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L’arte del ventesimo secolo nei ritratti di Peggy Guggenheim
Siamo abituati a scorgerne la personalità inconfondibile dietro i musei e le collezioni artistiche di mezzo mondo che recano la sua indelebile impronta, e sulla sua leggenda si sono da sempre affaccendati scrittori, biografi e perfino drammaturghi. Ma l’impronta più quotidiana e domestica di Peggy Guggenheim, l’arcinota ereditiera americana che rivoluzionò la storia dell’arte novecentesca,
Siamo abituati a scorgerne la personalità inconfondibile dietro i musei e le collezioni artistiche di mezzo mondo che recano la sua indelebile impronta, e sulla sua leggenda si sono da sempre affaccendati scrittori, biografi e perfino drammaturghi. Ma l’impronta più quotidiana e domestica di Peggy Guggenheim, l’arcinota ereditiera americana che rivoluzionò la storia dell’arte novecentesca, appare decifrabile soltanto attraverso i ritratti fotografici, tutti rigorosamente d’autore, che la immortalarono in differenti fasi e circostanze della sua movimentata esistenza.
Scandagliando attentamente gli archivi storici della sua ex-abitazione veneziana di Palazzo Venier dei Leoni, sede dell’omonima collezione museale, l’Ikona Gallery-Scuola Internazionale di Fotografia, situata nel Campo del Ghetto Nuovo di Venezia, ha estrapolato una selezione di 21 scatti di rinomati fotografi, che fino al 27 novembre sveleranno ai visitatori i mille volti della collezionista più iconica di tutti i tempi.
Un condensato di arte in ogni foto
Marguerite Guggenheim, universalmente nota come Peggy, nata a New York nel 1898 da genitori ebrei, mescolò programmaticamente e senza complessi vita privata e impegno artistico-culturale: dopo il divorzio dal primo marito, lo scultore dadaista Laurence Vail, sposò in seconde nozze il pittore surrealista Max Ernst, dal quale in seguito divorzierà, intrattenendo nel frattempo numerose relazioni sentimentali con protagonisti di spicco della scena avanguardista di quegli anni, da Duchamp a Tanguy, da Beckett a Pollock, senza mai smettere di collezionare opere di arte contemporanea cubista, astratta o surrealista e di organizzare mostre.
Le foto documentano l’incessante peregrinare tra America ed Europa, da Londra a Parigi, da New York a Venezia, dalle prime gallerie aperte sia a Londra (la Jeune Guggenheim) sia nella Grande Mela (la Art of this century) sino all’approdo nella sontuosa dimora-museo sul Canal Grande.
Una simile vitalità inarrestabile ed anticonvenzionale sembra quasi stridere con la sobrietà pressoché austera delle immagini che ritraggono la celebre mecenate in pose tanto composte quanto meticolosamente costruite in modo da configurare una sorta di “opera d’arte nell’opera d’arte”, cioè inserendo all’interno dello scatto fotografico qualche riconoscibile pezzo forte delle varie collezioni.
Tali combinazioni possono includere ad esempio un dipinto di Yves Tanguy, che funge da sfondo alla foto di Gisèle Freund in cui Peggy è ritratta insieme ad Herbert Read, oppure l’opera di Antoine Pevsner dinanzi alla quale viene immortalata da Roloff Beny nel padiglione francese della Biennale del 1958.
Neppure l’abbigliamento è lasciato al caso e l’evidente apprezzamento riservato alla haute couture dell’epoca è testimoniato dalla scelta di abiti come quello di Paul Poiret indossato nel ritratto realizzato da Man Ray o il vestito simil-futurista firmato da Elsa Schiaparelli e sfoggiato nello scatto di Rogi André.
Il cinquecentenario del Ghetto di Venezia
Nei ritratti di Peggy vediamo dunque scorrere i simboli e gli idoli culturali di un’intera epoca, talvolta assemblati in sintesi quasi stupefacenti, come accade ad esempio nella foto realizzata da Hermann Lansdorff nel 1942, in cui l’ereditiera si trova in compagnia del gotha dell’arte newyorkese dell’epoca, attorniata, tra gli altri, da personaggi quali Leonora Carrington, André Breton, Marcel Duchamp o Max Ernst.
Inoltre la varietà dei luoghi e dei contesti dimostra anche come la dimensione del viaggio e dell’erranza sia impressa nel suo patrimonio genetico e in quello dei suoi avi, famiglia di ebrei originari della Svizzera, del cantone di Aargau, emigrati in America prima della nascita di Benjamin Guggenheim, padre di Peggy e fratello del più noto Solomon.
Non a caso l’esposizione fotografica in questione intende per l’appunto commemorare i 500 anni dalla nascita del ghetto veneziano, sulla base di un progetto ideato e curato dalla stessa fondatrice dell’Ikona Gallery, ovvero la croata Ziva Kraus, artista ed ex-assistente, nei primi anni Settanta, di Peggy Guggenheim in persona, riguardo alla quale ancora oggi ama ripetere: “L’arte del ventesimo secolo non sarebbe stata la stessa senza di lei”.
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