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Salvador Allende. I mille giorni del socialismo cileno finiti sotto le bombe
50 anni fa, l’11 settembre 1973, un colpo di stato militare portò alla destituzione in Cile di Salvador Allende e alla dittatura di Pinochet.
11 settembre 1973. Sono le 7 e 55 minuti del mattino. A Santiago del Cile la vita scorre apparentemente come sempre. Gli operai che entrano nelle fabbriche, i negozi che si apprestano ad aprire, il traffico nelle strade. Nessuno sa che quel giorno segnerà per sempre la storia della nazione sudamericana e del mondo intero.
11 settembre 1973, quando la democrazia morì in Cile
Il presidente democraticamente eletto, Salvador Allende, è costretto ad impugnare il microfono intervenendo in diretta a Radio Corporación. Parla da La Moneda, il palazzo del governo. Qualcosa di grave sta accadendo sulla costa, a pochi chilometri dalla capitale: “Viene segnalato da informazioni certe che un settore della Marina avrebbe isolato Valparaiso e che la città sarebbe stata occupata. Ciò rappresenta una sollevazione contro il governo, legittimamente costituito, sostenuto dalla legge e dalla volontà del cittadino. In queste circostanze, mi rivolgo a tutti i lavoratori. Occupate i vostri posti di lavoro, recatevi nelle vostre fabbriche, mantenete la calma e la serenità. Finora a Santiago non ha avuto luogo alcun movimento straordinario di truppe. In ogni caso io sono qui, nel palazzo del governo, e ci resterò per difendere l’esecutivo che rappresento per volontà del popolo”.
Passano 20 minuti. Sulla stessa frequenza, Allende conferma l’esistenza di un tentativo di colpo di stato: “Lavoratori del Cile: vi parla il presidente della Repubblica. Ho dato ordine alle truppe dell’esercito di dirigersi a Valparaiso per soffocare il tentativo golpista”. Mezz’ora più tardi, si percepisce che tutto sta precipitando. Il presidente spiega che “la situazione è critica: siamo in presenza di un colpo di stato che vede coinvolta la maggioranza delle forze armate. Che lo sappiano, che lo sentano, che se lo mettano in testa: lascerò La Moneda nel momento in cui porterò a termine il mandato che il popolo mi ha dato. Non ho alternative. Solo crivellandomi di colpi potranno fermarmi”.
“È l’ultima opportunità di rivolgermi a voi, pagherò con la vita”
Alle 9:30 Allende cambia frequenza. Parla stavolta da Radio Magallanes. E si capisce che è la fine: “Questa è probabilmente l’ultima opportunità che ho di rivolgermi a voi. Le mie parole non contengono amarezza bensì disillusione. Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo. Lavoratori della mia patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riposto in un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la legge, e cosi fece”.
Neanche due ore, per l’epilogo di una parabola durata quasi tre anni e che aveva visto Salvador Guillermo Allende Gossens, nato il 26 giugno 1908, medico, discendente da una famiglia borghese, diventare il primo leader socialista democraticamente eletto nella storia. Una rivoluzione. In tutti i sensi. Che fin dall’inizio verrà osteggiata, sabotata, ostacolata non soltanto dalle forze reazionarie cilene ma anche dalla diplomazia degli Stati Uniti e dai grandi conglomerati industriali internazionali.
Quando si presentò alle elezioni, Salvador Allende, era il 4 settembre del 1970. Ottenne il 36,6 per cento dei voti, superando di poco l’ex presidente conservatore Jorge Alessandri Rodriguez, che si fermò al 35,3 per cento e il democristiano Radomiro Tomić, al quale andò il 28,1 per cento. Quelle elezioni ebbero un’eco planetaria e segnarono una svolta.
Salvador Allende, ovvero la via cilena al socialismo
Allende, sostenuto da una coalizione di partiti di sinistra chiamata Unità popolare, poteva tentare di instaurare una democrazia socialista in modo non-violento e nella completa legalità. Era “la via cilena al socialismo”. Interrotta dal colpo di stato militare che, quell’11 settembre 1973 condusse al potere il generale Augusto Pinochet, che instaurò una dittatura fascista sanguinaria, che terminerà decenni di anni e decine di migliaia di morti, torturati e desaparecidos più tardi.
Quei tre anni, però, per molti versi furono straordinari. Sia per ciò che si tentò di fare in Cile, sia per lo smascheramento della politica estera di Washington. Sin dal giorno successivo allo scrutinio, l’ambasciatore statunitense in Cile, Edwars Sorry, avvertì il governo americano: “Né i politici né le forze armate si sono opposti all’elezione di Allende. Non abbiamo più la minima speranza”. Per gli americani la vittoria socialista era inattesa. L’uomo già ricco del Cile, Agustin Edwards, si recò in gretta e furia dal miliardario Nelson Rockefeller per chiedere aiuto, e insieme incontrarono il direttore della CIA, Richard Helms, e il presidente americano Richard Nixon in persona.
La reazione della Casa Bianca alle elezioni del 1970
I servizi segreti statunitensi adottano un piano con l’obiettivo di impedire ad Allende di formare un governo. Quel progetto fu battezzato Track One e puntava a convincere i deputati a rieleggere Alessandri. Ma la democrazia cristiana cilena decise di rispettare il voto popolare, dietro l’assicurazione che il nuovo presidente rispetterà la Costituzione e le libertà fondamentali. Cosa che Allende fece: durante il suo governo non furono chiusi giornali, non fu operata alcuna censura, non fu ostacolata la giustizia né si intervenne per orientare le decisioni parlamentari.
Eppure Nixon propose la promozione di un golpe attraverso una seconda procedura, chiamata Track Two o Fubelt Operation, che avrebbe previsto l’impiego dell’esercito cileno, agli ordini di Roberto Viaux e il movimento di estrema destra Patria e libertà. Ma la morte del capo di stato maggiore Réné Schneider, ad opera di elementi militari, convinse Washington a rinunciare. Così, le elezioni in parlamento si svolsero e Allende fu eletto con una schiacciante maggioranza: 153 voti su 195.
La fine del latifondismo, le nazionalizzazioni, il latte per i bambini, l’istruzione per tutti
Nel corso del primo anno di governo, Allende applicò il programma con cui era stato eletto: numerose imprese vennero nazionalizzate, tra le quali il 90 per cento delle banche, la compagnia aerea di bandiera e le miniere di rame, che rappresentavano i tre quarti delle esportazioni cilene. Una riforma agraria concedette 10 milioni di ettari a più di 100mila famiglie, anche espropriando quasi cinquemila terreni di proprietà di latifondisti.
Furono al contempo avviati numerosi progetti di lavori pubblici, come nel caso della metropolitana per collegare il centro di Santiago ai quartieri operai e disagiati. Mentre furono costruite numerose case popolari. Il governo decise poi di calmierare i prezzi di tutti i beni di largo consumo, e contemporaneamente aumentò i salari dei lavoratori (tra il 40 e il 60 per cento, secondo i piani).
Il “Compagno presidente”, come si faceva chiamare Allende, si lancia nella “via cilena al socialismo” anche con una riforma del sistema sanitario e dell’istruzione; con un programma di consegna alle famiglie di latte gratuito, pagato dallo stato: mezzo litro al giorno per ciascun bambino; una tassa sui profitti; una moratoria sul rimborso del debito estero. Il tutto con l’obiettivo prioritario di sostenere i più poveri e le classi popolari. Risultato: il Prodotto interno lordo crebbe del 9 per cento nel 1971 e la disoccupazione scese al 3,1 per cento l’anno successivo.
La lotta contro l’analfabetismo, il divorzio, i libri a prezzi stracciati e i sussidi ai poveri
E nel tentativo di migliorare le condizioni delle donne fu introdotta un’apposita Segreteria, deputata ad esempio all’assistenza prenatale, alla creazione di centri per la cura della salute femminile. Mente la durata del congedo per maternità passò da sei a dodici settimane. Il governo estese poi il diritto di voto agli analfabeti e abbassò l’età minima a 18 anni. Nel 1971 fu nazionalizzata la casa editrice Quimantu Editoriale, grazie alla quale furono stampati 8 milioni di libri più altri 4 milioni di riviste e testi, proposti sul mercato a prezzi stracciati. E furono offerti sussidi alle famiglie povere per sostenere la scolarizzazione dei figli. In pochi anni le iscrizioni arrivarono ai massimi storici, e il tasso di analfabetismo fu ridotto drasticamente.
Al contempo, vennero estese le coperture sociali, fu legalizzato il divorzio e annullate le sovvenzioni pubbliche alle scuole private, in maggioranza cattoliche. Troppo per i democristiani, che sebbene si fossero schierati con il centro-sinistra nel 1970, via via si spostano sempre più a destra. Anche per via dei rapporti, malvisti, di Allende con la diplomazia di Cuba e in particolare con la persona di Fidel Castro.
Nixon, Kissinger e la Cia contro il governo Allende
In politica estera fu un autentico dietrofront. Il Cile, fino a quel momento alleato ferreo degli Stati Uniti, sceglie il Movimento dei non allineati. Anche perché in America Latina solo Cuba, il Perù e il Messico guardano con favore a Allende. Ma numerosi furono i ponti – commerciali e diplomatici – lanciati verso numerose nazioni africane e asiatiche. Al contrario, il leader socialista si oppose all’Organizzazione degli stati americani e all’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (Gatt), entrambi vicini e favorevoli agli interessi degli Stati Uniti.
Troppo anche per la Casa Bianca: di fronte al Consiglio nazionale per la sicurezza, Nixon dichiarò senza mezzi termini: “La nostra principale preoccupazione per il Cile è che Allende possa consolidare il suo potere. Non dobbiamo lasciare che l’America Latina pensi che si possa scegliere quella strada senza subire conseguenze”. Le grandi multinazionali vengono riunite dal segretario di stato americano Henri Kissinger con l’obiettivo di destabilizzare il Cile. La Cia invia alle spie presenti sul posto la richiesta di “sostenere un’azione militare che avrà luogo appena possibile”. Le manovre americane nella nazione sudamericana sono state confermate da documenti declassificati decenni più tardi.
Il bombardamento della Moneda e l’inizio dell’era fascista di Pinochet
William Colby, direttore dell’agenzia dal 1973 al 1976, affermerà nelle sue memorie che Washington spese milioni di dollari per cercare di “creare un clima propizio ad un golpe”. A cominciare da scioperi e manifestazioni. E un primo tentativo di rovesciare il potere arrivò già nel giugno del ’73, ma fu represso. Allende tentò allora di aprire il governo alla presenza di militari, tra i quali Carlos Prats e lo stesso Augusto Pinochet. Nonostante ciò, mai è stato ufficialmente attribuito il colpo di stato del ’73 agli Stati Uniti.
Quello che è certo è che Allende morì quell’11 settembre, fedele ai suoi ideali, al suo mandato presidenziale e ai suoi impegni con le istituzioni. Lasciò il suo paese nel palazzo del governo che tremava sotto le bombe dell’aeronautica. Il tempo di un ultimo discorso alla radio. Parole che rimarranno incise nella storia del Cile e del mondo intero, capaci di commuovere, indignare e far incredibilmente, ancora, sperare: “Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi. Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all’allegria e allo spirito di lotta. Mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo. La storia li giudicherà. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento si impone. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà vano”.
Con lui, a La Moneda, rimasero i fedelissimi. Gli uomini del Grupo de Amigos del Presidente che ne garantivano la sicurezza. Il direttore generale dei Carbineros de Chile, che si era rifiutato di partecipare al golpe. La sua segretaria personale, che contravvenendo alla richiesta esplicita di Allende, si nascose per rimanergli vicino. E il celebre scrittore Luis Sepúlveda. Lui – con tanti altri: letterati, musicisti, registi e attori – contribuirà nel tempo a tenere vivi i fili della memoria, a non disperdere quell’esperienza – unica nel suo genere – di storia. Quei mille giorni di Allende che cambiarono il volto del paese. E quel martedì 11 settembre che segnò la fine della democrazia cilena.
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