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Quale segreto nasconde il lago Kivu
È uno degli specchi d’acqua più grandi d’Africa, il lago Kivu è anche pericoloso per l’enorme quantità di gas tossici intrappolati nelle sue profondità, che andrebbero estratti. Un’operazione delicata che potrebbe trasformarsi anche in opportunità economica, ma non senza rischi.
La città di Gisenyi, nel distretto ruandese di Rubavu, si trova esattamente al confine con la Repubblica Democratica del Congo e se non fosse per la frontiera sarebbe un tutt’uno con Goma, capoluogo del Nord Kivu, con oltre due milioni di abitanti. Questi due centri abitati si affacciano sulle sponde del lago Kivu, uno degli specchi d’acqua più affascinanti d’Africa e hanno alle loro spalle uno dei vulcani più attivi del mondo, il Nyiragongo. Il 22 maggio 2021 il lago di lava presente nel vulcano (in eruzione dal 2002) è fuoriuscito e le colate si sono dirette su Goma, distruggendo diversi villaggi provocando 32 vittime e 450mila sfollati. In quell’occasione scienziati e autorità hanno vissuto momenti di grande preoccupazione per via di un segreto celato nel lago di cui pochi sono a conoscenza. Una minaccia che incombe da sempre sulle popolazioni rivierasche del Kivu e di cui si sa poco.
Le caratteristiche del lago Kivu
In un villaggio a sud di Gisenyi sulle sponde ruandesi del lago Kivu, il vecchio pescatore artigianale Maurice Gahanage sta sistemando le reti dopo una mattinata di duro lavoro e racconta in lingua kinyarwanda i miti su questo specchio d’acqua dalla superficie di oltre 2.700 chilometri quadrati e profondo quasi 500 metri.
“In fondo al lago ci sono acque scure e verdi dove è impossibile vedere. Secondo le leggende le sue tenebre sono senza fine: non esiste un fondo, ed è lì che Mami Wata può trascinarti”. Maurice, ormai sulla sessantina, è cresciuto sulle piroghe che da centinaia di anni conservano la stessa forma, caratterizzate da lunghi bracci di legno ai lati che si protraggono sull’acqua per far calare le reti e sui cui vengono appese delle lanterne a olio che la notte attirano gli isambaza (dei pesci che misurano al massimo cinque centimetri di cui vanno ghiotti gli abitanti della zona). Afferma di conoscere tutti i segreti del Kivu: “Quando qualcuno sparisce nuotando, sappiamo cos’è stato. Possono venire dei crampi o sentirti soffocare per via di strane esalazioni che ti risucchiano giù. È la divinità custode del Kivu che ti prende con sé”.
Nonostante il racconto inquietante, il paesaggio collinare appare verdeggiante e tranquillo come il lago, increspato solo da piccole e miti onde. Anche il giovane Samuel Manizabayo che traghetta merci e persone, afferma che non è raro sentire uno strano odore tossico fuoriuscire da queste acque, specie quando si passa vicino allo scoglio Akarwa ka bakobwa che affiora a circa 500 metri più al largo. “Secondo i racconti che ci hanno tramandato i nostri nonni, su questi scogli un tempo venivano abbandonati coloro che commettevano atti gravi come l’adulterio o l’omicidio: la leggenda dice che il lago li portava via per punirli”.
Lungo la costa si alternano resort turistici e modesti villaggi di pescatori-agricoltori arroccati sui colli ricoperti di terrazzamenti in cui coltivano banane, granturco, fagioli, caffè e tè. Il lago è da sempre un indispensabile fonte di sostentamento. Su di esso si fondano le radici culturali della popolazione, ma si è creata anche un’aura di mistero.
“Sin da bambina, ascoltando i racconti degli adulti, ho sempre avuto un certo timore del Lago e dei suoi segreti”, dice Rose Biruta, mentre dall’alto delle colline Kirga osserva le acque oltre le piante di caffè di cui si occupa. “Poi crescendo sono venuta a sapere del gas e del pericolo, ma non è mai successo nulla…” dice col tono fatalista di chi ormai è abituata. Rose parla del segreto del lago che ha tenuto col fiato sospeso gli esperti due anni fa. Questo specchio d’acqua nelle sue profondità contiene 300 chilometri cubi di anidride carbonica disciolta e 60 chilometri cubi di metano, mescolati con acido solfidrico tossico. È un lago in cui potrebbe potenzialmente aver luogo un raro fenomeno che i geologi chiamano “eruzione limnica”, vale a dire il rilascio esplosivo e repentino di questi gas nell’atmosfera. Secondo le stime degli studiosi il lago contiene l’equivalente di 2,6 gigatonnellate di CO2, pari a circa il 5 per cento delle emissioni globali annuali di gas serra. In questa eventualità una nube di gas tossico si spargerebbe nei territori circostanti uccidendo milioni di persone in pochi minuti dato che la zona è densamente popolata.
Effettivamente il Kivu è uno dei laghi potenzialmente più pericolosi del mondo: un’anomalia geologica causata dalla sua profondità e dall’intensa attività vulcanica circostante. I laghi al mondo capaci di eruzioni limniche si contano sulle dita d’una mano ma esiste un precedente recente. Nel 1986 in Camerun il lago Nyos è esploso rilasciando oltre 100mila tonnellate di CO2 nelle valli di Subum e Fang, uccidendo 1746 persone e migliaia di animali. Da sempre ci si chiede quante probabilità ci siano che il Kivu “esploda” e gli scienziati sono divisi sulla sua stabilità. La fisica ambientale, Augusta Umutoni, ex program manager del Lake Kivu monitoring program (Lkmp) spiega che i gas sono trattenuti dalla pressione dell’acqua a oltre 300 metri di profondità e che “i rischi di eruzione sono reali ma ridotti, stimati intorno al 55 per cento, che corrisponde al livello di saturazione dei gas disciolti nel lago allo stato attuale”.
L’ultima eruzione limnica del Kivu è avvenuta tra i 750 e i 1.000 anni fa, secondo uno studio pubblicato nel 2015, e la maggioranza degli scienziati ritiene che un forte terremoto, una frana (molte gravi avvenute nelle ultime settimane a causa delle forti piogge), o un’eruzione vulcanica del Nyiragongo potrebbero innescare un rilascio di gas, sconvolgendo la struttura di gradienti nelle profondità e aumentando la saturazione del lago.
“Dovrebbe trattarsi di eventi di proporzioni enormi perché il lago è tra i più profondi al mondo e la sua conformazione è diversa da quella del Nyos che era ormai saturo”, sottolinea scettico Dario Tedesco, vulcanologo dell’Università degli Studi di Napoli Luigi Vanvitelli. Per il ricercatore “è più probabile che un’eruzione vulcanica sul fondo del Kivu provochi l’esplosione limnica dato che si trova su un ramo della Rift valley (fossa tettonica africana n.d.r), oppure, e su questo c’è davvero da temere, che sia ‘l’attività umana’ a perturbare l’equilibrio del lago”.
Tedesco si riferisce alla possibile soluzione proposta da molti per prevenire la catastrofe, che consiste nell’estrazione di parte dei gas per de-saturare l’acqua. Un’operazione che ha anche vantaggi economici dato che il metano è un combustibile fossile utile a produrre l’elettricità di cui RDC e Rwanda hanno bisogno. I ricercatori hanno stimato che il metano nel lago potrebbe fruttare fino a 42 miliardi di dollari in cinquant’anni. In un mondo dove si cerca di ridurre l’uso delle risorse fossili e quindi si criticano i Paesi africani che puntano a usarle per il loro sviluppo, questo potrebbe essere forse l’unico caso in cui l’estrazione sarebbe da considerare addirittura necessaria.
Il progetto KivuWatt
Il Ruanda dal 2015 ha già iniziato lo sfruttamento: il progetto KivuWatt con un impianto da 26 megawatt estrae metano dalle acque di profondità e lo invia a una centrale elettrica che produce quasi il trenta per cento dell’energia consumata annualmente nel Paese, ma i prelievi di KivuWatt sono esigui rispetto allo stock del lago. Al ritmo di estrazione attuale, la società rimuoverebbe meno del cinque per cento del metano nel lago nei prossimi 25 anni. Dall’eruzione del Nyiragongo la corsa al gas del Kivu ha avuto un’accelerazione. Lo si nota percorrendo la strada costiera che da Gisenyi si dirige a sud, lungo la quale gru e chiatte posano in acqua tubature d’acciaio. Sono i cantieri dei nuovi progetti della Shema power ruandese e della centrale Kivu 56 che entreranno in funzione a breve. Anche in RDC le cose si stanno muovendo e presto si inizierà ad estrarre come dichiarato in gennaio dal Ministro degli idrocarburi, Didier Budimbu annunciando le concessioni a tre società nordamericane.
Persistono comunque molti dubbi tra gli scienziati. In primis perché non tutti sono d’accordo su quale tecnica di estrazione del gas sia migliore per evitare di perturbare l’equilibrio del lago e in secondo luogo “perché queste operazioni andrebbero monitorate di continuo con scambi di dati tra aziende e fra i due Paesi che però sono nemici da sempre”, afferma il professor Tedesco. Lo teme anche la rwandese Umutoni: “La competizione per lo sfruttamento della risorsa unita alla tensione crescente nell’area potrebbero interrompere la cooperazione bilaterale sull’armonizzazione dei metodi e le normative”.
Il lago Kivu si trova in effetti in una regione instabile, martoriata da decenni di conflitti tra gruppi ribelli e dalla storia turbolenta per via delle sue immense risorse naturali. Negli ultimi mesi in RDC sono riesplosi gli scontri che coinvolgono l’esercito congolese e il gruppo ribelle M23, le cui azioni hanno provocato centinaia di vittime e migliaia di sfollati e che si sospetta essere sostenuto da Kigali. Dopo l’annuncio delle concessioni imminenti in RDC, non solo sul gas del Kivu ma anche sul petrolio nell’aera, diverse ong e associazioni ambientaliste sono insorte denunciando il pericolo di impatto ambientale e sociale dello sfruttamento. Per Greenpeace ci sono anomalie procedurali, mancato consenso delle comunità (specie sull’isola di Idjwi nel mezzo del lago) e studi di fattibilità “superficiali” che non sono di buon auspicio. Intanto in rada in un piccolo golfo a Kigufi il pescatore Maurice e i suoi compagni di equipaggio si preparano per una consueta notte di pesca. Osserva Goma in lontananza e le chiatte dei cantieri per l’estrazione all’opera. “Ci hanno detto che l’estrazione del gas dovrebbe farci stare più al sicuro e far abbassare i costi dell’elettricità. Ma se è la natura a ribellarsi un giorno? Se Mami Wata fa qualcosa? Non si può combattere il destino”.
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