Nel villaggio rom e sinti di via Chiesa Rossa a Milano è arrivata la tribuna elettorale organizzata da Roma for democracy e Movimento Kethane.
L’obiettivo è far entrare la politica nei villaggi rom per creare un ponte tra queste persone e chi li rappresenta.
In Italia la presenza rom e sinti si attesta a circa 170mila presenze. La gran parte ha cittadinanza italiana, dunque diritto di voto.
Per gran parte della sua vita Aldo Deragna, “Iaio” per tutti, non ha mai avuto accesso privato all’acqua. Iaio, che oggi ha 75 anni, si muoveva in roulotte per l’Italia e ovunque arrivasse con la sua famiglia veniva accolto da diffidenza e discriminazioni. “Sono arrivati i rom, è arrivata la criminalità, ci dicevano. Eppure né io né la mia famiglia abbiamo mai rubato niente in vita nostra”, grida dal microfono. Da 24 anni, da quando il comune di Milano ha istituito il villaggio rom e sinti di via Chiesa Rossa, Iaio ha una casa in cui ha investito tutti i suoi risparmi, un rubinetto, una doccia e altri servizi essenziali.
Iaio ha appena preso parola dalla tribuna elettorale che l’associazione Roma for democracy, con il Movimento Kethane – Rom e Sinti per l’Italia, hanno organizzato in vista delle elezioni europee nel villaggio della periferia sud di Milano. Qui vivono 240 persone e la gran parte di loro ha la cittadinanza italiana. Hanno diritto di voto, ma la politica la conoscono per il modo in cui è solita strumentalizzare le loro vite in campagna elettorale. La tribuna elettorale, il primo dibattito con candidati politici mai avvenuto nel villaggio di via Chiesa Rossa, potrebbe rappresentare un nuovo inizio. “La politica ci ha sempre puntato il dito contro, ancora oggi si parla di sgomberarci nonostante in questo villaggio abbiamo investito tutto, ci siamo realizzati”, tuona Iaio. “È ora che la politica faccia qualcosa per le comunità rom e sinti. Dobbiamo essere uniti, non divisi”.
Il villaggio rom di via Chiesa Rossa
Con i termini rom e sinti si fa riferimento ai gruppi etnici, storicamente nomadi, che parlano la lingua romanì. Non c’è grande chiarezza sulle loro origini, ma sembra che tutto sia nato in India, poitra il Quattordicesimo e il Quindicesimo secolo c’è stata la diaspora di questi popoli in Europa e non solo.
Oggi nel Vecchio continente i popoli rom e sinti contano tra i 10 e i 12 milioni di persone, mentre in Italia il numero si attesta intorno alle 170mila presenze. Il nomadismo di un tempo quasi non c’è più, solo una percentuale che arriva massimo al 3 per cento continua a vivere in questa condizione. Per il resto, la quasi totalità di rom e sinti oggi vivono in casa mentre una piccola percentuale che non supera il 7 per cento abita i cosiddetti “campi nomadi”, che preferiscono chiamare villaggi. Alcuni formali, come quello di via Chiesa Rossa a Milano. Altri informali, dunque non riconosciuti dalle istituzioni.
Il #19maggio 1942, in #Jugoslavia iniziarono gli arresti di #Rom e #Sinti da parte delle truppe naziste e dei loro alleati. La maggior parte morì nei 22 campi di concentramento della #Croazia, soprattutto in quello di #Jasenovac dove vennero massacrati nei modi più brutali. pic.twitter.com/72zhjmmNfe
— ANPI III Municipio Roma "Orlando Orlandi Posti" (@ANPIRomaPosti) May 19, 2024
Il villaggio di Chiesa Rossa è un quadrato di un centinaio di casette ordinate in mezzo ai campi agricoli di Milano sud. Tra prati curati e urla di bambini che sgattaiolano tra le case, un tempietto ricoperto di fiori è lì a ricordare il genocidio subito dal popolo durante il nazifascismo. “Un passo nella memoria per non dimenticare 500mila rom e sinti e sei milioni di ebrei sterminati per una ideologia disumana”, recita la targhetta, che riporta il patrocinio del comune di Milano. Quel genocidio lo chiamano Porrajmos, grande divoramento. Migliaia di rom e sinti chiusi nei campi di concentramento al fianco degli ebrei, con episodi terribili come quello del 6 maggio 1944, quando un gruppo di prigionieri rom uomini si ribellò ai tedeschi nel campo di sterminio di Auschwitz. Vennero spostati in un altro lager, mentre i loro familiari – tremila tra donne, anziani e bambini – furono spediti per vendetta nelle camere a gas.
“È arrivato il momento di riconoscere quel genocidio e istituire una giornata della Memoria”, è una delle richieste alla politica italiana che rimbombano nelle casse di via Chiesa Rossa, raccogliendo l’applauso di uomini, donne, bambini e anziani riuniti nello spazio verde in cui si sta tenendo la tribunale elettorale. È il primo dei punti del manifesto rom, una lista di richieste e proposte alla politica italiana in vista delle elezioni europee.
La tribuna elettorale nel villaggio rom e sinti
Quella milanese è la terza tappa della tribuna elettorale organizzata da Roma for democracy, con il Movimento Kethane – Rom e Sinti per l’Italia. Prima c’erano state Roma e Bologna (dove i fascisti di Forza Nuovahanno risposto con un presidio di protesta)e l’obiettivo è sempre lo stesso: dare voce a quello che è uno dei popoli più discriminati e stigmatizzati in Europa, creare un ponte tra queste persone e la politica per dare il via al cambiamento.
“Questo momento è importante perché per la prima volta c’è un confronto diretto con chi andrà prossimamente a rappresentarci in Europa. Finalmente vengono ad ascoltare le priorità della comunità rom e sinta”, sottolinea Miguel, 42 anni, attivista del Movimento Kethane. L’invito è stato rivolto a tutti i partiti ma in via Chiesa Rossa si palesano solo Cecilia Strada, candidata per il Partito democratico, e Jessica Todaro, candidata sinta per Alleanza verdi e sinistra. “I dem, in caduta libera, cercano di racimolare voti persino tra i nomadi”, ha contestato l’evento Silvia Sardone, eurodeputata e capolista Lega nella circoscrizione Nordovest. Un paradosso, perché se c’è qualcuno che tra ruspe, minacce di sgomberi e leggi ad hoc più o meno da sempre usa rom e sinti per racimolare voti, quella è proprio la destra.
“La politica usa il tema rom per fare campagna elettorale gratis”, chiosa Miguel, mentre la sua voce viene coperta da musiche tradizionali diffuse dalle casse. “Ci vendono come un problema della società, un corpo estraneo ma noi siamo qui dal 1422, molti di noi lavorano, facciamo Pil, siamo parte di questa società. La politica fatica a confrontarsi con noi ma le nuove generazioni rom e sinte vogliono diventare protagoniste perché sono in grado, hanno competenza per farlo. Sanno come mostrare alla politica che insieme si può tracciare una via percorribile per un’Italia e un’Europa migliore”.
Che cosa rivendicano rom e sinti
Italian* da 600 anni, riconosci anche la mia minoranza, è la scritta che campeggia sulla maglietta di Miguel. Tra i punti del manifesto rom e sinti per le elezioni europee c’è proprio il riconoscimento come minoranza etnica e culturale, così che possano beneficiare di strumenti di tutela e inclusione nella società.
Le condizioni di vita di rom e sinti, in particolare quelli che risiedono nei villaggi, è molto difficile. L’aspettativa di vita di queste persone è di almeno dieci anni inferiore a quella del resto della popolazione. Molti sono disoccupati, altri se la cavano con lavoretti in nero, per altri ancora i piccoli furti sono una strategia di sopravvivenza. Anche i più piccoli non sono immuni a queste problematiche sociali: la metà degli abitanti del villaggio di via Chiesa Rossa non vanno a scuola e le istituzioni non aiutano ad alzare il tasso di scolarizzazione, come dimostra l’assenza di uno scuolabus dal 2013.
“È da anni che cerchiamo di avere voce politicamente parlando, che proviamo a farci sentire ma anche quando parliamo è come se fossimo in silenzio per le istituzioni”, sottolinea Licia, 37 anni. “Tutto quello che vogliamo è essere trattati come gli altri, con gli stessi diritti e doveri. Oggi per noi è una grandissima giornata e speriamo che possa portare a qualcosa”. Lo stesso concetto lo ripete dalla tribuna elettorale Cecilia Strada (Partito democratico): rom e sinti devono avere non solo gli stessi diritti del resto della popolazione, ma un occhio di riguardo per la situazione di emarginazione in cui si trovano. Lo stato, d’altronde, è proprio in situazioni di crisi che deve saper fare il suo.
Quando tocca a Jessica Todaro (Alleanza verdi e sinistra) parlare, si prende qualche minuto per affrontare un altro punto chiave delle richieste di rom e sinti alla politica. La modifica della legge 337 sullo spettacolo viaggiante, così che possa essere riconosciuta e tutelata una delle ultime professioni delle popolazioni rom e sinti. Non è un caso che sia Todaro a parlarne. Lei che è sinta, figlia di giostrai in Lazio.
Un passato nella resistenza
Quando la tribuna elettorale è alle battute finali le persone iniziano a disperdersi. I bambini sono ormai tutti riuniti a giocare dietro il palco e a un certo punto fanno inavvertitamente saltare l’impianto audio. Alcuni uomini si defilano per chiacchierare, mentre un gruppo di donne sparisce per poi fare ritorno con vassoi ricolmi di pizzette, tramezzini e altri stuzzichini. Nel villaggio ci sono giornalisti e rappresentanti delle istituzioni e l’ospitalità qui è un valore fondamentale.
Prima del rinfresco però c’è ancora tempo per parlare di altre delle richieste alla politica da parte della Fondazione Rom. L’istituzione di tavoli di coordinamento con i governi locali sui temi dell’housing, per esempio. E poi una legge sul riciclo e il riuso che regolarizzi i piccoli operatori. Tra i lavori più in voga nel villaggio c’è proprio quello della raccolta dei materiali, alcuni si sono anche aperti la partita Iva. “Oggi si parla tanto di riciclo, è diventato un pilastro dell’ecologia. Noi lo facciamo da sempre, eppure nessuno è mai venuto a chiederci informazioni, né viene mai valorizzato quando si parla di noi. Quando si tratta di rom e sinti si parla solo in senso negativo”, denuncia Iaio, che ha preso il microfono per chiudere l’evento. Il dibattito si chiude tra gli applausi, qualcuno già sta puntando gli stuzzichini del rinfresco. Tra questi c’è Tony, che però viene chiamato a rapporto da Dijana Pavlovic, del movimento Kethane. C’è prima da cantare l’inno rom e nessuno nel villaggio lo mette in scena come lui.
Durante il rinfresco è tempo di chiacchiere. Giuliano Braidich, 75 anni, ripercorre la sua storia tra una pizzetta e un bicchiere di coca cola. “Sono cresciuto a Udine, mio padre lavorava come commerciante di cavalli. Durante la Seconda guerra mondiale arrivarono i tedeschi e rubarono gli animali. Mia madre venne rinchiusa nel campo di concentramento di Dachau, da cui poi riuscì a tornare. Mio padre si arruolò con i partigiani nelle Brigate Osoppo”. ricorda. La resistenza di rom e sinti durante il nazifascismo è un altro di quei pezzi di storia dimenticati dall’Italia, forse volutamente. Un racconto che stona con la propaganda che li vuole estranei se non nemici alla società italiana, nonostante il contributo che diedero nella liberazione del paese. Oggi a Castelfranco Veneto vive ancora nella sua roulotte Erasma Pevarello, 96 anni, forse l’ultima staffetta sinta.
L’ora del cambiamento
“La gran parte di noi sono nati in Italia, hanno la cittadinanza italiana, hanno fatto il servizio militare qui, lavorano e pagano i contributi”, sottolinea Daniele, capocantiere 53enne che ha fatto tutta la trafila dei villaggi rom nel milanese, da Quarto Oggiaro fino in via Chiesa Rossa. “La politica spesso pretende da noi ciò che noi non siamo. Abbiamo le nostre tradizioni, la nostra cultura, a volte possono essere difficili da capire ma siamo gente normale, tranquilla, umile. Siamo italiani in tutto e per tutto, parte di questa società”.
"Non abbiamo mai riconosciuto l'antizingarismo. Ma esiste in tutti i paesi a livello individuale e strutturale. Iniziò quando i primi rom arrivarono in Europa, 800 anni fa" L'eurodeputata @SorayaPostFi sui pregiudizi che colpiscono le popolazioni rom e sinti. pic.twitter.com/ehoJrTNKZy
Ora queste persone vogliono tornare ad avere una voce nell’arena politica, o forse averla per la prima volta. Per rivendicare i propri diritti ma anche per contribuire a rendere il loro paese, l’Italia, un posto migliore. Rompendo una volta per tutte quello che è forse il più longevo e diffuso ciclo di stigma e discriminazione della società italiana. Quello contro rom e sinti, su cui ha preso posizione con una condanna contro l’Italia anche il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa. “Siamo sempre stati strumentalizzati in maniera negativa, come un nemico, qualcosa da estirpare dalla società”, aggiunge Sandra, 25 anni. “Invece no: siamo tanti, siamo forti, siamo uniti. E ora è giusto ascoltarci”.
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