svizzera, dove l’attenzione è notoriamente molto elevata. Nella lista della spesa della Torino-Lione dobbiamo però conteggiare anche quanto pagato dal 2001 a oggi per studi, sondaggi geognostici, lavori propedeutici, varianti progettuali, campagne di comunicazione, pubblicazioni, convegni, consulenze, nuove sedi, ecc. Oltre 2 miliardi di euro già spesi senza ancora aver posato un metro di nuova ferrovia. Se tiriamo le somme arriviamo a 12-13 miliardi di euro. E finora abbiamo parlato solo del tunnel transfrontaliero.
Per le due tratte nazionali, mancando i progetti, non si hanno valutazioni attendibili dei costi di realizzazione delle nuove linee ipotizzate. In Italia, nel 2011 il vecchio progetto (poi messo da parte) era stimato in 4,6 miliardi di euro, di cui 1,7 per la sola Avigliana – Torino e circa 0,2 per l’ammodernamento della Bussoleno – Avigliana. In Francia, le prime stime relative a nuove linee tra Saint-Jean-de-Maurienne a Lione superavano gli 11 miliardi. In una stima successiva, in versione ridotta per tentare di contenere i costi, i circa 60 km di gallerie sono stati previsti interamente a binario unico. Eppure il computo è comunque arrivato a 7 miliardi di euro. Una spesa che il governo francese non si può permettere. Non a caso ha già deciso per l’ammodernamento delle linee esistenti, che costa 0,7 miliardi di euro (un decimo!).
Ricordo una stima della Corte dei conti francese che parlava di un costo totale dell’opera di circa 27 miliardi. È ancora attuale quella cifra?
Nel 2012 la Corte dei Conti francese lanciò l’allarme sulla Torino – Lione i cui costi stavano esplodendo fino a 26,1 miliardi di euro. Da allora la parola d’ordine è stata “low cost”. Più di dieci anni dopo, possiamo provare a ripetere lo stesso calcolo. Conteggiando le stime non aggiornate per il tunnel di base e per le nuove linee sulle tratte nazionali italiana e francese, nelle loro versioni ridotte, superiamo già i 20 miliardi di euro. Se consideriamo i forti rincari dei materiali registrati negli ultimi anni, non ci discostiamo molto dalla stima della Corte dei Conti francese. Il progetto “low cost” costa come quello di prima.
Ricapitolando, l’iter di realizzazione non è ancora davvero partito, in Italia non abbiamo né progetto né fondi. Ma a questo punto, l’alta velocità non potrebbe ammodernare e usare le linee già esistenti, come deciso dai francesi?
La risposta è sì. La linea ferroviaria esiste già e funziona, dalla Valle di Susa fino a Torino. È interamente elettrificata e a doppio binario. Da anni Ferrovie dello Stato ne sta potenziando la capacità di trasporto, sia in numero che dimensione dei treni che vi possono transitare. Più di dieci anni fa è stato completato l’ampliamento sul tunnel esistente tra Bardonecchia e Modane, la cui sagoma è oggi idonea al transito dei più grandi container utilizzati nel commercio internazionale (“high cube”). Le caratteristiche della linea esistente in Italia sono adeguate alla capacità di trasporto che sarà presente in futuro sul lato francese.
Ma allora quale sarebbe lo scopo della Torino – Lione? Una bella domanda a cui le semplicistiche campagne comunicative dei proponenti rispondono abitualmente con uno slogan: “per togliere i camion dalle strade”. Obiettivo del tutto condivisibile, anzi immediatamente attuabile usando la linea esistente senza aspettare l’inaffidabile (oltre che inutile) realizzazione una nuova linea Torino – Lione.
Ma se vogliamo prendere in parola questa réclame, i dati dei veicoli pesanti parlano da soli. Ogni giorno sulla tangenziale di Torino transitano molti più camion rispetto a quelli che passano al Monte Bianco e al Frejus sommati insieme. Se poi aggiungiamo anche le auto, il traffico si moltiplica per 10, a causa delle carenze del trasporto pubblico locale.
Infatti Torino è capitale italiana dell’inquinamento atmosferico. Un bel primato negativo conquistato con decenni di mancati investimenti in mobilità sostenibile a servizio degli spostamenti giornalieri. Per ridurre di mezz’ora il viaggio per andare a Parigi (forse una volta all’anno, per chi può), ci si è dimenticati dei bisogni quotidiani dei cittadini. A Torino mancano i soldi per fare la seconda linea di metropolitana: sono i soldi sprecati per la Torino-Lione.
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