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Roberto Cerè. Costruiamo una nuova concezione di “professionista”, per un business intelligente
Dopo aver vissuto sulla sua pelle gli alti e bassi che si possono vivere entrando nell’età adulta, Roberto Cerè è ora un executive coach che ha costruito “millimetro dopo millimetro” la sua nuova vita da professionista. In questa intervista abbiamo raccolto qualche centimetro.
Roberto Cerè è stato per anni l’executive coach – cioè l’allenatore aziendale di molte aziende successo, dalla Scuderia Ferrari a Gucci, da Mattel a Benetton. È stato al fianco di amministratori delegati, presidenti e top manager nei momenti più importanti: quando dovevano prendere decisioni che avrebbero cambiato il volto della società e la vita di chi ci lavorava. Grazie alla sua esperienza ha realizzato libri, diventati poi best seller, come Se vuoi puoi e Io ci sono. Fino all’ultimo dal titolo Business intelligente, edito da Rizzoli e in uscita ad aprile 2018.
I suoi insegnamenti e i suoi successi si sono trasformati anche in programmi formativi seguiti da più di 100mila persone ogni anno, che hanno fatto di Cerè il primo coach italiano. Grazie a questi numeri ha poi deciso di fondare nel 2013 il Micap, ovvero il Master internazionale in Coaching ad alte prestazioni, dal quale sono usciti 320 coach aziendali certificati e stanno trovando il loro posto sul mercato del lavoro. Dal Micap, Cerè ha dato vita anche alla Fondazione Micap for children attraverso la quale vengono finanziati progetti rivolti alla cura e alla crescita di bambini in difficoltà. Lo abbiamo intervistato in occasione del corso che terrà dal 28 aprile al primo maggio al Teatro degli Arcimboldi di Milano.
Nel suo libro, Io ci sono, racconta i segreti per farcela, per ripartire da zero dopo aver conosciuto la sconfitta, la delusione. E cita anche la paura. Ognuno ha un percorso di vita personale e unico. Ma cosa accomuna chi ha conosciuto uno stop e qual è il primo step per ripartire?
Ognuno di noi nella vita, prima o poi, vive uno “stop”, una delusione, una rinuncia. È parte del gioco della vita adulta. Le persone sono solite attribuire un nome a questi eventi: li chiamano traumi o fallimenti. I traumi, o meglio anche ingiustizie, sfortune, avversità, sono tutti quegli eventi che si subiscono, come ad esempio la perdita di una persona cara, del lavoro, della salute. Mentre i fallimenti vengono comunemente intesi come insuccessi legati alle proprie incapacità di governare gli eventi. Chi dice di essere “fallito” è come se si attribuisse la colpa di non essere stato in grado di gestire qualcosa che era sotto il suo controllo. Chi invece dice di aver subito un “trauma” è come se attribuisse la colpa agli eventi esterni, facendo intendere che non avrebbe potuto controllare qualcosa che era comunque fuori dalla sua portata.
Come fare quindi per rialzarsi quando la vita ti sbatte al tappeto? Dobbiamo pensare che la vita si può gestire o si può subire. Ogni giorno ci è dato di agire o reagire. Ovvero, tutti noi possiamo reagire (rispondere) agli eventi che ci vengono presentati (la perdita del posto di lavoro, la perdita di un cliente importante, il partner che ci abbandona) e tutti noi possiamo “agire” per anticipare gli eventi avversi, prepararci e saltare gli ostacoli prima che questi si presentino sotto i nostri piedi.
Come si possono gestire le pressioni e gli alti e bassi che si verificano nell’arco di una vita? In che modo uno stile di vita sostenibile (o meno) ci influenza?
Come in natura ci sono dei cicli ricorrenti, come le quattro stagioni, il giorno e la notte, nella la vita si possono verificare alti e bassi. Condurre una vita sostenibile significa essere consapevoli di questa ciclicità. Per cui la vita va cavalcata e non ostacolata. Come? Ad esempio attraverso il ciclo lavoro-riposo. Ogni impiegato, manager, imprenditore dovrebbe alternare un’attività produttiva di 90-120 minuti con un break di 15 minuti. Una pausa nella quale alimentarsi (con cibi a basso indice glicemico) e cambiare la propria frequenza cardiaca e respiratoria. Come? Facendo il giro dell’edificio nel quale si lavora oppure con una rampa di scale. Queste semplici tecniche favoriscono la creativa nel luogo di lavoro e migliorano la qualità della giornata.
Un altro ciclo molto importante da rispettare è quello che coinvolge l’attività produttiva con quella emotiva o spirituale. È necessario per vivere una vita sana trovarsi dei momenti cadenzati per riflettere, meditare, ritrovare se stessi. Magari con un corso di ballo, di meditazione, di canto. Insomma, facendo proprio delle attività che servano solamente a renderci più felici. Troppo spesso siamo alla ricerca di attività “utili”. Dovremmo iniziare a inserire due volte alla settimana attività solamente ricreative, per alleggerire l’anima e allietare il cuore.
In particolare, lei usa l’espressione “business intelligente”. Cosa significa e che ruolo assume l’intelligenza emotiva in questo campo, cioè l’empatia che si riesce a instaurare con le persone che la ascoltano?
Un “business intelligente” è un business che si concentra sulla persona e non sul prodotto. Dove il “prodotto” diventa la persona stessa con le soluzioni che riesce a offrire. Pochi si sono accorti che questo cambio tecnologico ha riportato “l’artigianato” al centro dell’economia. Oggi i più facoltosi sono ragazzini che con il web hanno costruito una reputazione che in altri tempi sarebbe stato impensabile. Non mi riferisco all’artigiano come lo intendiamo noi (idraulico, falegname, elettricista), ma a un nuovo professionista che ha compreso l’importanza di investire su se stesso. Empatia non vuol dire simpatia, né antipatia, è la capacità di creare un’intesa vera, diretta e senza filtri tra noi e il pubblico. Quando il pubblico sente genuinità, a quel punto vive l’empatia nella sua forma migliore.
LifeGate è il quotidiano della sostenibilità. Come si può portare la sostenibilità in ambito professionale? In che modo è possibile mantenere su un piano di sostenibilità le pressioni del mondo del lavoro sempre più esigente e “immersivo”?
Basta non farsi immergere. Dovremmo restare sempre un po’ vigili e dettare noi il ritmo del nostro coinvolgimento. Mi riferisco ai cicli e alle fasi della vita di cui ho parlato poco fa. Ricordiamo che per essere realmente sostenibili nelle nostre prestazioni dobbiamo alternare produzione a recupero di energie e concentrazione; dedizione al lavoro con tempo di qualità con la famiglia; energie per creare nuove soluzioni con allenamento per il nostro corpo e la mente.
Per cui, un business e una carriera possono essere sostenibili? Certamente sì! È come ho impostato la mia vita negli ultimi quindici anni. Lavoro intensamente quindi giorni al mese, e poi stacco completamente per i restanti quindici. Dove mi rifugio nell’amore dei miei figli, in Danimarca. Per qualche lettore potrei sembrare fortunato, ma vi assicuro che ho costruito millimetro per millimetro la vita che oggi posso permettermi di vivere. E questo si può fare. Da qualunque condizione partiate, non è mai una questione di condizioni, ma di direzione.
Nella gestione del tempo libero e della vita privata, è cruciale avere un rapporto “sano”, per l’appunto, sostenibile con lo smartphone e i social network. Com’è possibile non farsi sommergere dai “push”, dalle notifiche e quindi evitare che la tecnologia, di per sé positiva, diventi una vera e propria dipendenza?
È buffo pensare come abbia costruito la mia libertà finanziaria e professionale utilizzando Facebook per divulgare le mie lezioni pur non avendo mai attivato le notifiche push. Entro ed esco in modo mirato. Quando decido di entrare nella “piazza” più frequentata del mondo, lo faccio con consapevolezza, preparandomi e interagendo in modo mirato. Lo stesso con le email. Solitamente ho tre spazi al giorno in cui leggo e rispondo alle email e ai commenti nel gruppo Roberto Cerè LIVE o sulla mia pagina. Il resto del tempo lo devo usare per ricaricarmi, altrimenti non potrei sostenere questo ritmo.
Spesso sostenibilità vuol dire solidarietà. In questo senso ha fatto una scelta particolare per quanto riguarda gli incassi dalla vendita dei suoi libri.
Ormai da anni devolvo interamente tutti i proventi dei miei libri ad associazioni, fondazioni e opere caritatevoli. Questo mi ha dato grandi soddisfazioni personali. Sino al punto di costituire una mia fondazione, Micap for children foundation. Negli ultimi anni abbiamo finanziato sette operazioni di cuore per sette bambini in fin di vita; l’acquisto di due ambulanze; di tre orfanotrofi; il sostegno di famiglie con figli autistici e tante altre opere che ci hanno aperto e riempito il cuore.
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