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La battaglia di Sangihe, l’isola indonesiana che non vuole diventare una miniera d’oro
Abbiamo parlato con la comunità di Sangihe, un’isola dell’Indonesia che lotta contro un progetto multinazionale che vuole trasformarla in un’enorme miniera d’oro e argento.
“Se non fermiamo la miniera d’oro, il paesaggio della nostra isola rischia di uscirne stravolto. Le trivellazioni a cielo aperto in programma sono molto dannose per l’ambiente e possono minacciare la nostra sicurezza”. Jull Takaliuang è la coordinatrice del gruppo Save Sangihe island (Ssi), che da anni si batte per difendere la piccola isola indonesiana di Sangihe dalle mire estrattive della compagnia Pt tambang mas Sangihe (Pt), a maggioranza canadese. Quest’ultima ha infatti ottenuto dal governo locale la concessione per cercare oro su 42mila ettari di territorio, circa metà dell’isola.
La comunità locale teme che l’attività estrattiva possa avere conseguenze ambientali drammatiche. Anche la legislazione statale fino a poco tempo fa proibiva interventi invasivi di questo tipo, poi è stata appositamente cambiata. A rischio c’è la foresta ma anche le specie che vi abitano, in particolare alcuni uccelli che si credevano estinti e che invece continuano a esistere in pochissimi esemplari. Ma il timore è anche per l’economia della comunità locale, che potrebbe trovarsi in ginocchio a causa delle trasformazioni causate dalla miniera.
L’oro di Sangihe
L’isola di Sangihe è grande poco più del lago di Garda ed situata nella provincia Sulawesi settentrionale. Sono due i motivi per cui è conosciuta: innanzitutto il Gunung Awu, vulcano la cui ultima eruzione risale al 2004 e che nel corso dei decenni tra colate di lava e terremoti ha causato migliaia di vittime. In secondo luogo le sue riserve aurifere e di argento, localizzate nella parte sud-orientale dell’isola. L’oro di Sangihe è stato scoperto nel 1986 grazie a diverse ispezioni e campionamenti portati avanti da società local, attività che non si sono mai fermate. Oggi si stima che nell’area ci siano oltre 114mila once di oro, a cui si aggiungono più di un milione di once di argento.
Nel gennaio scorso il governo indonesiano ha dato alla Pt tambang mas Sangihe (Pt), realtà al 70 per cento in mano alla compagnia estrattiva canadese Baru gold corporation e al 30 per cento ad altre società indonesiane, la concessione per fare di metà dell’isola di Sangihe, circa 42mila ettari, un enorme miniera d’oro e d’argento. Una decisione che si trascinava dal 2009 e che è in contrasto con la legge costituzionale 27/2007, che sottolinea come “nessuno è autorizzato a sfruttare i minerali sulle isole con una superficie inferiore a 2mila metri quadrati”. Sangihe ne misura poco più di 500. Per risolvere il problema, il governo ha però introdotto una deroga.
Nei mesi scorsi il colosso canadese ha approvato il suo budget annuale, che prevede un primo programma di perforazione di 35mila metri che doveva partire a luglio e andare avanti per 13 mesi. Il Covid-19 ha rallentato la corsa all’oro, assieme a un violento tifone che negli scorsi mesi si è abbattuto sull’isola, creando problemi alle telecomunicazioni e ai trasporti. A costituire un ulteriore ostacolo alle attività c’è però anche la battaglia che la comunità locale sta conducendo al progetto estrattivo multinazionale.
Foresta e uccelli a rischio
“Il territorio di Sangihe è molto vulnerabile”, denuncia Jull Takaliuang, coordinatrice di Save Sangihe island (Ssi). Terremoti, vulcani, inondazioni, frane hanno segnato la storia recente dell’isola e non è un caso che un regolamento statale del 2014 la includa nella lista delle zone a rischio calamità. La vita qui poggia dunque su un equilibrio precario, che rischia di essere compromesso dall’attività estrattiva e dalla sua estesa portata.
L’area di concessione mineraria corrisponde al 57 per cento di Sangihe, questo significa che più di metà dell’isola si troverebbe in mano alla compagnia multinazionale aurifera. “Stiamo parlando di sette sottodistretti, 80 villaggi e una popolazione complessiva di 58mila persone”, sottolinea Takaliuang, che si sofferma poi sulle conseguenze per la vita degli isolani. “La foresta protetta di Sahendarumang ha una funzione molto importante per l’economia della comunità. Qui nascono 70 tra fiumi e affluenti che sono fondamentali per le attività a valle, come la produzione del sago, che richiede molta acqua pulita. Inoltre, l’agricoltura è un pilastro dell’economia locale e le attività dei contadini dipendono anche dalla disponibilità di acqua che arriva da quelle stesse foreste dove dovrebbe sorgere la miniera”. C’è poi il tema della pesca, con molti villaggi dell’area che sono abitati da pescatori: il timore è che gli scarichi dell’attività estrattiva possano finire in mare e uccidere una delle attività economiche più diffuse sull’isola.
La lotta della comunità locale per la salvaguardia della foresta dall’estrattivismo ha poi anche un’altra componente, quella che riguarda la protezione della flora e della fauna, in particolare gli uccelli. Qui si trovano specie in via di estinzione, o addirittura che si credevano estinte e che poi sono state ritrovate alla fine degli anni Novanta, come è il caso del Seriwang. Distruggere il suo habitat sarebbe una sentenza di morte definitiva. “Il mondo dovrebbe avere un obbligo collettivo a salvaguardare la vita di animali endemici come l’uccello Seriwang e a combatterne il rischio di estinzione”, spiega Takaliuang. “Questi uccelli endemici hanno bisogno di una foresta sicura. È molto importante mantenere intatto l’ecosistema che gira intorno alla foresta di Sahendarumang”.
Una lunga battaglia
La comunità di Sangihe non è stata coinvolta dal governo nelle discussioni sul progetto estrattivo. “La redazione dei documenti di valutazione di impatto ambientale, del piano di gestione ambientale e del piano di monitoraggio ambientale sono avvenute senza alcun nostro coinvolgimento”, denuncia Takaliuang. Gli isolani hanno alzato la voce, anche la chiesa evangelica locale ha fatto appello al presidente indonesiano, ma finora nessuno ha trovato ascolto. “Siamo andati davanti al palazzo del governo, abbiamo invitato lettere ma nulla”, continua Takaliuang. “Ora abbiamo deciso di contattare il governo del Canada, di solito è più attento ai temi ambientali e dei popoli indigeni. Oltre a questo, porteremo la Pt davanti alla corte amministrativa di Jakarta”.
Dal canto suo, la compagnia aurifera ha respinto ogni accusa, arrivando addirittura a puntare il dito contro la comunità locale e le attività estrattive illegali compiute in questi anni. Secondo la multinazionale, la distruzione della foresta e la minaccia alla flora e alla fauna sarebbe già in corso per estrazioni fuori controllo fatte anche con l’ausilio del mercurio, sostanza illegale. Il nuovo progetto permetterebbe allora di regolamentare questa situazione.
La comunità di Sangihe ha ammesso che alcuni attori nazionali esterni siano accorsi con fini predatori sull’isola impiegando anche manodopera locale. Ma le perforazioni, effettuate senza mercurio, sarebbero state comunque microscopiche in confronto a quelle che si prospettano con il nuovo progetto indo-canadese.
Intanto nelle scorse settimane la vicenda si è tinta di giallo. Helmud Hontong, funzionario politico locale e tra i più strenui oppositori del progetto minerario, è deceduto durante un volo che lo stava portando da Bali a Makassar. All’imbarco si trovava in buona salute secondo testimoni, poi durante il tragitto ha perso conoscenza fino al decesso. I gruppi ambientalisti e per i diritti umani hanno chiesto un’indagine indipendente, per ora resiste la versione della morte per malattia.
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