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Roma si doterà di un termovalorizzatore per chiudere il ciclo dei rifiuti. Ma per Legambiente “è la risposta sbagliata a una domanda sbagliata”
Per risolvere l’emergenza rifiuti che da anni ormai la attanaglia, Roma si doterà di un termovalorizzatore. O come l’ha definito il sindaco Roberto Gualtieri, di un “impianto per la valorizzazione energetica dei rifiuti”. Anche detto, in sintesi, inceneritore.
La notizia arriva direttamente dal primo cittadino, che qualche giorno fa durante un Consiglio comunale ne ha dato l’annuncio un po’ a sorpresa, e con toni trionfalistici: secondo Gualtieri, in carica da pochi mesi, il nuovo impianto da 600mila tonnellate, “che intendiamo realizzare in tempi molto rapidi”, ovvero dai 4 ai 6 anni, “ci permetterà di abbattere del 90 per cento l’attuale fabbisogno di discariche”. Il nuovo impianto dovrebbe sorgere a Santa Palomba, circa 40 chilometri a sud di Roma, in una zona poco popolata.
La decisione presa dalla giunta capitolina sembra trovare per ora il favore dei cittadini che, stufi di una situazione rifiuti da anni a livelli di emergenza in città, vedono nel termovalorizzatore una soluzione per ridurre i problemi a breve termine. Il metodo scelto però non piace a chi è più sensibile a un’idea di riciclo e di potenziamento della raccolta differenziata nell’ottica di un’economia circolare. E fa storcere il naso anche a una parte della stessa maggioranza che governa il Comune.
Secondo Europa Verde, che sostiene Gualtieri in Campidoglio “si tratta di una valutazione sbagliata perché va contro le stesse direttive europee che ci dicono che bisogna prima di tutto recuperare la materia prima”. Inoltre, sottolinea il portavoce Angelo Bonelli, “l’inceneritore, perché così si chiama nelle direttive europee, non era previsto neanche dal piano rifiuti della Regione Lazio”, che comprende invece la realizzazione di due biodigestori anaerobici, due impianti per la selezione ed il recupero di carta, cartone e plastica e nuovi centri di raccolta.
Ma a circostanziare la critica all’operazione dal punto di vista tecnico è Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente, che va dritto al punto: “Gualtieri parte dalla domanda sbagliata, ovvero “come chiudere il ciclo dei rifiuti?”, per arrivare alla risposta sbagliata. Lo smaltimento è solo l’ultimo passaggio del ciclo dei rifiuti, e la verità è che a Roma questo ciclo non è mai iniziato”.
La domanda giusta che l’amministrazione capitolina avrebbe dovuto porsi, spiega Minutolo, è semmai “come diminuire i rifiuti?”. La risposta sarebbe semplice, ed è quella indicata per esempio dall’Unione europea nel fondo NextGeneration Eu: raccolta differenziata, porta a porta. Ovvero “le famose 4R di riduzione, riuso, riciclo, recupero. Non a caso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) finanzia opere volte all’economia circolare, non gli inceneritori”.
Secondo il sindaco Gualtieri il nuovo impianto e l’insieme del piano rifiuti per Roma “determineranno una riduzione delle emissioni di ben il 44 per cento, con un -15 per cento per le emissioni su attività di trasporto, -18 per cento sull’impiantistica e -99 per cento sulle emissioni da discarica”. Il direttore scientifico di Legambiente contesta però questa cifra, che non terrebbe conto della CO2 emessa dall’inceneritore, che produrrà sì energia (il fabbisogno di 150mila famiglie l’anno e quello di gas da 60mila famiglie l’anno, stima il Comune) ma finirà per bruciare anche spazzatura di pessima qualità, per esempio le plastiche miste. Inquinando.
Ma il problema più grande è che realizzare un impianto di termovalorizzazione dei rifiuti “vincola nel merito le scelte future”: di fatto, spiega Minutolo, mentre al termine di un ciclo virtuoso dei rifiuti è inevitabile che rimanga una quota di indifferenziabile “per il quale a ogni modo basterebbero gli inceneritori già presenti in Italia” che sono 37, un ciclo dei rifiuti basato sul termovalorizzatore finisce per puntare necessariamente sull’indifferenziato: “Diventa un calderone in cui finisce tutto: plastiche miste, tessuti, carta, perché il sistema è a Roma è pessimo. Manca il porta a porta, mancano impianti di compost, biogas, tutta la filiera”.
Partire dalla riduzione dei rifiuti, insomma, rappresenta il classico circolo virtuoso per cui, se si intercettassero bene queste frazioni di rifiuti differenziabili, il termovalorizzatore non servirebbe più: “Perché quello che rimane avrebbe un potere calorifico bassissimo e non converrebbe bruciarlo”. Anche perché l’Italia è vincolata anche agli obiettivi stabiliti dall’Unione europea: il primo è il riciclo di almeno il 55 per cento dei rifiuti urbani entro il 2025, quota destinata a salire al 60 entro il 2030 e al 65 entro il 2035; il secondo obiettivo è il riciclo del 65 per cento dei rifiuti di imballaggi entro il 2025 (70 per cento entro il 2030).
Partire dal termovalorizzatore, conclude Minutolo, non solo è “come costruire un mobile iniziando dalla maniglia dell’anta”, ma impedirebbe anche di tornare poi indietro, se non a costi altissimi. Creando di fatto un circolo vizioso, dal momento che gli obiettivi vanno comunque raggiunti per non incorrere in nuove procedure di infrazione, di cui l’Italia è già piena per il massiccio utilizzo delle discariche.
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