Due termini correlati che esprimono concetti leggermente diversi. Abbiamo chiesto aiuto a Vidas per capire.
Vitamina D, come mantenere ottime scorte della “supermolecola” di lunga vita. Anche in inverno
Prodotta in gran parte dall’organismo grazie all’esposizione della pelle al sole, la vitamina D è essenziale per l’organismo. La sua carenza è frequente: ecco come farne tesoro anche in questa stagione all’insegna delle scarse esposizioni.
- Una ricca letteratura scientifica correla il deficit di vitamina D ai problemi a ossa e denti, ma anche alle malattie infiammatorie dell’intestino e della pelle e a quelle degenerative del sistema nervoso centrale (Parkinson e Alzheimer).
- I sintomi di un’eventuale carenza sono molto sfumati: per monitorarne i livelli occorrono specifici esami del sangue.
- Per mantenerne buone scorte nell’organismo basta esporre viso e braccia scoperti alla luce solare per una ventina di minuti al giorno.
Se c’è una vitamina capace di contendersi con la “C” il primato della notorietà questa, senz’ombra di dubbio, è la vitamina D, considerata la mole di studi che la riguardano e la costante curiosità che suscita nei più (è sempre in tendenza nelle ricerche in rete: in Google trends segna stabilmente valori oltre +100 per cento). Merito del suo essere una molecola essenziale per il corretto funzionamento a tutto tondo dell’organismo. “C’è un’ampia letteratura scientifica che correla la carenza di vitamina D non solo a importanti alterazioni dell’apparato scheletrico, con un maggiore sviluppo di osteoporosi, ma anche a quelle del tessuto muscolare, che portano a un indebolimento della forza fisica, con conseguente predisposizione alle cadute”, spiega Giancarlo Isaia, geriatra dell’Università di Torino, presidente della Fondazione per l’Osteoporosi onlus e dell’Accademia di Medicina di Torino. Di più: dopo essere stata attivata nell’organismo grazie all’esposizione della pelle alla luce solare, la vitamina D si comporta come un vero e proprio ormone dotato di recettori presenti in molti organi, stimolando l’assorbimento a livello intestinale del calcio e del fosforo. Questi minerali non solo favoriscono la mineralizzazione della matrice ossea, ma partecipano a un’infinità di azioni metaboliche importanti per cuore, sistema nervoso, risposta immunitaria e meccanismi cellulari.
“Per questo, un deficit di vitamina D viene spesso chiamato in causa in svariate malattie, come quelle degenerative del sistema nervoso centrale (Parkinson e Alzheimer); autoimmuni (artrite reumatoide); infiammatorie dell’intestino e della pelle, come psoriasi e vitiligine”, aggiunge il dermatologo Giovanni Leone, coordinatore scientifico Area dermatologia e Centro di fotodermatologia e cura della vitiligine dell’Ospedale israelitico di Roma e presidente della Società europea di Fotodermatologia. Ma una carenza di vitamina D fa spesso capolino anche in malattie respiratorie, come l’asma, le allergie e la bronchite cronica, e sembra incidere anche sulla fertilità femminile, influenzando la qualità degli ovociti. “Da qualche tempo si ipotizza anche un suo ruolo nel contrastare l’insorgenza e il decorso di molte malattie infettive, Covid inclusa, e di alcuni tumori, in particolare della mammella, del colon e della prostata”, fa notare Isaia. Non solo: si pensa che questa vitamina riesca a contrastare il diabete mellito e a bloccare l’azione di un particolare enzima (11-βHSD1) necessario per produrre il cortisolo, l’ormone dello stress. Tra le tante virtù, la vitamina D annovera anche quella di modulare la risposta infiammatoria controllando il grado di attivazione di molte cellule del sistema immunitario e la produzione di fattori che intervengono nell’infiammazione. Molte di queste evidenze sono supportate da una ricca letteratura scientifica: basta digitare “vitamin D” nel motore di ricerca Pubmed per accedere a tantissimi lavori internazionali.
Quali sono i segnali di carenza e quali i valori ottimali di vitamina D nel sangue
Si stima che il nostro organismo abbia bisogno tra le quattrocento e le mille unità al giorno di vitamina D. Ma la carenza di questa preziosa molecola è una condizione alquanto subdola, oltre che diffusa, poiché tende ad essere evidente solo quando i livelli sono davvero molto bassi, producendo oltretutto solo sintomi aspecifici, come dolori alle ossa e alle articolazioni, debolezza muscolare e stanchezza. Altre spie possono essere problemi dermatologici come dermatiti o pelle eccessivamente secca. “Per questo è consigliabile inserire negli esami del sangue di routine anche quelli che rilevano i valori ottimali di vitamina D, soprattutto dai cinquant’anni in su, quando la pelle a causa dell’invecchiamento perde la sua efficienza nel produrre vitamina D, oppure in caso di obesità – il tessuto adiposo tende a ‘sequestrarla’ sottraendola al sangue – o si è di colore, poiché la maggior presenza di melanina frena la sintesi della molecola. Altre situazioni che richiedono il monitoraggio nel sangue della vitamina D è l’essere affetti da malattie del fegato o dei reni (possono compromettere la conversione della vitamina nelle sua forma biologicamente attiva nell’organismo) o soffrire di malattie intestinali come la celiachia e il morbo di Crohn, che ne limitano l’assorbimento”, consiglia Isaia. Per rilevare le scorte di vitamina D si ricorre alla misurazione dei livelli sanguigni del “25-idrossi-vitamina D”: con concentrazioni inferiori alle 30 nmol/l (12 ng/ml) si è in carenza, mentre la vera e propria insufficienza si verifica quando i valori sono al di sotto di 75 nmol/l (30 ng/ml).
Quanto e come esporsi ai raggi UVB per stimolare la vitamina D
Si stima che oltre l’ottanta per cento della vitamina D circolante nell’organismo sia frutto dell’esposizione della pelle alla luce naturale, mentre solo il restante venti per cento sia assorbito con l’alimentazione. L’organismo, infatti, produce il colecalciferolo (vitamina D3), ossia la vitamina D naturale, grazie all’esposizione ai raggi ultravioletti utilizzando il colesterolo come sostanza di partenza. “Non è necessario esporsi per lunghi periodi per accumulare sufficienti quantità di vitamina D: in inverno, considerato lo scarso irraggiamento, occorrono circa venti-trenta minuti al giorno con viso e arti esposti, evitando possibilmente di applicare filtri protettivi solari o, in alternativa utilizzando creme solari con SPF medio/basso ma allungando i tempi di esposizione fino a circa due ore al giorno. È necessario, però, che il cielo non sia coperto, perché sono solo i raggi UVB a favorire la sintesi della vitamina. In tutti i casi, si può approfittare delle giornate soleggiate e dei weekend in alta quota, sempre con la maggior parte della pelle esposta possibile, per “far scorta” della preziosa sostanza: la vitamina D, infatti, viene immagazzinata nel tessuto adiposo dal quale viene rilasciata gradualmente, in relazione alle necessità”, ricorda il dermatologo Giovanni Leone.
In mancanza di giornate soleggiate, in questa stagione può essere d’aiuto anche la light therapy, ovvero l’esposizione controllata alle speciali lampade che riproducono l’intero spettro solare (quindi anche gli UVB). “Ma cautela con il fai-da-te: la light therapy va effettuata solo dopo aver escluso problemi di tipo dermatologico, come pregressi o storia familiare di tumori cutanei, appartenenza a fototipo basso (I e II, ovvero pelle molto chiara e che si scotta facilmente al sole), presenza di problemi oculistici, come cataratta, alterazioni della retina, glaucoma. E poiché incide sull’umore e sui bioritmi, va somministrata secondo tempi e fasce orarie ben precise – mattina o pomeriggio -, che solo il medico può individuare caso per caso”, puntualizza Leone. Discorso a parte è invece la carenza di vitamina D che, molto spesso, si riscontra nelle persone con vitiligine, la malattia cronica della pelle che comporta la distruzione progressiva delle cellule deputate alla sintesi di melanina. “Nel nostro Centro per la cura della vitiligine”, ricorda Leone, “sottoponiamo tutti i pazienti a screening dei livelli ematici di vitamina D e li trattiamo con la fototerapia UVB a banda stretta, che oltre a stimolare la pigmentazione cutanea può correggere il deficit di vitamina D. Nei casi più importanti ricorriamo anche alla somministrazione di integratori contenenti vitamina D per via orale o farmaci, che hanno un effetto coadiuvante anche sulla vitiligine”.
Il ruolo secondario (ma comunque importante) delle fonti alimentari
A differenza dello stimolo indotto dalla luce naturale, l’alimentazione funziona solo a supporto nel mantenimento di buoni livelli della preziosa vitamina nell’organismo. “La “D” è contenuta in buone percentuali nell’olio di fegato di merluzzo e solo in basse percentuali in alcuni pesci, come il merluzzo stesso e poi aringhe, sgombro, tonno, sardine, acciughe, pesce spada, salmone. È presente anche nel tuorlo d’uovo e in pochi latticini, tra i quali il parmigiano, la ricotta e il provolone, ma soprattutto se arrivano da animali che vengono allevati all’aperto, come nel biologico, poiché la vitamina come precisato più volte è sintetizzata con l’esposizione al sole, ovviamente anche negli animali. Ma per arrivare alla quantità media consigliata di quindici-venti microgrammi al giorno occorrerebbe eccedere con queste categorie di alimenti, sbilanciando la dieta”, osserva il professor Marcello Mandatori, docente di Nutrizione olistica all’Università di Torvergata, Roma. Per questo, la formula ideale per mantenere buoni livelli di vitamina D nell’organismo è fare una passeggiata tutti i giorni all’aperto e seguire una dieta bilanciata che includa possibilmente anche due porzioni di latticini al dì, due uova la settimana, meglio se di produzione bio, così come tre porzioni di pesce, variando le qualità: tonno, trota, merluzzo, anguilla. “Per chi segue un’alimentazione vegana, una buona fonte vegetale di vitamina D sono i funghi, soprattutto se selvatici, sempre in dipendenza della loro maggiore esposizione alla luce solare rispetto a quelli coltivati a scopi commerciali. Altre fonti vegetali sono gli spinaci, le bietole e il cacao. Una valida alternativa sono anche gli alimenti vegetali fortificati con vitamina D, come le bevande di soia, canapa e mandorle, il tofu e i cereali”, dice Mandatori. Aggiunge il professor Isaia: “L’integrazione con preparati farmacologici, invece, è consigliata agli over 65 con osteoporosi o sarcopenia (riduzione importante del tessuto muscolare), ma anche alle persone con malattie neoplastiche o autoimmuni come l’artrite reumatoide o con patologie croniche che risentono positivamente dell’assunzione della vitamina D, ad esempio quelle degenerative del Parkinson e dell’Alzheimer, oltre che in occasione di epidemie o pandemie”. Meglio però assumere i preparati a base di vitamina D sotto controllo medico, perché in eccesso potrebbero dare degli effetti collaterali, come l’ipercalcemia, ovvero livelli elevati di calcio nel sangue.
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