Che si parli di migranti o di ambiente, il mondo contemporaneo è caratterizzato da un tratto comune: “Siamo sospettosi di tutto ciò che è empatico, buono, corretto”. L’intervista allo scrittore e giornalista Roberto Saviano per la presentazione del libro In mare non esistono taxi.
“Provarono a seppellirci ma non si accorsero che eravamo semi”. Roberto Saviano, scrittore e giornalista, ha concluso con questa citazione – la cui attribuzione non è chiara – il suo intervento al Forma Meravigli di Milano tenuto in occasione della presentazione del libro In mare non esistono taxi, edito da Contrastobooks. Un intervento fatto in ore che lui stesso ha definito “complicate, difficili”. Ore in cui restare silenti o rimanere neutrali significa essere complici di una tragedia che giorno dopo giorno macchia di sangue di nàufraghi le acque del Mediterraneo come di altre regioni d’Europa, d’Africa e del mondo.
Il riferimento è alla questione migratoria che coinvolge milioni di persone, Italia compresa. Un’Italia che non solo è meta di migranti, ma che ogni anno vede circa 100mila persone partire per trovare soddisfazione altrove. Negli ultimi anni, la questione migratoria ha anche subìto una drammatica trasformazione nella narrazione, strumentalizzata da politica e criminalità. In mare non esistono taxi nasce così, dalla necessità di tornare a testimoniare, di ripartire dalle basi della documentazione e del giornalismo per dimostrare l’evidenza. E quale strumento migliore della fotografia?
“La testimonianza è fondamentale perché le bugie passano, le prove no”
“In questo libro ho provato a raccogliere fotografie che hanno trasformato il nostro tempo e penso che la testimonianza sia il primo atto da compiere davanti a queste tragedie”, ha affermato Saviano riferendosi alle decine di migliaia persone che sono morte in oltre vent’anni nel tentativo vano di raggiungere l’Europa alla ricerca di una vita migliore. “Quando viene negata la solidarietà umana, quando un’ambulanza viene definita taxi si può solo testimoniare. In questo senso la foto è centrale perché rappresenta una prova indelebile. Anche quando viene contestata, la testimonianza è ancora più importante perché le bugie passano, le prove no”.
La presentazione è stata l’occasione per chiedere al giornalista anche un commento su temi di cui si è sempre occupato, fin dai tempi di Gomorra, come mafia e organizzazioni criminali e il loro rapporto con lo sviluppo sostenibile in un periodo storico di forte crescita dell’interesse dell’opinione pubblica internazionale grazie alla nascita di movimenti quali Extinction Rebellion o Fridays for Future.
Che si parli di criminalità, di migranti o di ambiente, però, c’è un tratto che non cambia: “Oggi siamo sospettosi di tutto ciò che è empatico, buono, corretto”, come se chi fosse pieno di questi sentimenti avesse qualcosa da nascondere, un tornaconto personale. Come se nel mondo contemporaneo “solo la cattiveria fosse autentica”. Anche se sei un migrante in cerca della felicità, uno scrittore che dice la verità, una ragazza di 16 anni che non ha mai avuto la sua età.
Il suo libro è un esempio concreto, una sorta di “guida” di come smontare e ricostruire la realtà partendo dai fatti. Può spiegarci qual è la forza e l’importanza della testimonianza? Testimoniare in questo momento è necessario perché è un impegno che va al di là del risultato. Testimoniare non è propagandare, testimoniare non è neanche fare strategia o tattica. Testimoniare è qualcosa che non ha un fine: “è”. Testimoniare lo fai quando spesso non hai altra scelta per proclamare una verità. Quando migliaia di persone pensano che Aylan, il bambino trovato morto annegato sulle spiagge turche, sia un bambolotto, una fake news, lì non ti rimane che testimoniare, cioè mettere il tuo corpo a sostegno della verità e della responsabilità. Per questa ragione parlare oggi di migrazione si può fare solo testimoniando.
Lo scorso anno ha fatto un appello affinché il mondo della cultura rompesse il “silenzio” sui temi che ci dividono, perché? Ho fatto un appello, probabilmente fallito, perché anche se un pezzo importante degli intellettuali italiani è sicuramente in prima linea, la maggior parte codardamente rimane in silenzio. Cantanti che prima si schieravano, oggi furbescamente stanno zitti per paura di non riempire stadi e palazzetti. Artisti silenziosi, prudenti: neutrali si dice, no? Oggi tutto questo non c’è più, quindi prendere posizione significa avere coraggio e non un vantaggio.
Le seconde generazioni stanno arricchendo il patrimonio culturale italiano ed europeo. Distefano, Ghali, Gama, solo per citarne alcuni. Quando ho incontrato Distefano mi ha raccontato che lei è stato il primo a trattarlo da collega scrittore. Come le seconde generazioni influenzeranno, in modo organico, l’evoluzione del tessuto sociale italiano? Le seconde generazioni ridisegneranno completamente il Paese perché si tratta di nuovi italiani che qui si sono salvati, che hanno studiato qui e che in molti casi hanno dato il meglio a scuola e quindi possono mostrare che “Italia” non è né colore della pelle, né religione, ma è costruire. Le nuove generazioni mostreranno quest’apertura. Dentro a un’alchimia che già abbiamo visto in Francia, in America e cioè che il Paese in cui vivi, in cui sei nato appunto, lo celebri ogni volta che crei, che esisti, che lavori in quel Paese. Tutto questo, secondo me, sarà fondamentale per smascherare le palle che ci hanno detto sul pericolo dell’invasione e sul fatto che non possa esistere un italiano nero o islamico o che esista una codifica dell’italiano: bianco, cristiano. Tutto questo sarebbe una descrizione troppo limitata al nostro Paese. Loro romperanno questa limitatezza.
La crisi climatica è causa di un aumento delle migrazioni. Come affrontare al meglio due fenomeni che non si possono negare, né tantomeno fermare? Attraverso il racconto di Greta [Thunberg, ndr]. Raccontare tutto questo facendo sentire la responsabilità gigantesca che le generazioni di oggi hanno sul futuro in un mondo dove il futuro non esiste. Perché il futuro non si può guadagnare. Greta ha permesso di attirare l’attenzione [dell’opinione pubblica, ndr] e di conservarla su un tema chiaro: si sta distruggendo il mondo che dovremmo lasciare in eredità. Detta così è molto banale e anche distante, raccontata da una ragazza e mostrata con un documentario, per esempio, fa la differenza. Per quanto mi riguarda quella bambina è simbolica per diverse ragioni.
Anzitutto è proprio una bambina che deve puntare il dito perché è alla sua vita che i governi stanno mettendo mano, molto più che alla mia. Quindi sul piano dell’età, lei ha più diritto di altri, come i bambini in genere, di giudicare queste politiche. In secondo luogo: purezza. Si ha voglia che questa battaglia sia fatta da anime innocenti, altrimenti c’è troppo sospetto. Noi siamo abituati a sentirci a casa nella crudeltà. Noi ci fidiamo solo della cattiveria, ci fidiamo della furbizia. Quando non c’è cattiveria e non c’è furbizia non ci fidiamo. Questa ragazza ha una traccia importante di disinteresse.
In tutto ciò come sta cambiando l’azione, il rapporto che le organizzazioni criminali o di stampo mafioso hanno con l’ambiente? Una delle cose incredibili è che le mafie hanno investito nelle energie alternative prima di tutti. Le mafie hanno messo mano sul coltan, il minerale che serve ai telefoni per conservare l’energia, prima che il mondo dell’informazione si accorgesse della sua esistenza. Le mafie sfruttano sicuramente i cambiamenti climatici, mi sento di dire che ne sono corresponsabili. L’Africa: gran parte delle organizzazioni criminali ne gestiscono i rifiuti, i rifiuti tossici. Dove vanno a finire i rifiuti tossici inglesi, americani? In Africa. Credo che il vero problema in questo momento, ciò che lega criminalità a cambiamenti climatici, è la capacità delle organizzazioni di connettersi con la necessità di mercato: se domani servono più pannelli solari li fanno loro, se domani serve petrolio ci sono loro, se domani serve carbone ci sono loro, se serve coltan ci sono loro. S’infiltrano laddove c’è cash. Osserva le mafie e capirai le necessità del mondo. Cominceranno a commerciare acqua – già lo fanno – nel dettaglio, si inseriranno nella sua distribuzione appena assumerà valore come il petrolio.
Più in generale, in che modo le organizzazioni di stampo mafioso sono causa di disastri ambientali? Abbiamo prove di discariche in Africa equatoriale occidentale: in Liberia, in Sierra Leone, in Benin. Lì le discariche di rifiuti tossici sono gestite da criminali e con un mercato tutto occidentale. Poi ci sono tutta una serie di prove che mostrano come la desertificazione aumenti la capacità delle organizzazioni criminali di trafficare coca. Se tu non hai più un villaggio, se tu non hai più una struttura e hai soltanto deserto, quello diventa un sito di stoccaggio. Quindi laddove avanza il deserto, là nasce un nuovo hub per la coca. E poi abbiamo le prove della assoluta rapacità delle organizzazioni criminali nel finanziare progetti minerari in grado di poter mettere le mani sul nuovo oro che è il coltan, a cui facevo riferimento prima. Io credo che quando si tratta di parlare di clima non si possa non fare riferimento al capitalismo. Il capitalismo va completamente riformato, piccoli accorgimenti non potranno salvare il Pianeta. Nel momento in cui il profitto è la prima regola, creperemo col profitto.
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