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Sacchetti biodegradabili, facciamo chiarezza sulla legge (e le ultime novità)
Tutto quello che c’è da sapere sull’obbligo di utilizzare sacchetti biodegradabili anche per frutta e verdura: perché si pagano e quanto costano, cosa dicono i supermercati, e i ministeri dell’Ambiente e della Salute.
Aggiornamento 5 aprile – Il parere (definitivo) del Consiglio di Stato sui sacchetti biodegradabili portati da casa. Lo scorso 29 marzo, il Consiglio di Stato si è espresso circa la possibilità da parte dei clienti di portare i sacchetti biodegradabili da casa o comunque di poter acquistare i sacchetti al di fuori del servizio commerciale. La risposta è stata affermativa: “Fermo restando il primario interesse alla tutela della sicurezza ed igiene degli alimenti, è possibile per i consumatori utilizzare nei soli reparti di vendita a libero servizio (frutta e verdura) sacchetti monouso nuovi dagli stessi acquistati al di fuori degli esercizi commerciali, conformi alla normativa sui materiali a contatto con gli alimenti, senza che gli operatori del settore alimentare possano impedire tale facoltà né l’utilizzo di contenitori alternativi alle buste in plastica, comunque idonei a contenere alimenti quale frutta e verdura, autonomamente reperiti dal consumatore; non può inoltre escludersi, alla luce della normativa vigente, che per talune tipologie di prodotto uno specifico contenitore non sia neppure necessario”. In pratica si possono portare i sacchetti da casa, autonomamente acquistati. Inoltre non sono esclusi altri imballaggi, come retine di plastica o sacchetti di carta. Ora la decisione passa al ministero della Salute, che dovrà fornire le nuove regole, alla luce della decisione della giustizia amministrativa.
Sacchetti biodegradabili, il caso
La parola d’ordine delle prime ore del 2018 sembra essere stata “indignazione”. Ma non per temi di estrema attualità (come i corposi rincari di gas ed elettricità, tanto per citarne alcuni), ma per una vicenda che ha quasi del surreale. Dal primo gennaio infatti è scattato lo stop ai sacchetti di plastica e quindi l’obbligo per supermercati e la grande distribuzione di fornire ai consumatori sacchetti biodegradabili da utilizzare nel reparto ortofrutticolo, a spese del consumatore.
Perché la legge sui sacchetti biodegradabili
La norma scattata con l’inizio del nuovo anno è figlia del recepimento di una direttiva europea (dir. 2015/720) per la quale l’Italia era in procedura di infrazione. La direttiva “riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero”, adottata “al fine di prevenire o ridurre l’impatto degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sull’ambiente”. Ovvero l’Europa già nel 2015, seguendo tra l’altro l’esempio del nostro Paese, primo tra tutti a vietare le buste della spesa in plastica, poneva l’accento sulla necessità di ridurre l’impiego di imballaggi in plastica, e di conseguenza il loro impatto, sia per quanto riguarda l’uso delle risorse (che provengono da fonti fossili) sia per il loro smaltimento.
Da qui l’aggiunta dell’articolo 9 bis al decreto legge 20 giugno 2017, n.91, definito anche “decreto Mezzogiorno”, convertito in legge il 3 agosto 2017. L’articolo 226 ter stabilisce così le norme “al fine di conseguire, in attuazione della direttiva 2015/720, una riduzione sostenuta dell’utilizzo di borse di plastica, è avviata la progressiva riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero diverse da quelle aventi entrambe le seguenti caratteristiche, attestate da certificazioni rilasciate da organismi accreditatati: a) biodegradibilità e compostabilità secondo la norma armonizzata Uni En 13432:2002; b) contenuto minimo di materia prima rinnovabile”.
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Sacchetti ortofrutta biodegradabili, perché pagarli
Lo stabilisce la legge: “Le borse di plastica di cui al comma 1 non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti trasportati per il loro tramite”. Ed è indubbiamente su questo punto che si sono scatenate le polemiche. E le bufale.
La nuova legge sull’uso dei #sacchetti, come spiegato bene in questo approfondimento di @AlessiaMorani mira a ridurre l’inquinamento e a favorire il riuso. Inoltre la nuova legge recepisce una direttiva europea che, se non attuata, avrebbe portato a una multa per il nostro Paese pic.twitter.com/tJGyZfuSmS
— Partito Democratico (@pdnetwork) 2 gennaio 2018
Alessia Morani, deputata del Partito democratico, spiega in rete che “è illegale per gli esercenti richiedere un contributo superiore ai 2 centesimi”, e che se dovesse accadere, sarebbe da “denunciare alle associazioni dei consumatori o alle istituzioni”. Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente commenta invece che: “L’innovazione ha un prezzo ed è giusto che i bioshopper siano a pagamento, purché sia garantito un costo equo che si dovrebbe aggirare intorno ai 2/3 centesimi a busta. Così come è giusto prevedere multe salate per i commercianti che non rispettano la vigente normativa”. Ovvero, pagare il sacchetto permetterà al consumatore di dargli un valore economico (che prima non era visibile ma che si pagava comunque) e quindi fargli adottare un comportamento più consapevole.
L’Europa esortava gli Stati membri a “scegliere di esonerare le borse di plastica con uno spessore inferiore a 15 micron (borse di plastica in materiale ultraleggero, quelle della frutta appunto) fornite come imballaggio primario per prodotti alimentari sfusi, ove necessario per scopi igienici oppure se il loro uso previene la produzione di rifiuti alimentari”. In questo caso l’Italia ha scelto invece di inserire le buste leggere e di farle pagare ad un costo minimo. In questo modo anche il consumatore dovrà farsi carico del proprio stile di vita.
Quanto spenderemo in più?
Facendo un calcolo al rialzo, mettiamo che una famiglia media faccia la spesa tre volte la settimana, acquistando cinque generi alimentari diversi. In tal caso, la spesa annuale per i sacchetti (con costo di 0,02 euro) sarebbe di 14,40 euro. Secondo i dati Gfk-Eurisko, che ha fatto i calcoli prima dell’entrata in vigore della legge, “ogni famiglia consuma una media di 417 sacchetti all’anno. Il costo per famiglia sarà di 4,17 -12,51 euro”.
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Perché non si può riutilizzare il sacchetto per fare la spesa
Ancora una volta lo stabilisce la legge: “Sono fatti comunque salvi gli obblighi di conformità alla normativa sull’utilizzo dei materiali destinati al contatto con gli alimenti adottata in attuazione dei regolamenti (Ue) n. 10/2011, (Ce) n. 1935/2004 e (Ce) n. 2023/2006, nonché il divieto di utilizzare la plastica riciclata per le borse destinate al contatto alimentare”. L’obiettivo è tutelare sia l’esercente sia il consumatore da tossinfezioni.
A gennaio il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti aveva fatto sapere che “stiamo verificando con il ministero della Salute la possibilità di consentire ai consumatori di usare sporte portate da casa in sostituzione dei sacchetti ultraleggeri, convinti come siamo che il miglior rifiuto è sempre quello che non si produce”. Sottolineando comunque che: “Le polemiche sul pagamento di uno o due centesimi a busta sono solo un’occasione di strumentalizzazione elettorale dato che appare evidente che si tratta di una operazione-trasparenza voluta dal Parlamento unanime”.
“Le buste più ambientalmente sostenibili e con una sempre maggiore percentuale di biodegradabilità sarebbero state comunque pagate dai consumatori, come del resto accadeva per quelle in uso fino al 31 dicembre, con un ricarico sul prezzo dei prodotti. Oggi il consumatore sa quanto costa l’impegno di ciascuno per la lotta alle plastiche e alle microplastiche che infestano i nostri mari e finiscono nella nostra catena alimentare”.
Mentre il ministero della Salute fa sapere che: “Non siamo contrari al fatto che il cittadino possa portare i sacchetti da casa, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti”, come spiega il segretario generale del dicastero Giuseppe Ruocco. “Il riutilizzo dei sacchetti determinerebbe infatti il rischio di contaminazioni batteriche con situazioni problematiche”. In molti riportano l’esempio della Svizzera, dove è possibile impiegare delle retine in cotone lavabili dove apporre l’etichetta di volta in volta.
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Sacchetti biodegradabili riutilizzabili, per la raccolta differenziata
Proprio così, i sacchetti biodegradabili per imballare frutta e verdura possono essere riutilizzati per fare la raccolta differenziata. E a un costo minore di quelli acquistati normalmente, anche se più leggeri e quindi più fragili. Le buste acquistate per frutta e verdura potranno essere impiegate per la raccolta differenziata dell’umido, a patto venga asportata l’etichetta. Alcuni punti vendita, come Esselunga, adottano già da tempo un’etichetta con inchiostro compostabile: di conseguenza non servirà toglierla.
Cosa dicono (e cosa fanno) le catene di supermercati
Interpellata, Coop spiega: “Fin dall’inizio Coop si è sempre dichiarata contraria a far pagare ai consumatori il sacchetto, ma la normativa è dirimente su questo punto. Allora Coop si è impegnata a contenere il prezzo di ciascun sacchetto e ha chiesto di venderli sottocosto al prezzo di 2 centesimi di euro. Eccezione fatta per la Toscana dove il prezzo scende a 1 centesimo di euro in virtù del fatto che avendo avviato prima la sperimentazione in alcune aree è stato possibile contenere ulteriormente i costi di applicazione della norma che, apparentemente semplice, in realtà comporta una serie di nuove modalità gestionali non indifferenti”. Inoltre nei punti vendita, Coop invita direttamente “a evitare i sacchetti quando si ha a che fare con frutta dalla buccia non edibile (tipo cocomeri, meloni, banane) e negli altri reparti (gastronomia, forneria) optiamo quando possibile per l’uso della carta al posto del sacchetto biodegradabile. Tutto ciò in linea con l’intento originario della Legge che è appunto quello di limitare lo spreco”. Inoltre nel caso si trattasse di frutta singola “sulla cui buccia viene posizionato lo scontrino se si tratta di un solo frutto alla cassa è possibile stornare il costo del sacchetto (nella maggior parte dei casi; ci sono però punti vendita dove per limiti gestionali ciò non è possibile)”.
Esselunga dal canto suo fa sapere che già dal 2017 aveva introdotto l’impiego dei sacchetti biodegradabili nel reparto ortofrutta, non facendoli però pagare. Ora per rispettare le norme ed evitare multe onerose, la catena ha deciso di adeguarsi, facendoli pagare 0,01 euro. Inoltre ha già adottato etichette con inchiostro compostabile, permettendo di fatto il riutilizzo del sacchetto nella raccolta differenziata. Inoltre già da tempo catene come Eataly e il gruppo EcorNaturaSì forniscono ai proprio clienti sacchetti biodegradabili, anticipando di fatto la legge.
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Meno plastica più salute
È inutile negarlo, il problema di plastiche e microplastiche presenti ormai a tutti i livelli della catena alimentare è un dato di fatto. Gli oceani sono sommersi da milioni di tonnellate di plastica, tra cui gli shopper. Secondo un recente rapporto di Arpat Toscana: “Nel mare tra Italia, Spagna e Francia c’è una concentrazione di plastica che supera quella del cosiddetto ‘continente spazzatura’ presente nell’Oceano Atlantico. La plastica rappresenta il principale rifiuto rinvenuto nei mari poiché costituisce dal 60 per cento all’80 per cento del totale dell’immondizia trovata nelle acque. Un dato che, in alcune aree, raggiunge persino il 90-95 per cento del totale ma anche nei mari italiani arriva a livelli gravissimi”.
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La risposta della politica
La risposta di Matteo Renzi ai vari attacchi mediatici è arrivata via Facebook: “L’ultima che sta girando molto via sms è che avrei organizzato un complotto per aiutare miei amici e cugini di terzo grado impegnati nella fabbricazione di sacchetti”. La verità, come spiegato poco più su, è che è stata recepita una direttiva europea per la quale l’Italia era già in infrazione, oltre al fatto che quello delle bioplastiche è un settore di eccellenza tutto italiano. Che spingerà il fatturato non solo dell’azienda citata dal presunto complotto (la Novamont), ma delle altre 150 sparse in tutto il territorio italiano. Sarebbe bastato farsi un giro a Rimini, durante l’ultima edizione di Ecomondo, fiera sull’economia circolare, per conoscere e toccare con mano una realtà italiana che ha già fatto scuola in tutto il mondo. Ma no, è più facile indignarsi per 0,02 euro.
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