Dalla fine del 1991, quando è stata formalmente dissolta l’Unione sovietica, i capitali stranieri sono arrivati anche in Russia. Il regime di Vladimir Putin, che perdura ininterrottamente dal 2000 tra i mandati da presidente e quelli da primo ministro, era già stato criticato a più riprese per il suo impianto fortemente autoritario. Con l’invasione dell’Ucraina, però, sembra che il limite sia stato oltrepassato. Dopo le pesantissime misure punitive imposte dagli Stati, sono arrivate anche le sanzioni private. Innumerevoli le aziende che hanno deciso di tagliare i ponti con la Russia, esprimendo la loro forte contrarietà alla guerra scatenata in piena Europa. E tutelandosi al tempo stesso da notevoli rischi economici e anche reputazionali, visto che migliaia di persone in tutto il mondo scendono in piazza per esprimere la loro solidarietà al popolo ucraino. La Yale School of management ha stilato un elenco; il 10 marzo contava più di trecento nomi.
Nell’arco di questi tre decenni, la presenza dei colossi petroliferi in Russia è stata massiccia. Il 27 febbraio ha destato clamore la scelta della britannica Bp di uscire dalla russa Rosneft, di cui deteneva una quota pari al 19,75 per cento. Così facendo, sostiene Bloomberg, rischia una svalutazione pari a 25 miliardi di dollari e la perdita di circa un terzo della sua produzione di gas e petrolio.
L’olandese Shell ha messo fine alla sua partnership con Gazprom, controllata dal governo russo. Tra i progetti mandati in pensione, l’impianto di estrazione di petrolio e gas naturale liquefatto Sakhalin-II (nell’omonima isola nel mare di Okhotsk) e il gasdotto Nord Stream 2, già bloccato dalla Germania. Equinor, partecipata dal governo norvegese, ha annunciato la fine delle joint venture in Russia; l’americana ExxonMobil ha abbandonato Sakhalin-I, “gemello” di Sakhalin-II; l’italiana Eni ha intenzione di cedere la sua quota del gasdotto Bluestream che collega Russia e Turchia.
Più timida la francese TotalEnergies (precedentemente nota come Total): dopo enormi pressioni da parte dell’opinione pubblica, ha annunciato di non voler più investire in Russia in futuro. Senza però dismettere i progetti in essere.
Sport
Tra le sanzioni private che hanno fatto più rumore, anche a livello mediatico, ci sono quelle che riguardano il mondo del calcio. Tutte le squadre russe, compresa la nazionale, saranno escluse dalle competizioni internazionali fino a nuovo ordine. Niente Champions League, niente mondiali del 2022 in Qatar, niente europei del 2024. Ad annunciarlo è un comunicato congiunto di Fifa e Uefa.
Con una mossa che ha lasciato sbigottiti i tifosi, l’imprenditore russo Roman Abramovicha deciso di cedere la squadra di calcio inglese del Chelsea, rilevata nel 2003 e portata da allora ai massimi livelli in Premier league e in Europa. I proventi, ha promesso, verranno reinvestiti per creare una fondazione dedicata alle vittime della guerra in Ucraina.
Stando ad alcune indiscrezioni raccolte dal New York Times, l’invasione dell’Ucraina proprio all’indomani della fine delle Olimpiadi invernali di Pechino non sarebbe un caso, bensì l’esito di un accordo con i diplomatici cinesi. Il 4 marzo prendono il via le Paralimpiadi invenali, ma gli atleti russi e bielorussi non sono ammessi.
Case automobilistiche
Anche nel comparto automobilistico la levata di scudi è stata unanime. Volvo interromperà la produzione e le vendite di auto e veicoli commerciali in Russia. Anche Harley Davidson, Daimler Trucks, Jaguar Land Rover, Ford, Mercedes-Benz, Iveco, Ferrari e General Motors hanno fermato le consegne. Hanno cessato le esportazioni verso la Russia anche le case automobilistiche giapponesi, come Toyota (che dal 4 marzo chiude lo stabilimento di San Pietroburgo), Honda e Mazda. Mitsubishi sta ancora valutando. Interrotta la produzione di pneumatici Michelin.
Arredamento
Alcuni dei marchi più popolari del mondo hanno deciso di voltare le spalle alla Russia. Il colosso svedese dell’arredamento Ikea il 3 marzo ha decretato la chiusura di tutti i suoi grandi magazzini in Russia e lo stop alla fornitura di materie prime da Russia e Bielorussia. Le conseguenze per il suo stesso business sono considerevoli, perché dalla Russia arriva il 4 per cento delle vendite, per un fatturato pari a 1,6 miliardi di euro. I 15mila dipendenti continueranno a ricevere lo stipendio almeno per i prossimi tre mesi. Ikea aveva già in programma di aumentare del 9 per cento i prezzi medi dei suoi prodotti, a causa dell’aumento dei costi delle materie prime e delle interruzioni alla catena di approvvigionamento globale. Una stima che è stata ritoccata al rialzo, al 12 per cento.
#Russia Giant queues during the last day when @IKEA in Moscow is open.
Surely. The most important thing is a new chair when the leadership of your country launched a deadly war pic.twitter.com/AWjpqu4HG4
Le vetrine dei centri commerciali e delle strade del centro città si sono pressoché svuotate come conseguenza delle sanzioni private. H&M, il celebre marchio svedese di fast fashion, dapprima ha chiuso i negozi in Ucraina per motivi di sicurezza. Dopodiché ha chiuso anche quelli in Russia, annunciandolo con un comunicato in cui “si unisce a tutti coloro che, nel mondo, chiedono la pace”. Il 4 marzo anche il gruppo francese del lusso Hermès ha comunicato, con un post su Linkedin, la chiusura dei negozi e la sospensione di tutte le attività commerciali. I dipendenti nel paese sono una sessantina. Stop alle spedizioni dei capi di Burberry, Chanel, Levi Strauss, Puma, Yoox. Abbassano le saracinesche i negozi dei gruppi Inditex (che comprende anche i marchi Zara, Berska, Stradivarius, Pull and Bear e Oysho), Kering (Gucci, Yves Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Bottega Veneta e altri). Sospendono tutte le attività in Russia Lvmh (Louis Vuitton), Prada e Moncler.
Ristorazione
Era il 31 gennaio 1990 quando i cittadini di Mosca si mettevano in fila fin dalle 4 del mattino per poter addentare un panino del primo McDonald’s aperto nel territorio dell’Unione sovietica. Immagini passate alla storia, perché testimoniavano la loro voglia di avvicinarsi a uno stile di vita occidentale dal quale erano stati a lungo esclusi. Anche la sera dell’8 marzo 2022 si sono formate lunghe code davanti ai fast food, dopo la scelta dell’azienda di chiudere temporaneamente i suoi 850 punti vendita nel paese. I 62mila dipendenti, ha assicurato, continueranno a ricevere il loro stipendio.
Abbassano le serrande anche le caffetterie di Starbucks; in Russia sono un centinaio. Restaurant brands international, il gruppo che possiede il marchio Burger King, ha scelto una strada diversa: i circa ottocento fast food in franchising resteranno aperti, ma i profitti saranno destinati agli aiuti umanitari.
Alimentari, bevande e beni di largo consumo
Nestlè, il maggior produttore globale di alimenti confezionati con un fatturato di oltre 82 miliardi di euro, non investirà più in Russia e non farà più campagne pubblicitarie. Così come Unilever e Procter&Gamble. Unilever ha interrotto anche esportazioni e importazioni, ma ha promesso di garantire comunque i beni alimentari e i prodotti per l’igiene (come saponi e detersivi) ritenuti “essenziali” per le necessità della popolazione. Mondelez, il gruppo a cui fanno capo marchi come Philadelphia, Oreo e Milka, ridurrà le operazioni pur mantenendo la continuità della filiera.
Alla lunga lista delle sanzioni private si sono aggiunte l’8 marzo che le rivali Coca-Cola e PepsiCo; la prima ha annunciato lo stop a tutte le attività in Russia, la seconda ferma sia la produzione sia la vendita. Nel settore della birra, Heineken sospende tutte le attività mentre Carlsberg si limita ai nuovi investimenti.
Cinema
Il nuovo Batman diretto da Matt Reeves, con Robert Pattinson come protagonista, doveva uscire in Russia giovedì 3 marzo. Il 10 marzo sarebbe stato il turno del film d’animazione Red. Entrambi però non arriveranno nelle sale per decisione delle rispettive case di produzione, Disney e Warner Bros. Netflixha fermato l’acquisizione di titoli russi e i nuovi progetti in Russia. Anche Sony Pictures rinvia l’uscita dei suoi film – a partire da Morbius, ispirato all’omonimo fumetto Marvel – e ferma le spedizioni della PlayStation.
Tecnologia
Appleha fermato le vendite dei suoi prodotti in Russia. Ha inoltre imposto altre sanzioni private, limitando il suo servizio di pagamento (Apple pay) e rimuovendo due agenzie gestite dal governo, Russia today e Sputnik, dall’Apple store per gli utenti al di fuori della Russia. La sua principale competitor, Samsung,ha interrotto le spedizioni dei suoi prodotti; non solo smartphone, ma anche microchip e altri dispositivi elettronici di consumo. L’altro colosso della tecnologia, Microsoft, ha messo in pausa non solo le vendite ma anche alcune attività di business in Russia, allineando così le sue sanzioni private a quelle imposte dai governi. Sospesi fino a data da destinarsi anche i servizi di pagamento elettronico offerti da Paypal.
Società di consulenza
Il Financial times fa sapere che le cosiddette big four – Deloitte, Ey, Kpmg e Pwc – danno lavoro a circa 13mila persone in Russia e annoverano tra i loro clienti anche grandi imprese controllate dallo stato, tra cui Sberbank, Gazprom e la banca centrale russa. Inizialmente hanno espresso parole di condanna nei confronti del conflitto; tra il 6 e il 7 marzo hanno annunciato che le loro sedi russe si staccheranno dal network globale, diventando in tutto e per tutto aziende indipendenti. Anche Accenture e Bcg sospendono tutte le attività in Russia.
Studi legali
Sono circa una trentina gli studi legali internazionali che, prima dell’inizio del conflitto, avevano un ufficio a Mosca. Eversheds Sutherland lo chiude, alla pari di quello di San Pietroburgo, e si rifiuta di rappresentare il governo o gli oligarchi russi. Chiudono i battenti anche le sedi a Mosca di Freshfields Bruckhaus Deringer, Latham & Watkins, Morgan, Lewis & Bockius e Squire Patton Boggs. Lo studio legale statunitense Baker & McKenzie, il terzo più grande al mondo per fatturato, ha promesso tramite una nota di “rivedere e adeguare le operazioni relative alla Russia e il lavoro con i clienti”. Nel suo portafoglio clienti ci sono anche il ministero delle Finanze russo e la banca Vtb.
Articolo scritto il 4 marzo e aggiornato il 6 e il 10 marzo
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