A distanza di vent’anni, inizia la causa civile contro la società di contractor accusata di aver torturato i detenuti del carcere di Abu Ghraib.
È iniziato il 15 aprile il primo processo di una causa civile relativa allo scandalo di Abu Ghraib, ovvero degli abusi subìti dai detenuti iracheni nelle carceri gestite dagli Stati Uniti durante l’occupazione dell’Iraq. Questa sarà la prima volta in cui delle vittime di tortura irachene potranno chiedere giustizia davanti a una giuria statunitense.
Il processo arriva a quasi vent’anni dal giorno in cui l’emittente televisiva Cbs mostrò in diretta per la prima volta al programma 60 Minutes II le fotografie che ritraevano le torture e gli abusi nella prigione irachena, scatenando uno scandalo internazionale che è diventato il simbolo del trattamento dei detenuti durante la “guerra al terrore” degli Stati Uniti.
La causa, a lungo rinviata, è stata intentata da Suhail Najim Abdullah Al-Shimari, Salah Al-Ejaili e As’ad Al-Zuba’e, tre civili iracheni detenuti ad Abu Ghraib, prima di essere rilasciati senza accuse nel 2004. Gli uomini, aiutati dal Center for constitutional rights (Ccr), hanno citato in giudizio la Caci premier technology, una società privata che era stata incaricata dal governo statunitense di gestire gli interrogatori nella prigione. L’azienda ha lottato per 16 anni per ottenere l’archiviazione del caso, perdendo prima un ricorso alla Corte suprema nel 2021 e infine l’ultimo appello lo scorso novembre.
Chi sono i querelanti dello scandalo di Abu Ghraib
I querelanti sono cittadini iracheni arrestati dalle forze statunitensi negli anni dell’occupazione e che sono stati rilasciati senza essere mai stati accusati di un reato dopo un periodo di detenzione nelle carceri di Abu Ghraib. Tutti loro continuano a soffrire di lesioni fisiche e mentali causate dalle torture e dagli altri abusi subiti. Colui che dà nome al processo è Suhail Najim Abdullah Al-Shimari.
Al-Shimari è stato detenuto dal 2003 al 2008 e ha passato circa due mesi della sua detenzione del carcere di Abu Ghraib. Durante la sua permanenza, i contractors del Caci lo hanno sottoposto a diverse tipologie di tortura: scosse elettriche, abusi sessuali, privazione del cibo, minacciato dai cani, lasciato nudo e costretto a svolgere attività fisiche fino allo sfinimento.
Asa’ad Hamza Hanfoosh Al-Zuba’e è stato imprigionato ad Abu Ghraib dal 2003 al 2004. Anche lui ha subito diverse forme di tortura da parte di Caci mentre era detenuto. I guardiani di Caci lo hanno sottoposto a diverse forme di sevizie con l’uso di acqua gelata e bollente, hanno ripetutamente picchiato i suoi genitali con un bastone e hanno sottoposto Al-Zuba’e all’isolamento in condizioni di privazione sensoriale per quasi un anno intero.
Tra i querelanti c’è anche il giornalista di Al Jazeera Salah Hasan Nusaif Al-Ejaili, imprigionato ad Abu Ghraib per circa due mesi. Nel novembre 2003, Al-Ejaili stava lavorando e coprendo un’esplosione nel distretto di Diyala, a nord di Baghdad, quando è stato arrestato dalle forze statunitensi e trasferito in diverse stazioni militari, prima di essere infine portato ad Abu Ghraib. Durante la sua permanenza ha subito forme di tortura molto simili a Zuba’e.
Nel 2008, quando il Ccr ha presentato la denuncia contro il Caci, c’era anche un quarto querelante, Taha Yaseen Arraq Rashid, escluso dal processo nel 2019. L’uomo, tra le forme di tortura subite, è stato sottoposto a violenza sessuale da parte di una dipendente Caci e costretto ad assistere allo stupro di una detenuta.
La difesa del Caci
Il Caci ha fornito gli interrogatori che hanno lavorato nella prigione, ma nega qualsiasi illecito e ha sottolineato, nel corso di 16 anni di cause, che i suoi dipendenti non avrebbero inflitto alcun abuso a nessuno dei querelanti. Anzi, secondo l’azienda la responsabilità delle torture avvenute all’interno delle carceri di Abu Ghraib è da imputarsi agli Stati Uniti.
I querelanti, però, ritengono Caci responsabile di aver creato le condizioni che hanno portato alle torture subite, citando le prove delle indagini governative secondo cui gli appaltatori della società avrebbero dato istruzioni alla polizia militare di “ammorbidire” i detenuti per gli interrogatori.
Il generale dell’esercito in pensione Antonio Taguba, che ha condotto un’indagine sullo scandalo di Abu Ghraib, è tra coloro che dovrebbero testimoniare. La sua inchiesta ha concluso che almeno un interrogatore del Caci dovrebbe essere ritenuto responsabile per aver istruito la polizia militare a stabilire condizioni che equivalgono a maltrattamenti fisici.
Ricordiamo che, in seguito allo scandalo, undici militari sono stati condannati per i fatti di Abu Ghraib, con diverse pene. La pena più alta è stata inflitta al comandante della prigione, il colonnello Thomas M. Pappas in un processo portato avanti da un tribunale militare. Il colonnello è stato cacciato dall’esercito e ha ricevuto una multa. Gli ufficiali che sono comparsi nelle famose foto hanno ricevuto condanne di vario tipo, la sentenza più lunga è stata di sei mesi.
Ad oggi, nessuno è stato processato e condannato per le morti dei prigionieri, nessun agente della Cia o nessun contractor ha subito un processo. Quello contro il Caci è il primo, pur rimanendo una causa civile. Questa causa è un piccolo passo, anche se per individuare i veri responsabili di quelle torture, servirebbe un processo penale che indaghi i vertici militari.
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