
La mancanza di dati ufficiali è un problema per il controllo del mercato legale di animali, soprattutto per le catture di quelli selvatici.
Alcune comunità Inuit hanno notato che gli alimenti di cui si nutrono stanno cambiando sapore a causa della crisi climatica.
Un profumo – o un sapore – hanno il potere di far viaggiare la mente. Lo sa bene Marcel Proust, che in uno dei passi più celebri di Dalla parte di Swann, il primo volume del celebre romanzo Alla ricerca del tempo perduto, racconta come il delicato profumo di una madeleine rievochi in lui i ricordi dell’infanzia. Ma cosa succederebbe se quei sapori andassero perduti, magari per colpa della crisi climatica? Una comunità inuit che vive nel nord del Canada ha infatti notato che con l’aumento delle temperature, il gusto e la consistenza di alcuni alimenti stanno cambiando.
L’allarme è stato lanciato dall’etnobotanista Alain Cuerrier durante il programma canadese Futur simple condotto da Hélène Maquet. Cuerrier, che da tempo studia gli effetti del riscaldamento globale sulle comunità inuit, ha spiegato come siano state proprio queste ultime a sottolineare le conseguenze sui gusti degli alimenti. “Si sono resi conto che il sapore non è più lo stesso – ha spiegato durante la trasmissione –. Hanno anche notato dei cambiamenti nella consistenza e nel gusto dei frutti e delle bacche che si trovano nella tundra”.
Alcuni, infatti, sono diventati più dolci dato che con l’aumento delle temperature, le piante hanno iniziato a produrre meno antiossidanti, cosa che rende i frutti meno amari. Altri invece si sono addirittura bruciati per il troppo caldo. Bisogna ricordare che in questi territori la luce del sole è presente fino a dopo mezzanotte e quindi le piante mettono in atto strategie diverse per proteggersi dai raggi.
“La prima cosa che mi ha detto è stata ‘uku’, che vuol dire ‘ho caldo’”, ha raccontato Currier riferendosi al suo incontro con Juussipi Napaaluki, uno degli abitanti delle zone più a nord del Canada. Per lui, oramai, recarsi nella tundra è come farlo con “indosso una tenda che trattiene il calore”.
Ma non sono solo le piante ad aver cambiato sapore. Gli inuit hanno notato gusti e consistenze diversi anche nella carne, specialmente in quella dei caribù e delle foche, di cui si nutrono per sopravvivere. “Queste popolazioni stanno perdendo poco alla volta le loro conoscenze, la loro lingua, l’accesso alle risorse che permettono loro di sopravvivere. Si chiedono se con tutta questa modernità che dilaga, si trovino davanti a una specie di vuoto”, ha raccontato.
Come ha fatto notare la conduttrice del programma Hélène Maquet, anche in Giappone è stata rilevata una mutazione nella consistenza e nel gusto delle mele, mentre in Cina e in India il tè sta perdendo il suo sapore tipico.
Allo stesso modo, in Italia i nostri vigneti ci dicono che l’aumento delle temperature sta minacciando l’esistenza di uno dei nostri prodotti più caratteristici: il vino. Vendemmie anticipate, migrazione dei vitigni a quote più alte o verso nord sono alcuni dei segnali che preoccupano sia gli esperti del settore, che i climatologi. Non solo. I fiori stanno cambiando colore per proteggersi dai raggi ultravioletti sempre più forti. Mentre altre piante non ce l’hanno fatta ad adattarsi e si sono estinte: in 250 anni ne abbiamo perse 571, dati che si traducono in un tasso di estinzione doppio rispetto a quello di mammiferi, anfibi e uccelli messi insieme.
Gli effetti della crisi climatica sono dunque arrivati fino ai nostri palati, che ora ci chiedono di agire per fermare questa tendenza e fare in modo che quei sapori, quei profumi, continuino ad evocarci bei ricordi e non il tempo perso senza fare nulla.
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