Cosa sta succedendo in Sardegna sul fronte delle energie rinnovabili

Negli ultimi mesi in Sardegna ci sono stati incendi e sabotaggi, molte fake news e spazi occupati, ma si è dato meno spazio alla vera questione: la democratizzazione degli impianti rinnovabili.

Solo sull’uno per cento del territorio sardo sarà possibile installare impianti di energia rinnovabile.

Alla fine la legge della giunta regionale è stata approvata in data 4 dicembre 2024, anche dal consiglio regionale sardo della presidente Alessandra Todde. Solo pochi mesi fa il clima in Sardegna era piuttosto teso, con attacchi diretti di sabotaggio degli impianti: un incendio doloso a pannelli solari fotovoltaici, un attacco a pale eoliche durante la notte.

È un caso senza precedenti di contrasto a forme di energia che, sulla carta, sono considerate le più puliteda tutti gli scienziati e cruciali per combattere la crisi climatica, che sta desertificando le regioni, proprio come la Sardegna.

Eppure è stata proprio la giunta regionale Todde di centrosinistra eletta da un anno a imporre una moratoria, ossia uno stop all’aumento della capacità di energie pulite per un anno e mezzo. La nuova legge fermerà la costruzione di impianti sul 99 per cento del territorio, ma forse perfino il 100 per cento, secondo alcuni esperti, perché quando ci sono sovrapposizioni vince il criterio dell’inidoneità. E pare che riguarderà anche gli impianti eolici offshore. I vincoli infatti si aggiungono a quelli già molto stringenti richiesti per gli impianti – ad esempio costruire a  sette chilometri di distanza da monumenti, alberi monumentali o tratturi.

La situazione sull’isola è un bel paradosso: la Sardegna è una delle regioni con la produzione di energia mediamente più inquinante, spesso da carbone [media da electricity map], ma è anche una regione che potrebbe diventare uno dei più grandi esperimenti al mondo di isola alimentata a energia pulita.

Mappa Sardegna carbonio
La Sardegna è attualmente una delle regioni italiane con il più alto fattore di emissione per la produzione di energia elettrica: circa 552 grammi di CO2 a kWh contro i circa 300 grammi di CO2 a kWh della terraferma.

Cosa sta succedendo realmente in Sardegna?

Per quale motivo molti comitati, anche ambientalisti, sembrano opporsi così ferocemente all’installazione di energia pulita? Esistono anche opposizioni più fondate e quali critiche portano? E quali sono invece le soluzioni per mediare in questo conflitto tra energie pulite e cittadinanza?

Conoscere cosa avviene qui è importante perché di rinnovabili bisognerà installarne parecchie, in teoria almeno 10 gigawatt all’anno fino al 2030, e nonostante non al livello di conflitto della Sardegna, anche in altre regioni come Sicilia, Toscana, Umbria o Liguria si moltiplicano le proteste contro i nuovi impianti e fa molto discutere il tema delle aree idonee per le energie rinnovabili.

Aree idonee Sardegna
L’attuale nuova disposizione delle aree idonee appena approvata dalla Regione Sardegna © Geoportale Sardegna

I primi attacchi agli impianti rinnovabili

Ora l’interesse dei mezzi d’informazione pare essersi un po’ placato e vale la pena ricostruire un paio degli episodi più incendiari, letteralmente, degli scorsi mesi per comprendere a fondo come mai il conflitto sia arrivato a questo livello.

Partiamo dai fatti: nella notte del 9 settembre a Tulli, nel sud della Sardegna, c’è stato un incendio doloso a duemila pannelli solari che stavano per essere posati. Non è il primo attacco: qualche giorno prima, a fine agosto, erano stati tolti i bulloni alla base di una pala eolica. Se n’era accorto un operaio dell’azienda di manutenzione il giorno seguente, con il rischio reale che nel mentre la pala crollasse in strada. Mentre a fine agosto qualcuno aveva dato fuoco a un cantiere eolico dell’azienda Vestas.

In Sardegna c’è una sensazione di vero e proprio assalto all’isola da parte dei produttori di energia – in alcuni articoli quasi da propaganda vengono addirittura soprannominati “i signori del vento”. L’isola ha già vissuto in passato la sensazione di essere colonizzata: è stata storicamente usata – date le sue grandi dimensioni e la bassa densità di popolazione – per costruirci molte basi militari, impianti di raffinazione, ma anche lo stesso turismo della Costa Smeralda e Porto Cervo, inventato dal nulla da un ricco principe arabo e sviluppatori immobiliari negli anni sessanta. Da qui, la stessa sensazione che viene percepita di fronte ai molti impianti rinnovabili che si punta a costruire nella regione, molto favorevole alle energie rinnovabili in quanto sia molto soleggiata sia particolarmente ventosa, con la sua posizione al centro del Tirreno.

Incendio Sardegna
I pannelli solari a fuoco dopo l’incendio doloso nella notte del 9 settembre 2024 © Vigili del fuoco

Quanta energia per la Sardegna?

Al giorno d’oggi, il fabbisogno energetico elettrico dell’isola è quasi 9mila GWh all’anno, oggi circa per il quaranta per cento coperti da rinnovabili, e per il resto da due impianti a carbone, ormai gli ultimi in Italia, che forse sopravvivranno alla data di scadenza del carbone in Italia nel 2025. Già ora questi impianti fossili producono energia in eccesso rispetto al fabbisogno minimo – l’anno scorso il 102 per cento del totale, oltre al quaranta per cento di rinnovabili – ma può essere trasportata sul continente tramite il cavo Sapei che collega il nord della Sardegna al Lazio. Quindi in realtà già oggi la Sardegna produce energia per il continente, ma esporta pressoché unicamente energia sporca, da carbone.

A Terna, il gestore della rete elettrica nazionale, sono arrivate per la Sardegna circa ottocento richieste di allaccio tra eolico e fotovoltaico, e se realizzate tutte produrrebbero oltre 90mila GWh, cioè circa dieci volte tanto il fabbisogno attuale. Da qui i timori delle persone sarde di diventare la fabbrica rinnovabile dell’Italia, o più nello specifico del nord Italia.

È però importante chiarire un aspetto, spesso bistrattato in molte analisi di questo fenomeno: alcuni timori possono essere fondati e hanno effettivamente le loro motivazioni, mentre altri timori non sono basati su dati reali, o peggio: sono frutto della propaganda di chi ha altri interessi, e anche in questo caso fossili, spesso diffusi da alcuni giornali e media locali.

I timori fondati e le fake news

Per esempio, possono essere sensati i timori sul fatto che la popolazione sarda possa essere tagliata fuori, che arrivino solamente aziende da altre regioni con l’unico obiettivo di fare business, o che il territorio sardo venga sfruttato per produrre energia ma a guadagnarci siano solamente pochi privati e nessun cittadino ne veda i benefici reali. Sono diversi i comitati che non basano la loro azione su propaganda o azioni violente e chiedono invece che l’autorizzazione degli impianti sia decisa in maniera partecipata con il territorio e che su questo stesso territorio ne riceva i benefici, anche economici.

Di fronte a un cambiamento epocale come la transizione energetica molte di queste sono richieste reali, come la richiesta di maggior democratizzazione dell’energia. D’altronde alcune delle prime comunità energetiche in Italia sono state attuate proprio nel cuore della Sardegna, a Villanovaforru e Ussaramanna.

Anche se tutto questo già accade nell’attuale sistema energetico basato sui combustibili fossili, dove chi vive vicino agli impianti energetici non solo non ne ha vantaggi né economici, né di compensazione, ma si deve respirare perfino le enormi quantità di inquinamento atmosferico prodotte durante la combustione.

Altri timori sono invece meno basati sui fatti o sono vere e proprie fake news sulla tecnologia, spesso spacciate anche da alcuni giornali locali – in particolare dall’Unione Sarda. Ci sono infatti forze che si oppongono alle rinnovabili perché preferirebbero il vecchio gas fossile, e costruire in Sardegna un metanodotto nel 2024, il Galsi (Gasdotto ALgeria Sardegna Italia) quando l’Agenzia internazionale dell’energia ha ribadito che, dal 2021 in avanti, non dovremmo costruire nuove infrastrutture fossili per sperare di contenere l’aumento di temperatura entro i +1,5°C rispetto al periodo preindustriale.

  • No, le pale eoliche non uccidono gli stormi di uccelli. E se questa cosa può accadere, avviene con molta più frequenza per colpa dei gatti, degli edifici o degli eventi climatici estremi come le ondate di calore [media]
  • Le pale eoliche non modificano i venti nelle zone in cui sono installate, né sono particolarmente rumorose nelle vicinanze
  • non creano danni alla fauna marina, che è invece molto più minacciata dal caldo estremo nei mari che li stermina
  • Non c’è ad oggi la minima possibilità tecnica ad oggi di trasportare tutta quella quantità di energia rinnovabile al di fuori della Sardegna. L’unico cavo presente, il Sapei, ne trasporta 500 MW, e anche il Thyrrenian link verso Sicilia e Campania ne trasporterà 1.000 MW (ossia 1 GW), per un totale di 1,5 GW di interconnessione con il continente. Una parte comunque molto
  • Non sono necessariamente visibili dalla costa: anzi spesso più ci si spinge al largo e spesso meglio è per la produttività dei venti. È giusto e necessario tutelare eventuali aree protette, ma pale eoliche al largo sono comunque meno visibili delle piattaforme offshore di fronte a Rimini o Riccione, e dove il turismo non ha mai risentito di quelle strutture a 12 km di distanza dalla costa.
  • Non sono fonti di energia inutili: secondo l’Ipcc, sono anzi le fonti di energia che più ci serviranno in futuro, le più pulite che ci possono essere, e spesso anche già le più economiche. Project Drawdown mette l’energia eolica al secondo posto tra le 100 soluzioni più efficaci per invertire la crisi climatica.

Dopodiché è tutto oro quel che luccica? Non per forza: ci possono essere impianti fatti bene e impianti fatti male, ma l’energia pulita ci serve – in Sardegna e dappertutto. Anzi: diversi studi dimostrano come le energie rinnovabili portano il doppio o il triplo dei posti di lavoro rispetto alle fonti fossili perché richiedono più manodopera, e quindi il lavoro può rimanere eccome in teoria nella regione.

In Italia dovremmo installare almeno 10 GW all’anno, ed è importante massimizzare le aree dove è più efficiente farlo – per poi scambiarci l’energia come ogni bene. Infatti, se ci pensiamo, non esiste una regione che sia autosufficiente per tutto.

Tutto il territorio sarà coperto da pannelli solari?

L’altro rischio molto temuto è che l’intero territorio sia devastato o coperto da pannelli solari fotovoltaici, che sparisca l’agricoltura su tutto il territorio, e che la regione diventi uno “specchio gigante” – come descritto da un articolo sulla Sicilia.

Servirà della superficie, ma i numeri diffusi sono quasi sempre molto esagerati, e a volte diffusi proprio da chi sponsorizza interessi fossili come la metanizzazione della regione, e che spesso negli ultimi mesi ha usato i giornali locali per portare avanti strenuamente la battaglia contro le energie rinnovabili.

I numeri reali infatti dicono altro: per garantire i circa 7 GW a fine 2030, per il fabbisogno minimo, basterebbe davvero una parte minima del territorio, tra lo 0,2 e lo 0,3% di tutta la superficie regionale. Per avere un’idea, solo negli ultimi 20 anni in Sardegna gli incendi hanno bruciato una superficie di circa 18 km quadrati, pari allo 0,75 per cento dell’intera superficie regionale, ossia il doppio o il triplo di quanto sarebbe richiesto dalla quantità essenziale di fotovoltaico.

Altro esempio ancora: sull’isola ci sono 13 campi da golf, e la superficie necessaria per portare a casa gli obiettivi 2030 sarebbe circa 6 volte tanto quello spazio degli attuali campi da golf. E con questo esempio si intuisce meglio quanto sia una questione di priorità: troviamo spazio per il golf ma non per autoprodurci l’energia in maniera pulita?

Utilizzo aree Sardegna

Anche perché per poter spegnere le centrali a carbone, quelle sì terribilmente inquinanti, serve che la Sardegna sia connessa di più e meglio al continente, con un cavo elettrico come il Thyrrenian Link che collegherà la Sardegna del sud alla Sicilia e alla Campania. Infatti scambiarsi l’energia elettrica pulita è uno dei modi migliori per non sprecarla e avere sistemi energetici più forti e resistenti – oltre che renderci meno dipendenti dai dittatori fossili da cui acquistiamo attualmente molto del gas, e il cui prezzo può schizzare su e giù come negli ultimi anni.

La Sardegna ha anche condizioni geografiche e energetiche particolari, per cui già oggi capita che il prezzo dell’energia sul mercato elettrico crolli a zero durante le ore centrali della giornata grazie alla produzione rinnovabile – ad esempio il grafico seguente mostra la situazione per il sabato 28 settembre 2024.

Grafico energie rinnovabili
Oggi capita che il prezzo dell’energia sul mercato elettrico crolli a zero durante le ore centrali della giornata  grazie alle rinnovabili © Gme

Insomma: servono non solo più connessioni e accumuli energetici, ma anche un ripensamento più generale del mercato energetico per poter sfruttare al meglio i risparmi economici. A livello europeo, un saggio uso delle batterie ci può far risparmiare fino a 9 miliardi di euro di gas da qui al 2030. E la tecnologia di accumulo tramite batterie inizia a essere matura su larga scala: solo quest’anno, nel 2024, gli Stati Uniti aggiungeranno 36 GWh di batterie sufficienti ad alimentare l’intera Italia per mezz’ora nel suo momento di massima richiesta energetica.

Quali sono le soluzioni a questo conflitto?

Sarà banale dirlo ma serve coordinarsi, decidere insieme e governare questa transizione – avendo però come presupposto imprescindibile il fatto l’energia pulita serve, e serve anche in fretta. E dovrebbe saperlo bene la Sardegna che – a causa dell’aumento repentino delle temperature – vede ogni anno più incendi causati da siccità sempre più intense e ha un terzo del suo territorio a rischio desertificazione.

Le comunità energetiche sono una soluzione? Certo, e potranno contribuire, magari anche in maniera significativa, ma difficilmente da sole basteranno. Secondo uno studio degli analisti di Elemens del 2020 potrebbero contribuire fino a un 20-30 per cento degli obiettivi al 2030, anche se forse sono numeri un po’ ottimistici perché poi la legislazione per applicarle si è rivelata molto più complessa del previsto. Sono comunque centrali per diffondere una nuova cultura energetica che vedrà l’energia più diffusa, democratica e più autoconsumata.

È fondamentale anche inoltre installare energia il più possibile sui tetti e sulle aree dismesse, o le miniere in disuso, così da sfruttare in primis aree già improduttive – a quelle zone principalmente si rivolge la nuova legge regionale sulle aree idonee.

La neo presidente Todde ha proposto anche di creare un’azienda cento per cento regionale per produrre energia pulita – sarebbe un interessante esperimento, se e quando arriverà, ma non se nel frattempo blocca gli impianti per due anni a causa della moratoria.

L’agenzia regionale sarda però, se attuata rapidamente, potrebbe essere un grande strumento soprattutto per rilanciare l’occupazione in un settore energetico che in Sardegna soffre ancora per la chiusura del carbone. Riuscire a riattivare l’occupazione su questo tema sarebbe il modo più efficace di tutti per mostrare che la transizione può portare eccome benefici ai territori in cui viene attuata e gestita.

Anche il Regno Unito nel suo nuovo corso Labour punta idealmente a una soluzione simile: l’ambiziosissimo neo-ministro inglese per la Net Zero Energy, Ed Miliband, ha annunciato la creazione di Great British Energy – un’agenzia statale per spingere e gestire l’energia pulita, fondamentale nei loro piani per raggiungere l’obiettivo annunciato a Cop29 di avere pressoché energia pulita entro il 2030.

Addirittura c’è chi suggerisce di spostare alcune tasse proprio sui territori dove saranno installate, come suggeriscono Fabio Roggiolani e Mauro Romanelli da Valori.it, in modo da incentivare i paesi a installare rinnovabili ma soprattutto mostrare ai cittadini i benefici concreti, per esempio sulla sanità o nelle aree interne che soffrono di forte spopolamento. Serve un patto tra le aziende e quei territori e la politica, quest’ultima a oggi molto, troppo assente nel governo della transizione energetica che vede nel livello regionale una delle chiavi di volta.

C’è la possibilità reale di rilancio di un’intera filiera economica, ad esempio tramite i porti, visto che la Sardegna è una piattaforma in mezzo al Mediterraneo, area geografica vasta in cui servirà installare molto eolico off-shore, e si traduce semplicemente in molto lavoro da fare nei prossimi decenni.

Uno degli esempi più innovativi arriva da un porto importante come Civitavecchia dove, grazie alla battaglia e alla proposta congiunta di sindacati e movimenti per il clima, Enel ha deciso di chiudere la centrale a carbone e di spingere un piano di costruzione di eolico offshore, e probabilmente aumentando anche l’occupazione.

Questo è il bivio – delicato, complesso e che non riguarda solo e unicamente l’energia, ma una questione profondamente sociale, e di modello di sviluppo – in cui si trova la Sardegna: installare nel 2024 nuovo gas, e metanodotti come se fossimo negli anni ottanta e rimanere un’isola fossile.

Oppure puntare a una Sardegna pulita, rinnovabile, che investe sul futuro e diventa un richiamo di lavoro e mostra in primis ai propri cittadini i vantaggi dell’energia pulita, diventando un’isola esempio per il mondo.

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