Se amate l’opera di Dorothea Lange, Margaret Bourke-White, Berenice Abbott e Vivian Maier, anche Ruth Orkin vi stupirà. È in mostra a Bassano del Grappa.
È un panorama vasto quello delle donne fotografe del Novecento, sebbene abbiano lavorato in un ambiente che certo non le ha favorite. La loro opera è stata spesso così di valore però da non poter essere ignorata ma anzi esaltata, salvo a volte asserlo solo dopo qualche anno. Ruth Orkin, americana di Boston, è una di loro che si distinse per l’intraprendenza e l’indipendenza sin dalla giovane età. È la prima grande occasione in Italia quella di Bassano del Grappa ai Musei civici per ammirare i suoi scatti. Dunque è bene non perderla, c’è tempo fino al 2 maggio 2022.
“Ruth Orkin. Leggenda della fotografia” per la prima volta esposta in Italia
Il titolo della mostra dovrebbe già dirvi molto sul perché visitarla. Ruth Orkin è stata eccezionale non solo come professionista ma anche come donna. Nata negli anni Venti del Novecento prima di compiere vent’anni ha cominciato a viaggiare da sola, cosa a dir poco inconsueta a quei giorni. E a farlo in bicicletta. Cose da matti, avrà pensato qualcuno. Non aveva paura, e certo aveva ben in mente sin da giovane cosa volesse fare della sua vita. Desiderava raccontare il mondo, meglio se con le immagini. Così studiò fotoreportage ed ebbe già negli inizi degli anni Quaranta le prime commissioni dal New York Times. La svolta però ci fu quando entrò a far parte della Photo league, una cooperativa di fotografi a New York – attiva dal 1936 al 1951 – i cui iscritti condividevano una serie di cause sociali e creative. È qui che Ruth Orkin incontra il fotografo e regista Morris Engel che poi diventerà suo marito oltre che suo compagno di lavoro nella comune passione cinematografica che li portò sino alla conquista del Leone d’argento al Festival di Venezia del 1953, grazie al lungometraggio indipendente “Il piccolo fuggitivo”.
“Jimmy racconta una storia” è una delle sequenze fotografiche che riscosse più successo durante la carriera di Ruth…
Ai Musei civici di Bassano del Grappa in Provincia di Vicenza troverete oltre centodieci fotografie tra le più celebri della carriera di Ruth Orkin. Uno dei suoi lavori più conosciuti per il quale in molti la ricordano è sicuramente “Don’t be afraid to travel alone” e non ci stupiamo del tema vista la sua storia. Si tratta di una sequenza di fotografie che raccontano la giornata di una straniera in Italia, a Firenze, da sola. Il bello è che tutto nacque per caso: la Orkin decise di immortalare la studentessa 23enne Jinx Allen incontrata casualmente e di fermare negli scatti una sua giornata. Il risultato è molto naturale ma allo stesso tempo cinematografico, con l’unico scopo di mostrare il divertimento di viaggiare da soli. Forse lo stesso che aveva provato Ruth anni prima.
Non è l’unica “serie” esposta in mostra: in “Jimmy racconta una storia”, l’artista fotografa dei ragazzini intenti ad ascoltare un altro amico. Niente di speciale quindi, eppure, questo meta racconto è ancora una volta molto scenico, teatrale quasi. Lo stesso accade anche in “Giocatori di carte” che ha sempre i bambini come protagonisti. E poi ci sono i ritratti, splendidi, di molti personaggi noti del tempo: Robert Capa, Marlon Brando e Woody Allen tra tutti.
Dopo quest’unica imperdibile tappa italiana, l’antologica inizierà un tour europeo ed è attesa a San Sebastian, in Spagna, e a Cascais, in Portogallo. Il biglietto della mostra costa 17 euro e la domenica alle 17:30 è prevista una visita guidata compresa nel prezzo.
Altre grandi donne fotografe: Lange, Abbott, Bourke-White, Maier
Questa bella mostra a Bassano del Grappa ci dà l’occasione per ricordare altre importanti artiste donne che si sono distinte nell’arte fotografica nel Novecento. Partiamo da Dorothea Lange per una questione anagrafica: è nata infatti nel 1895 e morta nel 1965 negli Stati Uniti. Di lei in molti ricorderanno certamente lo scatto alla Madre migrante del 1936 che ben rappresenta i suoi reportage di “denuncia” delle condizioni dei braccianti americani. La sua città è San Francisco e proprio in California è ambientato parte del suo lavoro che racconta la vita rurale in quegli anni. A lei si fa spesso riferimento quando si parla di straight photography, cioè di quel ramo della fotografia che documenta senza edulcorare o modificare ciò che si ritrae. Un’arte pura, senza filtri come quella di Dorothea Lange.
Alcuni suoi celebri scatti li troverete nella colossale mostra alla Fondazione Mast di Bologna sino al 22 maggio 2022.
Berenice Abbott (1898-1991) è una delle prime fotografe a occuparsi di soggetti scientifici in grado di rappresentare basilari processi grazie alla macchina fotografica: nel 1940 diventa anche picture editor per la rivista Science Illustrated. Una donna che riesce a far diventare arte delle bolle, un generatore, delle masse. Incredibile. Di lei ricordiamo gli scatti fortemente suggestivi di New York, sua città d’adozione, ritratta nella grande fase di trasformazione che subisce dopo gli anni della grande depressione. Si tratta delle topografie, fotografie che intendono rappresentare l’importanza dell’opera dell’uomo nel cambiamento della città: è la stessa Abbott a spiegare come sia stata la capacità umana, la scienza, l’architettura a dare un volto nuovo, una nuova identità a New York. Ci piace ricordare cosa lei stessa disse, in merito alle difficoltà incontrate nel corso della sua professione perché donna: “Il mondo non ama le donne indipendenti. Non so perché. Ma non me ne importa.”
Anche Margaret Bourke-White (1904 – 1971), statunitense, ha iniziato a vent’anni a occuparsi di fotografia, quella industriale per la precisione. Quanto mai insolito per una donna. Quegli scatti la connotano molto e sono davvero unici ma l’artista non manca di analizzare come le altre le questioni sociali, pressanti in anni di cambiamenti produttivi radicali, e poi di raccontare il dramma peggiore di tutti, la guerra mondiale, la seconda. In Russia nel ’41, quando venne invasa dai nazisti, la Bourke-White fu non solo l’unica fotografa americana testimone dell’evento, ma anche la sola fotografa straniera a Mosca. Fu anche una grande viaggiatrice e scattò e immortalò con il suo stile paesi e avvenimenti occorsi in Russia, Nord Africa, Artico, India, Corea, Cecoslovacchia.
Vivian Maier ultima tra le nostre strepitose donne fotografe solo perché la sua fama è totalmente postuma, come ormai tutti sanno. Nata nel 1926 e morta nel 2009 ha una storia ancor più bella dei suoi scatti. Un tipo bizzarro, una bambinaia che ovunque portava la sua Rolleiflex e immortalava scene di vita quotidiana, a volte apparentemente banali, altre con una sagacia, un senso dell’ironia e un’introspezione rari. Vivian Maier è una street photographer, a sua insaputa, una delle prime. Ha accumulato nella sua lunga vita migliaia di rullini scoperti quando ormai era già morta del tutto casualmente e diventati un caso internazionale. Il segreto del suo successo? Forse il fatto che sia morto con lei.
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