Al mare ne trovava talmente tanta da decidere di farne un museo, degli orrori. L’idea di una guida naturalistica. Lo scopo? Riflettere sulle nostre colpe.
Pete Ceglinski. Anche un solo Seabin può fare la differenza per rimuovere la plastica dagli oceani
La semplicità e l’efficacia di Seabin, il cestino che rimuove i rifiuti galleggianti dall’acqua, ha travolto il mondo. Arriva anche in Italia e ne parliamo con uno dei suoi creatori, Pete Ceglinski, che ha dedicato la sua vita a pulire gli oceani dalla plastica.
La passione per il mare che unisce gli australiani Pete Ceglinski e Andrew Turton li ha portati a cambiare vita per combattere la plastica negli oceani, perché le generazioni future continuino a godere delle loro bellezze, magari navigando, facendo immersioni o cavalcando le onde sulle tavole da surf come amano fare loro. Questa forma d’inquinamento è così grave che il peso complessivo di plastica nei mari supererà quello dei pesci entro il 2050, secondo la Ellen MacArthur Foundation. All’età di 35 anni Ceglinski, ex designer di prodotto e costruttore di barche, e Turton, che di anni ne aveva 38 e lavorava anche lui nel settore nautico, hanno lasciato il lavoro dedicandosi a sviluppare Seabin, un cestino galleggiante che risucchia e raccoglie i rifiuti dall’acqua (se volete sapere di più su come funziona, cliccate qui), tra cui le microplastiche. Efficace soprattutto in aree come i porti, dove si accumulano i detriti, è in grado di catturare più di 500 chili di rifiuti all’anno.
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Seabin Project arriva anche in Italia
“Se possiamo avere i cestini per la spazzatura sulla terra ferma, possiamo averli anche nel mare”, questa è l’intuizione che ha portato Turton a ideare il dispositivo sette anni fa. L’avventura insieme a Ceglinski, l’attuale amministratore delegato di Seabin Group, è iniziata nel 2014 e in seguito a una campagna di crowdfunding che ha raccolto oltre 260mila dollari e un video virale con più di 350 milioni di visualizzazioni tra Youtube e social media, il cestino Seabin V5 è stato sperimentato in porti in Europa e Stati Uniti per poi essere lanciato sul mercato a fine 2017. Fino ad ora, Seabin Project ha ricevuto richieste per più di 6mila unità da 77 paesi differenti. L’invenzione di Ceglinski e Turton arriva in Italia grazie al progetto LifeGate PlasticLess che mira a posizionare il maggior numero possibile di Seabin per ripulire anche il mar Mediterraneo dalla plastica che, integrata con quella raccolta in altre zone del mondo, può essere riutilizzata a scopo industriale.
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Un approccio olistico per pulire gli oceani dalla plastica
Seabin Project non è solo un cestino che rimuove la plastica dagli oceani ma una realtà internazionale con un approccio olistico al problema dell’inquinamento, chiamato Whole Solution Strategy. L’obiettivo non è solo quello di raccogliere la plastica ma di ridurre la quantità che arriva negli oceani, ad esempio contribuendo a capire meglio quali sono gli effetti dell’inquinamento sulle persone e sugli ecosistemi fornendo importanti dati per la ricerca. Altro tassello fondamentale è quello di promuovere comportamenti più consapevoli soprattutto lavorando con i giovani, sviluppando strumenti educativi rivolti a loro: il Global Ambassador Programme di Seabin Project ha già coinvolto oltre 4mila bambini e ragazzi. Quello dell’educazione è un tema che sta a cuore a Ceglinski, che è da poco diventato papà. Ci ha raccontato la sua storia, cosa lo motiva a impegnarsi nella pulizia degli oceani dalla plastica e come Seabin sta contribuendo a questo obiettivo.
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Le tue passioni per l’apnea, il surf e le immersioni ti hanno portato a vivere a stretto contatto con l’oceano. Come hai visto peggiorare la situazione per via dell’inquinamento da plastica?
Ho passato molto tempo surfando alle isole Mentawai in Indonesia. È lì che ho visto la plastica arrivare come rifiuto nel mare, portata dai fiumi. In più ce n’era moltissima che era stata portata a riva dallo tsunami (che si è verificato in seguito a un terremoto nel 2010, ndr). Nel corso degli anni ho anche assistito all’aumento della quantità di plastica nel Mediterraneo.
Seabin V5 rimuove già le particelle di microplastiche tra i 2 e 5 millimetri e ora state sviluppando un filtro specifico per le microfibre, un tipo di microplastiche. Quando sarà pronto e come migliorerà il dispositivo?
Il filtro che cattura le microfibre dovrebbe essere pronto per essere commercializzato a metà del 2019. Migliorerà l’impatto positivo che Seabin ha sull’ambiente perché permetterà di estrarre le microfibre dalle nostre acque. Benché non risolverà il problema delle microplastiche che entrano negli oceani e Seabin non ne raccoglierà una grande quantità, è comunque un passo nella giusta direzione.
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La fase sperimentale del Seabin V5 si è svolta in Europa e Stati Uniti. Entro la fine dell’anno, quanti paesi saranno dotati dei vostri dispostivi? Cosa ne pensi del fatto che tra questi c’è anche l’Italia?
Al momento stiamo lavorando con venti paesi per l’installazione di Seabin, entro la fine dell’anno potrebbero essere ancora di più. È una grande sfida portare Seabin in tutto il mondo, che comporta anche alcuni rischi. Siamo molto contenti di poter approdare anche nei porti italiani e speriamo che il resto del mondo decida di seguire quest’esempio.
Pensi che Seabin Project possa diventare parte di un modello di economia circolare?
Seabin Project può giocare un ruolo importante per l’economia circolare nel settore delle plastiche. Se otto milioni di tonnellate di plastica entrano nei nostri oceani ogni anno e questi ci rimangono per sempre, nel senso che non si degradano del tutto, allora il buon senso ci dice che queste andrebbero intercettate, catturate e riutilizzate. Tra l’altro, il riciclo di questo materiale comporta meno emissioni di CO2 rispetto all’impiego di plastica vergine.
Uno dei pilastri di Seabin Project è la Whole Solution Strategy. Visto che la rete globale di Seabin V5 permette di raccogliere molti dati, in che modo li mettete a disposizione della ricerca scientifica?
Al momento stiamo sviluppando un programma rivolto a organizzazioni no profit di alto profilo, dando a loro dispositivi Seabin V5 che possono usare per un periodo tra i sei e i dodici mesi. Questo permette di avere dati in tempo reale sulla quantità di detriti galleggianti che ci sono nelle nostre acque.
L’approccio olistico di Seabin inizia insegnando ai giovani perché è importante proteggere l’ambiente. Come si è sviluppato il Global Ambassador Programme e, in quanto neopadre, perché secondo te è importante partire dai più piccoli?
Abbiamo iniziato i nostri programmi educativi sviluppando lezioni basilari sulla plastica e sui rifiuti negli oceani, poi abbiamo coinvolto le scuole e i gruppi rivolti ai giovani con visite a dispostivi Seabin installati nei porti. Da lì abbiamo visto che c’era molto interesse e così abbiamo deciso di sviluppare delle vere e proprie lezioni di scienza. Come neopadre, ma anche prima di diventarlo, ho sempre pensato che ognuno di noi ha la responsabilità di non dare la colpa ad altri per i detriti che galleggiano nei mari, ma di agire personalmente dando il giusto esempio. Vedere i ragazzi interessati al tema dell’inquinamento degli oceani è bellissimo: con qualcuno che li istruisce nel modo giusto possiamo far sì che questa generazione diventi molto più responsabile e cosciente delle proprie azioni nei confronti dell’ambiente e, appunto, degli altri.
Cosa diresti alle molte persone che sono appassionate ai temi ambientali ma si sentono impotenti nel poter contribuire in modo significativo al cambiamento?
Agite, buttatevi e siate orgogliosi di farlo! Una piccola azione ripetuta molte volte da molti può portare al cambiamento. Un singolo, piccolo gesto potrebbe sembrarvi insignificante ma può veramente fare la differenza per qualcosa o qualcuno. “È solo una cannuccia“, ma pensate a cosa può succedere se a dirlo fossero due miliardi di persone.
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