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Quello di Liberato è stato un lungo e meraviglioso viaggio artistico
Il 9 maggio è arrivato nelle sale italiane la pellicola “Il segreto di Liberato”. Una pellicola indipendente che racconta la vita dell’artista napoletano senza volto.
“In effetti è stato un lungo viaggio”. Privatamente, un amico commenta così i complimenti che gli rivolgo al termine della visione de Il segreto di Liberato, film documentario sull’artista napoletano che dopo l’anteprima al Comicon esce in sala il 9 maggio, nella data simbolo della mitologia del cantante senza volto.
Quell’amico c’è sin dall’inizio nel progetto Liberato, un’epopea iconica come nessun’altra nella musica italiana degli ultimi anni. E che il film restituisce in modo meraviglioso, dagli inizi sgangherati e punk a un prosieguo in cui si è fatto di tutto per salvaguardare la dimensione indipendente e anticonvenzionale, nonostante l’enorme successo in Italia e all’estero.
Nella pellicola tutto questo emerge chiaramente: tutto quello che all’esterno è sempre parso studiato nei minimi dettagli, dalla comunicazione all’immagine, in realtà era molto più amatoriale e improvvisato di quanto non fosse naturale pensare.
Merito di un team di lavoro che in Il segreto di Liberato si prende la scena al posto del “grande assente”, l’artista stesso, che compare lungo l’ora e mezza di film nei modi in cui siamo abituati a vederlo, ossia sotto forma di voce e cappuccio.
A questo si aggiunga il Liberato animato che è uno degli elementi caratterizzanti di una pellicola tripartita.
La storia dell’artista è infatti raccontata attraverso la fusione di tre linguaggi differenti: i disegni di Lorenzo Ceccotti e Giuseppe Squillaci, a metà tra Hayao Miyazaki che parla in dialetto napoletano e l’estetica delle occupazioni anni novanta, la parte più evocativa e “filmica”, con il voice over del cantante, e una parte documentaristica più tradizionale, che mette assieme i backstage di alcuni dei principali live tenuti fin qui da Liberato e le testimonianze di staff, colleghi e giornalisti che ne hanno incrociato il cammino.
A firmare la pellicola è Francesco Lettieri, con Giorgio Testi assieme a lui alla regia. Sono due degli autori di videoclip più importanti degli ultimi anni. Lettieri, in particolare, è forse la persona che più di ogni altra ha contributo al successo di Liberato. Per questo la scelta di “auto-riservarsi” il ruolo di voce principale del film appare del tutto legittima.
La sceneggiatura è molto ben fatta, al pari di una fotografia che rimane a livelli altissimi. Lettieri ripercorre i primi contatti con Liberato un po’ surreali e la scelta di affiancarlo nella creazione di un’identità visiva, poi risultata molto centrata, per il suo primo singolo, Nove maggio, uscito nel 2017, il pezzo da cui tutto è partito.
Da quel momento, a conferma dell’atipicità assoluta del progetto, Lettieri ne è diventato una specie di manager, in quanto era l’unica persona conosciuta ad avere un’evidente link diretto con l’artista (poi subentreranno i ragazzi di Bomba Dischi). Tanti i momenti surreali di questa fase, come il presunto manager che da una pagina Facebook rispondeva a tutte le major pronte a ricoprirlo di soldi in caps lock e con la L della tastiera non funzionante.
Liberato è cresciuto fino a diventare una cosa enorme, man mano che i suoi pezzi uscivano senza mai sbagliare un colpo, da Tu t’e scurdat’ ‘e me a Gaiola portafortuna e poi Me staje appennenn’ amò fino alla colonna sonora del film Ultras.
Il film si concentra soprattutto sui live, altro aspetto che ha contribuito non poco alla mitologia dell’artista grazie a una serie di scelte coraggiose e ambiziosissime. Si vedono le immagini dei live a Berlino e a Parigi, delle incredibili serate napoletane con gli 80mila di piazza Plebiscito.
Napoli ha molto a che fare con il successo di Liberato, che ha restituito il favore dando una nuova colonna sonora a una città che sta vivendo un momento magico. Il passaggio di Liberato, incappucciato e scortato dal suo staff, nel fossato dello stadio Maradona per la celebrazione dello scudetto è forse il frame più forte del film, perfetta istantanea di un momento che finirà sui libri di storia.
La Napoli di Liberato è santa e terrena, trasfigurata come le immagini dei suoi personaggi, verissimi anche se molto folkloristici. Una città maestra nel romanticismo e nel tratteggiare la cartolina di sé stessa, come si spiega in “Il segreto di Liberato”, che svela così due degli ingredienti che l’artista ha saputo unire come pochi prima di lui.
La sua canzone d’amore contemporanea lo ha reso “uno dei grandi racconti della città degli ultimi anni”, capace di connettere due mondi che condividono lo stesso lungomare e a volte persino gli stessi quartieri, quello degli ultimi e quello di chi ha studiato e può permettersi l’ambizione.
In questo modo Liberato ha reso possibili un sacco di cose che prima non si pensavano tali. Fino al punto di fare dimenticare l’ossessione per la sua identità, che per anni è stata la costante di ogni attenzione rivolta a lui («è stato detto che era mio padre» ricorda Calcutta, oppure che era di Acerra e non di Napoli). Il suo capolavoro è stato quello di normalizzare i segreti, facendosi comprendere in profondità senza nemmeno il bisogno di mostrare il volto.
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