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Schhhhh … si mangia
“Non si parla mentre si mangia”, non si discute e non si litiga, non si legge e, soprattutto, non ci si distrae troppo da quello che si fa. Dietro queste antiche prescrizioni, ben note a tanti genitori e nonni, si nasconde un’antica forma di saggezza.
E’ il semplice buon senso che ci dice queste cose: l’eccessivo
coinvolgimento, mentale ed emotivo, verso qualcosa di esteriore
rispetto all’atto del mangiare, può realmente nuocere alla
salute o, meglio, al buon svolgimento della digestione.
Non è solo fantasia infatti: se ci si agita si rischia di
non masticare bene e, quindi, di far giungere nello stomaco alcune
molecole di cibi (carboidrati) che gli enzimi contenuti nella
saliva dovrebbero di regola predigerire.
Da un punto di vista energetico, invece, una emozione eccessiva
indotta da una discussione o da qualcosa che ci coivolge anche solo
mentalmente, può indurre una cosidetta “inversione del Qi” o
energia dello stomaco. Secondo l’antica medicina tradizionale
cinese infatti, l’energia di questo organo ha la caratteristica di
dirigersi verso il basso, in modo tale da rendere possibile la
digestione del cibo. Quando infatti subentrano problemi di
dispepsia (digestione difficoltosa), nausea o vomito, il principio
base di un trattamento d’emergenza consiste proprio nello stimolare
determinti punti di agopuntura che hanno la caratteristica di
“tirare l’energia verso il basso”.
Da un punto di vista un po’ più mistico infine, la pratica
del silenzio invita alla meditazione, alla concentrazione sul cibo
e sul significato simbolico che esso può avere. Il silenzio
durante la consumazione del pasto è una pratica molto
diffusa nei monasteri, sia cristiani che buddisti, spesso
accompagnata dalla lettura di testi sacri o particolarmente
significativi per la comunità.
Ma se, da una parte, evitare grosse dispersioni energetiche durante
il pasto è una buona regola per agevolare la digestione ed
ottimizzare l’assimilizzazione energetica e la metabolizzazione del
Qi, o energia, degli alimenti è anche vero che il momento
del pranzo o della cena rappresentano, per tante famiglie del
nostro mondo superindaffarato, alcune delle poche occasioni per
incontrarsi e, finalmente, parlare un po’.
Anzi, la stessa parola “convivio” riporta etimologicamente proprio
ad un significato di condivisione: cum-vivere significa proprio
“mettere insieme le proprie vivande” o, se vogliamo, momenti della
propria vita. Quando del resto si desidera famigliarizzare con
qualcuno ed avvicinarlo un po’ più intimamente, in genere si
pensa ad un invito a cena o, comunque, ad una occasione in cui
condividere il cibo insieme alla reciproca conoscenza, offerta che,
in quasi tutte le culture, è segno di buona accoglienza
verso l’ospite.
Insomma, fra pregi e difetti di una sana o meno sana abitudine,
valorizziamo il suggerimento che viene dalla medicina ayurvedica:
mangiare sì in compagnia, condividendo cibo e allegria,
opinioni e argomentazioni, senza però suggellare queste
ultime da eccessivo coinvolgimento, badando piuttosto a servire
sempre, insieme a buon cibo, anche buoni pensieri, positivi e
ricchi di vita.
Loredana Filippi
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