Un documentario che racconta la vita attorno ad una grande quercia attraverso gli occhi dei suoi abitanti. Un film per tutti dal 25 gennaio al cinema.
Chi è Ruth Bader Ginsburg, giudice e icona pop protagonista del documentario RBG
Da pioniera nella lotta per i diritti delle donne a simbolo per le nuove generazioni. Ecco come e perché Ruth Bader Ginsburg è diventata un’eroina, celebrata dal documentario RBG (al cinema dal 15 luglio) e dal film Una giusta causa.
In Italia in pochi sanno chi sia, ma negli Usa l’86enne Ruth Bader Ginsburg, da 26 anni giudice della corte suprema americana, oggi è un’icona pop, conosciuta con il nickname The Notorius R.B.G. e che troneggia su t-shirt, tazze e persino tatuaggi. Nata a Brooklyn nel 1933, da genitori ebrei immigrati dalla Russia, RBG fu dagli anni ’50 in poi, un’apripista nella lotta per la parità di genere. Ecco perché oggi la sua figura è considerata una delle più innovative nella lunga conquista dei diritti e delle pari opportunità per le donne. Tanto che le sue dichiarazioni e i suoi celebri dissensi continuano a influenzare, oggi, molte giovani attiviste, che hanno contribuito a fare di lei un simbolo. Testimonianza di questo status è l’attenzione che, innescatasi sul web, è poi dilagata anche sulla televisione americana e nella cultura popolare, fino a trovare la sua consacrazione al cinema, con due film su di lei, distribuiti quasi in contemporanea.
La storia di Ruth Bader Ginsburg è diventata, infatti, il soggetto sia del documentario RBG, che arriverà nei nostri cinema il 15 luglio, che del film Una giusta causa (uscito in Italia il 28 marzo).
RBG, un documentario celebrativo
Una supereroina con la toga. È questa l’immagine che le registe Julie Cohen e Betsy West tracciano di Ruth Bader Ginsburg nel loro documentario RBG, candidato agli ultimi premi Oscar e distribuito negli Usa proprio nel 25esimo anniversario dall’ingresso del giudice alla corte suprema americana (fu la seconda donna nella storia a ricevere la nomina, nel 1993). Il film è un racconto biografico e celebrativo, ma mai polemico, che usa gli stessi toni pacati e determinati, che la protagonista ha sempre adottato nella vita per sostenere le sue cause. “La rabbia è una perdita di tempo” le ripeteva sua madre, incoraggiandola nel perseguire attraverso l’impegno i suoi obiettivi. Ed è stato così che, senza mai alzare la voce, ma misurando sempre ogni parola, Ruth Bader Ginsburg ha cambiato il mondo delle donne americane e, letteralmente, “fatto la storia”.
Per dare una misura dell’impresa che il giudice si trovò a compiere negli anni in cui iniziò la sua carriera, il film fotografa la società di allora, attraverso le cause giudiziarie sostenute da RBG e ricordandoci come, nei – pur non lontanissimi – anni ’60 le donne potessero essere licenziate se incinta, che necessitassero la firma del marito per avere un conto bancario, e come lo stupro da parte del coniuge non fosse considerato un reato perseguibile. Ma l’ostacolo più subdolo che RBG si trovò ad affrontare fu il fatto che i giudici cui si trovava allora di fronte non credessero affatto che la discriminazione sessuale esistesse.
Mentre ripercorriamo così le tappe della sua carriera di studentessa, insegnante, avvocato, attivista e giudice, scopriamo anche la sua vicenda famigliare, attraverso immagini di repertorio, registrazioni di udienze, foto e filmati privati. A questi si alternano anche interviste a colleghi, amiche d’infanzia, ai figli Jane e James, alla nipote Clara, che sulle orme della nonna ha intrapreso la carriera legale, e a Shana Knizhnik, la studentessa di legge che nel 2013 coniò il nickname Notorious R.B.G.
Per costruire da subito la sua immagine da supereroina e combattente, le registe ci mostrano il giudice oggi, mentre si allena con impegno insieme al suo personal trainer, con indosso una felpa con la scritta Super Diva! Un espediente perfetto per fotografare anche l’autoironia della donna, che viene ripresa anche nel momento in cui, seduta davanti alla tv, vede per la prima volta l’irriverente imitazione di se stessa proposta dalla comica Kate McKinnon al Saturday Night Live.
Da vittima del sistema a eroina liberale
L’abilità delle registe è dunque quella di far emergere tutta la potenza simbolica della storia di Ruth Bader Ginsburg, sfruttando la sua vicenda personale. Prima di trasformarsi in una paldina della parità di genere, infatti, fu lei stessa ad essere vittima del sistema maschilista del suo tempo. Quando nel 1955 si iscrisse alla Harvard Law University Ruth era una delle nove ragazze in una classe di cinquecento ragazzi, trovandosi nella situazione di dover continuamente giustificare il fatto di “aver occupato un posto, che sarebbe potuto essere occupato da un uomo”. Una volta laureatasi Ruth diventò un avvocato in un momento in cui “le donne non erano desiderate nella professione legale”, faticando moltissimo a trovare lavoro. L’elemento che la rende ancora più eroica, però, è che quella contro la discriminazione femminile non fu l’unica battaglia che Ruth si è trovata ad affrontare nella vita. Fresca sposa e madre, la donna dovette combattere prima un cancro diagnosticato al marito e, in seguito, sconfiggere lei stessa ben due tumori.
Dietro a una grande donna c’è sempre un grande uomo
Ma RBG è anche il racconto di una storia d’amore. Quella tra la protagonista e suo marito Martin Ginsburg, conosciuto all’università e rimastole accanto per tutta la vita (lui morì nel 2010). “Un uomo straordinario”, come lei stessa lo definisce in più occasioni, ricordando anche come fosse stato “il primo che avessi mai incontrato a cui interessasse il fatto che avessi un cervello”. Riservata e timida lei, gregario e molto spiritoso lui, furono una coppia formidabile e ammirata da tutti. Al loro legame le registe dedicano, intelligentemente, ampio spazio, permettendo allo spettatore di conoscere il lato più intimo della protagonista e mostrando quanto esso abbia influito e agevolato tutta la vicenda pubblica di RBG.
The Notorious R.B.G., ecco come Ruth Bader Ginsburg è diventata un simbolo
Per capire come il giudice Ruth Bader Ginsburg sia passata dall’essere un personaggio di peso sul panorama giuridico e politico a diventare vero e proprio simbolo, bisogna tornare al giugno 2013, quando la studentessa di legge Shana Knizhnik, profondamente delusa da una decisione presa dalla corte suprema americana, decise di aprire un blog chiamandolo proprio Notorious R.B.G.. Invece di dare sfogo alla rabbia che, nelle parole della stessa Bader Ginsburg “non avvicina nessuno e non porta cambiamenti”, la ragazza reagì pubblicando il dissenso espresso dal giudice sulla decisione presa dalla corte. Il nickname, preso in prestito dall’imponente rapper The Notorious B.I.G. (assassinato nel 1997), giocava sul contrasto tra l’esile corporatura della donna e la sua grande forza morale e intellettuale. L’effetto fu dirompente, intercettando un dibattito molto sentito e finendo per trasformare quel nome in un simbolo della lotta contro ogni discriminazione. Nel giro di poco, in perfetto stile Usa, la figura del giudice, con occhialoni, toga e jabot di pizzo, finì per diventare un brand, da stampare su t-shirt, tazze e persino da farsi tatuare addosso o da indossare ad Halloween. A fare eco arrivarono presto anche le parodie i video e le imitazioni. Un’attenzione mediatica, che conferma l’attualità del tema della lotta alle discriminazioni e della parità di genere che, ricordiamo, è anche uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu per il 2030.
Una giusta causa, il biopic su Ruth Bader Ginsburg
Come accennato all’inizio, oltre al documentario RBG (che arriverà prossimamente anche in Italia grazie a Wanted Cinema e Feltrinelli Real Cinema) la storia di Ruth Bader Ginsburg è diventata il soggetto anche del biopic Una giusta causa (On the basis of sex), in cui il ruolo della protagonista è stato affidato all’attrice britannica Felicity Jones (già apprezzata ne La teoria del tutto, altro biopic dedicato a Stephen Hawking).
La sceneggiatura del film è stata scritta dal nipote di RBG, lo sceneggiatore Daniel Stiepleman, ispirato dal profondo legame dei suoi zii, oltre che dalla figura pubblica e dal ruolo avuto da Ruth Bader Ginsburg: “Non c’è stato matrimonio che io abbia ammirato di più di quello tra lo zio Marty e la zia Ruth”, racconta Stiepleman, che intuì la potenza narrativa della loro storia nel 2010, dopo la morte di Martin Ginsburg. “Quando, durante la funzione funebre, uno dei loro amici più cari si alzò e ci fece sorridere raccontando l’unico episodio di litigio tra Ruth e Marty, pensai: ‘Wow, questo potrebbe essere un film incredibile!’”.
Fu così che dopo circa un anno decise di proporre il progetto alla zia:“Chiamai Ruth e le dissi di avere un’idea per una sceneggiatura. Le chiesi il suo permesso e, se possibile, il suo aiuto. Ruth mi rispose dicendo: ‘Se è così che pensi che ti piacerebbe passare il tuo tempo…’. Così andai a Washington e trascorremmo diversi giorni insieme”.
Finito nella blacklist di Hollywood (la selezione delle sceneggiature più interessanti) il film vide così la luce nel 2018, diretto dalla regista Mimi Leder. Distribuito il giorno di Natale negli Usa è arrivato in Italia il 28 marzo 2019 distribuito da Videa e con il claim “La battaglia di una donna. La vittoria di una generazione”.
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