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Gianmaria Sannino, Enea. Dalla Cop 26 arrivino soluzioni concrete e misurabili
Intervista a Gianmaria Sannino, climatologo dell’Enea: il Mediterraneo è un hotspot climatico, 50 gradi in Sicilia rischiano di diventare una consuetudine.
Gianmaria Sannino è stato uno dei protagonisti, nei giorni scorsi, della Notte europea dei ricercatori 2021 con il progetto Net Scienza Insieme e il suo partenariato scientifico d’eccellenza. La Città dell’Altra Economia – nel quartiere Testaccio di Roma – ha ospitato eventi, laboratori, attività per bambini, talk e incontri con i ricercatori per avvicinare il grande pubblico di tutte le età ai temi della scienza. E il responsabile del Laboratorio modellistica climatica e impatti dell’Enea lo ha spiegato in maniera chiara: la crisi climatica è un fenomeno che ormai tocchiamo con mano, come hanno dimostrato gli eventi dell’estate appena passata. Esperto di oceanografia, Sannino ha studiato a lungo anche il potenziale energetico delle maree e delle onde: un tema sul quale c’è grande fermento in Europa, oltre a interessanti possibilità di sviluppo nel nostro paese.
Ci siamo appena lasciati alle spalle una delle estati più calde degli ultimi decenni, con punte vicine ai 50 gradi in Sicilia. Si tratta di un fenomeno ormai irreversibile?
Di certo stiamo andando verso uno scenario nel quale la temperatura media sarà sempre più alta e le estati si allungheranno. È quindi fondamentale lavorare a politiche di mitigazione per far sì che questi fenomeni non diventino ancora più estremi, e soprattutto sistematici. Ad agosto hanno fatto scalpore i 48 gradi registrati nel siracusano: dobbiamo fare in modo che ciò continui ad essere considerato straordinario e non diventi consuetudine. Se non mettiamo un freno alle emissioni di CO2, entro la fine del secolo avremo non solo in Sicilia, ma in molte regioni d’Italia, interi periodi dell’anno con temperature costantemente superiori ai 40 gradi.
Al contempo, aumenteranno le piogge intense e le alluvioni. Quanto pesa, rispetto ai possibili danni, il fenomeno della cementificazione? Le politiche di adattamento messe in atto in alcune città possono funzionare, come si sostiene nell’ultimo rapporto del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici?
A fronte di una riduzione generale delle precipitazioni, registriamo fenomeni piovosi sempre più intensi. Il problema è che in Italia, un paese già molto fragile dal punto di vista idrogeologico, cinquant’anni fa abbiamo sviluppato le nostre città sulla base di un modello climatico diverso da quello di oggi: il risultato è che i nostri centri urbani non sono pronti a fronteggiare alluvioni e nubifragi. Per questo motivo i piani di adattamento sono fondamentali: abbiamo città come Bologna che da questo punto di vista sono più avanti, realtà come Roma che ha un piano ma non ha ancora iniziato a metterlo in opera, e importanti centri del tutto privi di una strategia. Bisogna accelerare, altrimenti il clima diventerà così ostile da rendere i piani stessi troppo costosi e difficili da mettere in atto.
L’ultimo report delle Nazioni Unite sul clima si concentra in particolar modo sull’Europa del Sud. Cosa contraddistingue i paesi che, come l’Italia, si affacciano sul mar Mediterraneo?
La zona del Mediterraneo è particolarissima dal punto di vista geografico. Ha le Alpi che la circondano a nord e uno dei più grandi deserti del mondo a sud, oltre a un mare dalle caratteristiche simili a quelle di un enorme lago: alle stesse latitudini non esiste niente di simile al mondo. Si tratta quindi di un hotspot climatico, ovvero di un luogo in cui i cambiamenti climatici impattano in anticipo e con effetti amplificati. Ciò non deve sorprendere, perché già nei primi anni del secolo scorso fu coniata la definizione di “clima mediterraneo”: un clima particolarmente gradevole e prevedibile, molto adatto all’agricoltura. Ora, purtroppo, il quadro è decisamente mutato.
In che modo?
L’aumento medio della temperatura, che nel Pianeta si attesta intorno a un grado centigrado, nell’area mediterranea raggiunge gli 1,2 gradi: in pratica il riscaldamento globale corre a una velocità più alta del 20 per cento rispetto alla media mondiale. Dopo gli hotspot climatici più importanti al mondo, il Polo nord e il Polo sud, viene il Mediterraneo. Abbiamo insomma un problema con cui dobbiamo imparare a convivere.
A cosa è dovuto questo mutamento?
L’anticiclone delle Azzorre che, soprattutto in estate, ci proteggeva dall’anticiclone africano, è sempre più spostato sulle isole sulle quali viene generato e non riesce a svolgere quella funzione. Ciò comporta due fenomeni. Da un lato, l’anticiclone africano investe più spesso il Mediterraneo: i 48 gradi registrati ad agosto a Floridia sono l’effetto di un’aria calda proveniente da deserto del Sahara. Dall’altro lato, l’aria fredda e umida proveniente dal nord Europa entra più facilmente in contatto con quella calda, dando luogo a nubifragi e trombe d’aria, come quella che si è abbattuta a inizio settembre a Pantelleria.
Il mare però, attraverso lo sfruttamento di energia da onde e correnti, può fornire anche un contributo concreto alla transizione energetica. A che punto siamo del percorso di avanzamento tecnologico?
Il mare è una grande riserva potenziale di energia. Dal punto di vista tecnologico, c’è grande interesse verso quella che può essere generata dalle onde e dalle correnti di marea. Come Enea rappresentiamo l’Italia a Bruxelles su un tema sul quale la Commissione europea punta con decisione, in ottica 2025 e soprattutto con uno sguardo al 2050. In Europa e anche nel nostro paese sono stati sviluppati diversi tipi di prototipi e ora siamo nella fase pre-commerciale: bisogna dimostrare che sono in grado di produrre quantitativi sufficienti energia, resistendo bene alle intemperie del mare. L’Europa detiene oltre il 60 per cento dei brevetti, vuole confermare la propria leadership in questo campo ed esportare le proprie tecnologie nel mondo.
Quali potenzialità di sfruttamento energetico ci sono in Italia?
È stato calcolato che l’energia generata dal mare nello stretto di Messina equivalga a un terzo dell’intero fabbisogno della città siciliana. Ci sono poi zone, come la costa occidentale della Sardegna e quelle che si affacciano sul canale di Sicilia, dove si potrebbe sfruttare il potenziale energetico delle onde. Tra tutte le rinnovabili, oltretutto, l’energia proveniente dal mare è quella più facile da prevedere.
Tornando all’emergenza climatica, secondo le Nazioni Unite limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi – come stabilito nell’Accordo di Parigi – è ormai un obiettivo difficile da centrare.
In effetti mantenersi al di sotto degli 1,5 gradi è un obiettivo sempre più sfidante. Dopo l’Accordo di Parigi, purtroppo, abbiamo riscontrato poco dal punto di vista pratico. Dal 2015 ad oggi le emissioni di CO2 sono sempre cresciute, ad eccezione dell’anno caratterizzato dalle restrizioni legate al coronavirus. Di certo non possiamo aspettare una pandemia ogni anno per far diminuire le emissioni.
Quali azioni andrebbero messe in campo nell’immediato e che spinta può arrivare dai fondi del Next Generation Eu?
Non è più tempo di parole ma di azioni a 360 gradi. Dobbiamo decarbonizzare il nostro sistema produttivo spingendo sulle rinnovabili, lavorare sull’efficienza energetica per ridurre i consumi, inserire il paradigma dell’economia circolare in molteplici ambiti della nostra società. È arrivato il momento di rivedere alcune abitudini alimentari, ad esempio riducendo il consumo di carne, e di confermare alcune buone pratiche legate ai trasporti e agli spostamenti, che giocoforza abbiamo scoperto a causa della pandemia: tornare indietro su smart working, conferenze a distanza e micro-mobilità condivisa sarebbe un autogol enorme.
A inizio novembre è in programma la Cop 26 di Glasgow. Cosa dobbiamo attenderci dalla ventiseiesima Conferenza mondiale sul clima?
Dobbiamo augurarci che i paesi più industrializzati, come gli Stati Uniti quelli europei, mettano sul tavolo le soluzioni: non solo buoni propositi, ma obiettivi più sfidanti e azioni concrete – e soprattutto misurabili – di anno in anno. Rispetto alla Cop 21 il quadro è decisamente peggiorato e non abbiamo più tempo da perdere.
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