La Corte europea per i diritti dell’uomo ha ascoltato i 6 giovani portoghesi e la difesa degli stati accusati di inazione climatica. La sentenza nel 2024.
È iniziato il 27 settembre, presso la Corte europea dei diritti per l’uomo, il processo che vede accusate 32 nazioni di inazione climatica.
Il dibattito è durato circa 7 ore. Il verdetto verrà espresso nel 2024.
I giovani sono molto delusi dalle parole che gli stati hanno scelto per difendersi: è come se la crisi climatica, per i governi, non fosse un problema loro.
Dovremo aspettare il 2024 per conoscere la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) sul caso dei sei giovani portoghesi che hanno portato in tribunale 32 stati rappresentati dalla Cedu (tutti gli quelli dell’Unione europea, più Norvegia, Regno Unito, Svizzera, Russia e Turchia. Manca solo l’Ucraina).
Di questo caso se ne sente già parlare da diversi giorni: i giovani attivisti, di età compresa tra gli 11 e i 24 anni, sostenuti da un team di avvocati della Global legal action network (Glan), chiedono che la Corte obblighi gli stati ad adottare misure più stringenti nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Insomma, i giovani portoghesi condannano l’inazione climatica di questi paesi, criticati per la loro lentezza nella risposta.
Perché questa udienza è importante per il clima
Il 27 settembre a Strasburgo la Corte ha iniziato a esaminare il più grande caso legato al clima mai portato in tribunale. L’audizione che si è tenuta in questo giorno alla grand chamber della Cedu ha rappresentato un calcio d’inizio simbolico, ma estremamente importante: questo organo, infatti, è composto da 17 giudici il cui verdetto è inappellabile e viene convocato in meno dell’1 per cento dei casi che arrivano alla Corte. Questa eccezionalità può essere letta come un buon segno, perché potrebbe significare che i giudici sono molto interessati al caso e ne sentono la portata storica. E in caso di successo, la Corte potrebbe ordinare ai governi di intensificare la loro azione sul clima. Ma di questo, appunto, se ne parlerà il prossimo anno.
Altro elemento “positivo” è che il caso sia incentrato solo sulla mitigazione dei cambiamenti climatici: è importante poiché in passato gli organismi per i diritti umani si sono pronunciati sull’adattamento evitando però di intervenire su questioni complesse, come appunto è il campo delle ambizioni degli stati sulla mitigazione.
Cosa è successo il 27 settembre alla Corte di Strasburgo
Per il momento possiamo solo dire come è andata questo 27 settembre. Per i governi chiamati in causa erano presenti in aula oltre 80 avvocati, mentre i ricorrenti sono stati rappresentati da un gruppo di soli sei avvocati del team di Glan. Davanti alla sede della Corte di Strasburgo, per tutto il giorno centinaia di attivisti hanno espresso il loro sostegno ai giovani portoghesi.
I giovani e gli avvocati, una volta usciti dall’udienza durata circa 7 ore, si sono detti molto delusi delle risposte ottenute dai rappresentanti degli stati chiamati in causa. “È molto triste quello che abbiamo ascoltato oggi”, ha detto Cláudia Duarte Agostinho, 24 anni. “I governi hanno appena ammesso che ciò che accade intorno a noi non è importante. Stanno cercando di minimizzare l’impatto che il cambiamento climatico ha sui nostri diritti umani”. Della stessa idea è anche André Oliveira, 15 anni: “Sono scioccato dal tentativo dei paesi di ignorare le prove e di banalizzare i danni che già affrontiamo. Il caldo estremo limita il tempo che posso trascorrere all’aperto. Sono costretto a restare in casa, faccio fatica a dormire e a causa delle deboli politiche climatiche di questi governi, le cose stanno peggiorando. Ma rimango fiducioso che la corte comprenderà l’urgenza di questa situazione e si pronuncerà a favore del nostro caso”.
Durante il dibattimento in aula, gli avvocati delle nazioni hanno respinto le critiche dei giovani concentrandosi sugli aspetti tecnici dell’accusa. In particolare, i difensori dei governi hanno evidenziato l’inammissibilità di tale processo, poiché i casi evidenziati e che hanno spinto i giovani a rivolgersi alla Corte riguardano il Portogallo e per questo motivo una condanna non potrebbe applicarsi a tutti paesi chiamati in causa. Inoltre, se mai la Corte dovesse condannare tutti gli stati, verrebbe riconosciuta una responsabilità “extra-territoriale”: cioè, ciascun paese sarebbe responsabile – dal punto di vista del clima – anche per conto di altri. Che è proprio quello che stanno chiedendo i giovani.
Ma ci sono due principi che vengono costantemente invocati dagli stati nel tentativo di evitare il controllo giurisdizionale e la responsabilità. Parlano di “sussidiarietà”, poiché le questioni dovrebbero idealmente essere decise dalle istituzioni nazionali, a meno che non sia necessario un intervento delle istituzioni europee. E poi parlano di “margine di manovra”: perché se è vero che la Corte ha un certo margine di manovra sulle autorità nazionali nell’adempimento dei loro obblighi in materia di diritti umani, questo margine non è illimitato e non deve distogliere dal dovere di soddisfare “standard stabiliti”.
“Nessuno di loro ha confutato le prove che abbiamo presentato, secondo cui le loro politiche stanno portando collettivamente a 3 gradi Celsius di riscaldamento in più”, ha spiegato Gearóid Ó’Cuinn, uno degli avvocati di Glan. “La Corte ha mandato dei segnali positivi e per noi questo è un segno che i giudici stanno prendendo molto sul serio la questione. Siamo fiduciosi che riconosceranno la minaccia che il cambiamento climatico rappresenta per il pieno godimento dei diritti umani, non solo da parte degli attivisti qui presenti ma anche per tutti i cittadini europei, e che adottino, si spera, una decisione giuridicamente vincolante per tutti questi paesi, chiedendo loro di attuare tagli delle emissioni profondi e urgenti”. Perché l’urgenza è l’unica cosa di cui dobbiamo parlare ora, poiché la finestra temporale per intervenire si sta rapidamente chiudendo.
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