La regista Sarah Friedland ha usato il suo discorso di ringraziamento alla Mostra del cinema di Venezia per esprimere il suo sostegno alla popolazione palestinese. Per fortuna, non è stata l’unica.
La regista statunitense Sarah Friedland ha usato il suo discorso di ringraziamento che ha tenuto alla 81esima Mostra del Cinema di Venezia per criticare aspramente le azioni militari di Israele in corso a Gaza, definendole un “genocidio“. Friedland ha vinto il premio Luigi de Laurentiis per la migliore opera prima con il film Familiar touch ed è stato grazie a questa visibilità che ha deciso di parlare della sua identità, di persona di religione ebraica, per sottolineare la necessità di usare tutti i mezzi a disposizione dei lavoratori del cinema per denunciare l’impunità di Israele.
Oltre a vincere il premio per la migliore opera prima, Friedland ha ottenuto anche il premio per la migliore regia per il suo lavoro nella sezione Orizzonti. Anche Kathleen Chalfant, che ha vinto il premio come miglior attrice per il suo ruolo nel film di Friedman, ha affrontato il tema dell’operazione militare di Israele nella Striscia di Gaza nel suo discorso di ringraziamento.
“I stand in solidarity with the people of Palestine and their struggle for liberation.”
Jewish American filmmaker Sarah Friedland expressed her solidarity with the Palestinian people as she accepted the Luigi de Laurentiis prize for best first film for Familiar Touch. pic.twitter.com/72oi3kHK6n
Sarah Friedland è una regista e coreografa indipendente statunitense, famosa in particolare per i suoi cortometraggi e documentari. Tra le sue opere più famose c’è il documentario Thing with no name uscito nel 2008 e ambientato in Sudafrica, in cui segue la vita di due donne risultate positive all’Hiv e del loro tentativo di accedere alle cure antiretrovirali. Familiar Touch, il film premiato quest’anno a Venezia, è il primo lungometraggio della regista e racconta la storia di una donna ottantenne costretta a trasferirsi in una casa di cura, dove affronta il rapporto conflittuale con sé stessa e le persone che la assistono.
La regista è da sempre impegnata sulla questione israelo-palestinese. Nel 2023, infatti, ha scritto e diretto insieme al regista anglo-palestinese Rami Younis, Lyd, un documentario di fantascienza che ripercorre la storia dell’omonima città, conosciuta con il nome ebraico Lod, occupata nel 1948 in seguito alla Nakba, ovverio la cacciata di 700mila persone dalla propria terra avvenuta nel 1948, ma anche le persecuzioni, le violenze e la pulizia etnica subita per mano israeliana da quel momento in poi.
Per molti il discorso di accettazione del premio alla Biennale di Venezia non è stata, quindi, una sorpresa.
Chi ha portato la questione palestinese a Venezia
Durante la Biennale di Venezia sono stati diversi gli artisti (attrici, registi) che hanno preso posizione in merito a ciò che sta avvenendo nella Striscia di Gaza e nei territori palestinesi occupati. Tra i primi, in termini temporali, ci sono stati gli attori italiani Lino Musella e Laura Morante. L’attore ha indossato una maglietta con la scritta Free Palestine, Palestina libera, mentre la collega ha mostrato un ventaglio con un messaggio scritto a mano: “Fermate il genocidio a Gaza. Più di 40mila morti oltre a 16mila bambini”. Tra gli italiani che hanno preso posizione c’è stata l’attrice Anna Foglietta, che ha indossato una spilla con la bandiera palestinese, l’attore Fabio Testi, che ha mostrato un cartello in cui ha chiesto la fine del massacro a Gaza, e lo sceneggiatore Davide Serino.
Tra gli artisti internazionali, il regista americano Neo Sora ha partecipato al servizio fotografico per il suo film Happyend indossando una kefiah. Sora ha anche brandito un distintivo con la bandiera palestinese sul bavero, con una targhetta con la scritta Free Palestine appesa sotto. Lia Ouyang Rusli, produttrice del film, ha mostrato il suo sostegno con una borsa con la bandiera palestinese, mentre la compositrice Aiko Masubuchi ha indossato una kefiah rossa e bianca intorno alle spalle.
Il messaggio di solidarietà più forte è arrivato giovedì dal cast e dalla troupe del film tunisino Aicha. Il regista Mehdi Barsaoui e l’attrice Fatma Sfar, insieme ad altri che hanno lavorato al film, hanno esposto uno striscione con la scritta: Stop al genocidio.
Infine, anche la cerimonia di premiazione ha visto diversi registi esprimere solidarietà al popolo palestinese. Il regista palestinese Scandar Copti, che ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura di “Happy Holidays“, ha fatto eco a questi sentimenti, condannando la violenza in corso: “La nostra comune umanità e la nostra bussola morale sono state messe alla prova quando abbiamo assistito al genocidio nella Striscia di Gaza”.
Negli ultimi undici mesi il mondo del cinema, ma in generale il mondo dell’arte, ha preso spesso posizione, e lo hanno fatto anche tanti registi di religione ebraica, come il regista britannico Jonathan Glazer o il giornalista israeliano Yuval Abraham alla Biennale di Berlino. Nel mondo della musica sono tantissimi gli artisti che sul palco, durante i loro concerti o nelle kermesse televisive come Sanremo, prendono posizione su quanto sta succedendo nei territori occupati. Tra i più famosi possiamo ricordare il rapper di Seattle Macklemore. Il mondo dell’arte è in prima linea, anche se la stampa generalista non sembra essersene accorta.
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