Nella regione del Sahel, sconvolta da conflitti inter comunitari e dai gruppi jihadisti, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Qui a Kalongo ci sono solo bambini
Una scuola di ostetricia in uno sperduto villaggio del nord Uganda forma ostetriche qualificate, ma prima ancora giovani donne africane autonome ed emancipate.
Dal diario di viaggio “Lessons from Kalongo” di Marta Guggiari, volontaria di Fondazione Ambrosoli
“Gloria, ma dimmi, perché fate così tanti figli?”, chiedo a una delle studentesse della St. Mary Midwifery School di Kalongo. Sì, perché? Qui a Kalongo ci sono solo bambini. Intorno all’ospedale Ambrosoli ci sono almeno dieci scuole e ogni classe di ogni scuola raccoglie più di 150 bambini. E ce ne si accorge quando finiscono le lezioni, perché travolgono tutto. Sono migliaia e migliaia. Sembrano formiche impazzite, sono incontabili. Da quelli piccoli piccoli, che si tengono per mano, a quelli un po’ più grandicelli. Tutti, comunque, sempre in giro da soli, niente mamme e papà.
E poi si vedono solo donne incinte. Sono tutte col pancione. Ognuna di loro fa almeno sette o otto figli, uno ogni due anni. E se uno non sopravvive, beh, se ne fa un altro. Molti uomini poi sono poligami. Hanno anche cinque o sei mogli, quindi finiscono per avere 40 figli (quaranta!). Con che soldi li mantengono, con che soldi li mandano a scuola, che soldi non ne hanno? Più hanno figli più si impoveriscono. Ma perché così tanti, allora?
Perché tutti questi figli?
“Non dovresti chiederlo a me. Dovresti chiederlo agli uomini. Perché sono loro che decidono quanti figli deve avere la donna, che non può dire no”. E gli uomini ne vogliono tanti, perché più ne hanno, più sono considerati potenti dalla comunità. Ma soprattutto, più ne hanno e più hanno la possibilità che almeno uno non sia uno scansafatiche e faccia qualcosa di decente nella sua vita, anche per la propria famiglia. Che ruolo ha la donna in tutto questo? Niente da fare. Nessun ruolo. È l’uomo che decide e basta. Quando avere figli, quante volte partorire. E non si può contraddire.
Le donne non hanno voce e accesso alle strutture sanitarie
Le donne, nella cultura africana, non hanno voce. E tante di loro, ancora troppe, di parto muoiono. Il tasso di mortalità materna in Uganda è di 360 donne ogni 100mila bambini nati vivi (in Italia è di tre). Nelle zone rurali dove vive il 90 per cento della popolazione ugandese, i controlli in gravidanza (intesi come visite prenatali) coinvolgono solo il 46 per cento delle donne. Nelle zone rurali, infatti, la maggior parte delle donne incinte in condizioni di salute normali non effettua alcun controllo sanitario di tipo preventivo e spesso sono le levatrici tradizionali che, ove possibile, si recano presso le abitazioni delle future madri per verificare lo stato della gravidanza. Per l’inaccessibilità delle strutture sanitarie spesso le donne si rivolgono ai centri sanitari solo in caso di grave emergenza. Ma a volte, purtroppo, è troppo tardi per salvare loro la vita.
A Kalongo, ad assistere le giovanissime future mamme ci sono l’esperienza e le mani sicure ed amorevoli delle studentesse della St. Mary Midwifery school, la scuola di ostetricia fondata nel 1957 da padre Giuseppe Ambrosoli accanto all’ospedale a lui oggi intitolato. Sin dall’inizio della sua opera in Uganda padre Ambrosoli ha voluto formare il personale locale e soprattutto ha intuito il ruolo che le donne potevano avere in questa comunità. Oggi la St Mary è un fiore all’occhiello, una delle migliori scuole di ostetricia in Uganda, che dalla sua fondazione ha diplomato oltre 1.300 ostetriche professioniste.
“Se istruiamo un giovane, istruiamo una persona. Se istruiamo una donna, istruiamo una famiglia, una nazione.”
(proverbio africano)
Educare e formare le giovani donne africane
La formazione delle ostetriche è fondamentale per salvare la vita di giovani madri e piccoli appena nati, ma non si limita alla sola ostetricia. Suor Carmel, la direttrice della scuola, lavora per dar vita ad un cambiamento culturale che può avvenire soltanto attraverso l’educazione delle giovani donne africane all’autonomia professionale, economica e decisionale. A partire dalle sue studentesse, a cui insegna competenze di ostetricia ma anche dignità e autostima in quanto donne. Con il suo entusiasmo contagioso non lavora solo per farne delle professioniste, ma anche per prepararle alla vita che le aspetta. Per diventare “avvocate” per chi non ha una voce.
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