Le opposizioni unite hanno presentato una proposta di legge per un salario minimo legale fissato a 9 euro l’ora: una questione di dignità del lavoro.
- Le opposizioni hanno presentato una proposta di legge per un salario minimo a 9 euro l’ora.
- La maggioranza è contraria perché danneggerebbe la contrattazione collettiva.
- L’Italia è l’unico paese del G7 a non avere una misura del genere.
L’Italia ha una proposta di legge per un salario minimo, fissato inderogabilmente a 9 euro l’ora. Una proposta di legge pensata per porre fine al fenomeno dello sfruttamento sul lavoro, in un paese in cui circa 3 milioni di italiani sono in condizione di povertà anche se lavorano: la cosiddetta in-work poverty.
Alla proposta sul salario minimo si è arrivati sulla base di un accordo tra tutte le forze di opposizione (con eccezione del partito Italia Viva guidato da Matteo Renzi): tutte volevano una forma di sostegno al reddito di questo tipo, soprattutto dopo l’eliminazione del reddito di cittadinanza che sparirà nel 2024, tutte hanno accettato di trattare con le altre forze e limare le differenze sulla cifra, che andava dai 10 euro della sinistra ai 7 euro dei partiti più centristi.
Cosa prevede la proposta di salario minimo
La proposta di legge sul salario minimo si basa su alcuni punti fermi e entrerebbe in vigore nel novembre 2024: il primo è che al lavoratore di ogni settore economico deve essere riconosciuto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, salvo restando i trattamenti di miglior favore. Vale a dire che naturalmente si potrà sempre guadagnare di più di 9 euro all’ora, ma mai di meno.
È molto importante che questo punto preceda quello che individua il salario minimo, perché così si facendo si neutralizzano di fatto tutte le contestazioni di chi afferma che, introducendo un tetto minimo, si renda inutile la contrattazione collettiva tramite i sindacati, e che anzi si crei una tendenza al ribasso dei salari. È solamente “a ulteriore garanzia” del riconoscimento di una giusta retribuzione, infatti, che viene comunque introdotta una soglia minima inderogabile di 9 euro all’ora, per tutelare in modo particolare i settori più fragili e poveri del mondo del lavoro, nei quali è più debole il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali.
Il salario minimo di 9 euro, nella proposta delle opposizioni, non riguarda solo i lavoratori subordinati, ma anche i rapporti di lavoro para-subordinati (quei lavoratori che, in teoria autonomi sono comunque inseriti nell’impresa del committente, forniscono una prestazione continuativa, rispettano un orario di lavoro preciso e percepiscono una retribuzione fissa) e i lavoratori autonomi.
Inoltre la proposta prevede che una Commissione composta da rappresentanti istituzionali e delle parti sociali più rappresentative dovrà aggiornare una volta l’anno il trattamento economico minimo orario: in pratica, con l’aumento dell’inflazione e del costo della vita, la soglia del salario minimo potrebbe essere anche rivisto al rialzo. Un’altra risposta a chi sottolinea il rischio che molte imprese vadano in sofferenza, se non in crisi, trovandosi costrette ad alzare i salari fino a 9 euro l’ora, viene dall’ultimo punto della proposta di legge, che prevede che sia riconosciuto un beneficio economico provvisorio a sostegno dei datori di lavoro per i quali questo adeguamento risulti più oneroso.
Chi gode del salario minimo e chi no
La discussione del provvedimento alla Camera è già in programma per il 27 luglio, prima della pausa estiva: ma quanto è reale la possibilità che si arrivi a una approvazione? Al momento, non tantissime, perché l’attuale maggioranza si è più volte espressa negativamente sull’idea di un salario minimo stabilito per legge: la ministra del Lavoro Marina Calderone si dice “poco convinta che si possa arrivare per legge a un salario minimo: è meglio investire sulla contrattazione collettiva di qualità”. E anche alcuni sindacati, per esempio la Cisl, si sono detti contrari a questa misura, che sminuirebbe in qualche modo il ruolo del sindacato e della contrattazione collettiva.
Contrattazione collettiva che però, pur essendo molto diffusa in Italia, al punto di coprire oggi circa l’80 per cento dei lavoratori, non sempre funziona come si dove, per una serie di fattori. Il primo è che di contratti collettivi di lavoro ce ne sono fin troppi: 966 sono quelli registrati al Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, e sono tutti consultabili qui. Molti di questi sono considerati marginali, ossia coprono meno di 500 lavoratori, e non sono stipulati dai sindacati più rappresentativi. Spesso non sono altro che accordi stipulati all’interno di una singola azienda, al ribasso rispetto a quelli della stessa categoria di lavoro. Al punto che ad oggi, come emerso da alcune audizioni alla Camera dello scorso 27 giugno, oltre 4,5 milioni di lavoratori regolari percepiscono meno di 9 euro l’ora, soprattutto in determinati settori: braccianti agricoli, collaboratori domestici, rider, vigilantes privati, addetti dei call center e così via.
I casi di salario minimo nel mondo
Per evitare queste storture nel mercato del lavoro, quasi tutti i Paesi dell’Unione europea ormai fanno ricorso a una salario minimo: non ce l’anno l’Austria e la Svezia, paesi ad alto tenore di vita dove probabilmente non ce n’è bisogno. Ma c’è in Portogallo, in Spagna, in Francia, anche nella ricca Germania e nei Paesi Bassi, perfino negli Stati Uniti, in Australia e in Gran Bretagna. C’è in tutti i Paesi del G7 tranne che in Italia e l’andamento dei salari in questi paesi indica che, generalmente, da quando è stato introdotto un salario minimo i salari sono rapidamente cresciuti nel corso degli anni. In Germania e in Gran Bretagna, tra il 1990 e il 2020, sono cresciuti del 30 per cento. In Italia sono diminuiti del 2,9 per cento, anche se proprio oggi l‘Istat ha segnalato un aumento di 3,2 punti percentuali.
Una questione di dignità
Nel complesso dei Paesi che fanno parte dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, e che hanno un salario minimo, questo corrisponde in mediana (la media depurata dagli eccessi in alto e in basso) al 60 per cento del salario medio. La soglia dei 9 euro in Italia corrisponderebbe al 75 per cento dei salari percepiti in Italia. “Abbiamo deciso di attestarci un po’ più in alto – ci spiega Cecilia Guerra, ex viceministra del Lavoro e responsabile delle politiche per il Lavoro del Partito democratico, che ha lavorato sulla proposta di legge .- perché le retribuzioni non sono state ancora aggiornate a causa dell’inflazione, perché i contratti sono fermi…”.
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. (Articolo 36 della Costituzione)
Ma soprattutto, aggiunge, “dobbiamo riferirci all’articolo 36 della Costituzione: definiamo cosa è la giusta retribuzione proporzionata a quantità e qualità del lavoro svolto, e diamo un parametro certo. Dopodiché neanche la contrattazione collettiva deve andare sotto quello che è dignità, sennò non è la Costituzione. La dignità per noi parte da 9 euro“.
Questo non vuol dire, però, che a quella cifra ci si debba fermare. “Non è solo il minimo quello che importa – sottolinea Guerra – ma che d’ora in poi ogni lavoratore, in qualsiasi settore, potrà richiedere l’applicazione del contratto siglato dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative. Questo è il punto essenziale: si salva la contrattazione, e sotto una certa soglia non si va”.
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