Ha 300 anni e può essere visto persino dallo spazio. È stato scoperto nel Triangolo dei Coralli grazie a una spedizione della National Geographic society.
Quella volta che Sea Shepherd ci è venuta a trovare
Quella volta che Sea Shepherd è venuta nella redazione di LifeGate e Alex Cornelissen ci ha raccontato la sua storia e le sfide che attendono gli oceani.
A volte succede di ritrovarsi all’interno di una situazione che si sognava da tempo quasi per caso, grazie a una semplice mail ricevuta o a una telefonata fatta per non lasciare nulla di intentato. La volta in cui Sea Shepherd, l’organizzazione che si occupa di proteggere la biodiversità degli oceani, ha “fatto irruzione” nella redazione di LifeGate è andata pressappoco così perché “il segreto è non fare progetti”. È bastato rispondere alla mail di Filippo Cabrini, coordinatore per la Lombardia, che annunciava l’arrivo in Italia di Alex Cornelissen, amministratore delegato di Sea Shepherd Global, per avere l’onore di averlo ospite, il giorno dopo, insieme al presidente di Sea Shepherd Italia Andrea Morello.
Un amore a prima vista
Un caffè, un bicchiere d’acqua e Cornelissen inizia il racconto di come tutto è iniziato: “Mi sono unito a Sea Shepherd nel 2002. Avevo incontrato il capitano Paul Watson per la prima volta due anni prima grazie a un amico che all’epoca era salito a bordo dell’unica nave a disposizione di Sea Shepherd, la Sea Warrior, per girare un documentario per la televisione olandese. È stato così che sono entrato in contatto con un’organizzazione che non avevo mai sentito prima e ne sono rimasto così colpito che due anni dopo ho lasciato il mio lavoro, la mia casa e li ho seguiti per un anno”. Il piano di Cornelissen era di tornare nei Paesi Bassi, ma – ovviamente – niente è stato più come prima: “Quell’anno la mia vita è cambiata”, ha detto Cornelissen che, nel giro di due mesi, è tornato a bordo della nave dalla quale non è più sceso per circa sei anni e mezzo.
Guarda l’intervista a Alex Cornelissen
“Ho iniziato come cuoco sudandomi l’ascesa sul ponte e diventando secondo ufficiale, poi primo, infine capitano inanellando una campagna dietro l’altra”. 25 campagne in 6 anni che hanno portato il capitano Cornelissen a diventare direttore di Sea Shepherd nelle Galapagos dove l’organizzazione ha una sede. Nell’arcipelago ecuadoriano ci è rimasto altri sei anni, un tempo che gli ha permesso di costruire una famiglia. Mentre continua il suo racconto, la moglie e sua figlia lo aspettano con un pizzico d’impazienza fuori dallo studio dove è in corso la registrazione.
“Alla fine del 2013 – continua Cornelissen – abbiamo deciso di spostare la nostra sede centrale dagli Stati Uniti all’Olanda. E così dopo 12 anni sono tornato a casa”.
Lo sbarco in Italia
Intanto, Sea Shepherd muoveva i primi passi anche in Italia: “Lo ‘sbarco’ è avvenuto nel 2010 con l’arrivo al porto di La Spezia della nave Steve Irwin”, racconta il presidente Morello. “In quell’occasione è nato un gruppo organizzato e di supporto italiano he ha portato poi alla fondazione della Onlus”. Oggi sono sempre di più coloro che vogliono dare il proprio contributo per sostenere i settemila chilometri di coste italiane. “Quello che si può fare per dare una mano è candidarsi per diventare volontari a terra e volontari in mare, mettendo a disposizione la propria passione, il proprio tempo e la propria competenza”, continua Morello.
Da quella prima e unica nave a disposizione di Sea Shepherd, le cose sono cambiate tantissimo. Oggi le navi in giro per il mondo sono nove e non passa giorno senza che non siano in corso campagne nazionali o internazionali. “Siamo ovunque – afferma con orgoglio Cornelissen –, in primis perché le minacce che incombono sugli oceani sono sempre più grandi. E poi perché sempre più persone ci sostengono e decidono di ‘imbarcarsi’ con noi”.
La plastica sta uccidendo gli oceani
L’obiettivo principale dell’organizzazione, ancora oggi, rimane la conservazione della biodiversità marina attraverso azioni dirette contro attività di pesca fuorilegge, la caccia illegale alle balene e il sovrasfruttamento ittico, contro lo shark finning. Negli ultimi tempi, però, c’è un altro nemico da sconfiggere: la plastica che infesta gli oceani. “Sappiamo che c’è molto di più che bloccare attività di pesca illegale per salvare gli oceani”, continua Cornelissen. “Dobbiamo diffondere consapevolezza sull’inquinamento causato dalla plastica e limitare la nostra impronta ecologica. È fondamentale l’utilizzo di materiali biodegradabili, ridurre le importazioni. La plastica è un problema serio e gli oceani stanno morendo per causa sua. Nonostante questo, è ovunque. Un altro modo per ridurre la propria impronta sul Pianeta è cambiare regime alimentare in favore di una dieta vegetariana: “A Sea Shepherd promuoviamo uno stile di vita vegano. Non obblighiamo nessuno ad esserlo, ma internamente abbiamo scelto di servire solo pasti vegani sulle nostre navi e penso che questo serva a spingere anche altre realtà e altre persone a fare lo stesso”.
Il Giappone e la caccia per scopi scientifici
Un passaggio sulle attività che porta avanti il Giappone, però, rimane obbligatorio benché, chi ama Sea Shepherd, le conosca molto bene. Dopo un primo stop da parte della Corte internazionale di giustizia dell’Aia sul programma giapponese di caccia alle balene, dichiarato di fatto commerciale e non scientifico, Tokyo ha ripreso la sua battaglia solitaria e il suo programma per scopi scientifici riproponendolo pressoché uguale, cambiando solo qualche parola. “La cosa positiva è che hanno ridotto la loro quota annuale di cetacei uccisi da 1.000 a 333”.
Giusto per far capire quanto sia “illegale” l’attività che porta avanti il Giappone, l’ad di Sea Shepherd racconta di quella volta in cui, sorvolando le baleniere con un elicottero, i marinai giapponesi si sono affrettati a coprire le carcasse con un telone come se ci fosse qualcosa da nascondere. “Una ricerca scientifica dovrebbe portare all’uccisione di una balena ogni cinque anni, se necessario. Non di un migliaio. Per questo tutti sanno che la caccia alle balene del Giappone, in realtà, è puramente commerciale”.
Candidatevi!
A chiudere la chiacchierata ci pensa Morello invitando a consultare il sito per capire come dare una mano a Sea Shepherd Italia visto che le richieste sono sempre più numerose: “Ognuno può partecipare a eventi per diffondere consapevolezza sullo stato di salute dei mari e del Pianeta. Si può dare una mano andando nelle scuole per parlare con i ragazzi oppure organizzando cene e momenti rigorosamente ‘vegan’ per raccogliere fondi e finanziare le attività delle navi in mare aperto”.
Infine, e qui saranno molti a tendere l’orecchio, “si può scegliere di imbarcarsi candidandosi appositamente sul sito specificando le proprie competenze e aspettative. Sulla base di questo, si viene contattati per partecipare alle spedizioni che hanno bisogno di equipaggio”, continua Morello. “Per tenere in vita i nostri oceani e il Mediterraneo, c’è bisogno di supporto. Perché battersi per proteggere la biodiversità marina è l’ultimo baluardo che abbiamo a disposizione per salvare prima di tutto noi stessi”.
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