Il 10 dicembre è la Giornata internazionale dei diritti per gli animali. Animal Equality scende in piazza a Milano per dare voce a chi non ce l’ha, per fermare la sofferenza degli animali.
Bracconieri mediatici, quando un selfie può diventare letale
Come se gli animali selvatici non corressero già abbastanza rischi, adesso anche i selfie contribuiscono a mettere in pericolo molte specie.
Gli animali sono innegabilmente adorabili ed è comprensibile che si voglia immortalare un momento così speciale come l’incontro con un quokka. Del resto, i quokka sorridono sempre e sono visibilmente felici di farsi un selfie (o dieci) con noi, con voi e con le altre 500 persone in fila. E poi, si può davvero dire di essere stati in Australia se si torna a casa senza una foto in loro compagnia? Sì, si può e si deve. Per quanto il contatto con un animale selvaggio sia un’esperienza unica e indimenticabile, bisogna assicurarsi di farla nel modo corretto.
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La crescente domanda di foto può costare la vita a un’intera specie
“La crescente domanda di fotografie con gli animali pone un problema molto serio alla conservazione delle specie. Il nostro studio condotto in America Latina, ha scoperto che più del 20 per cento degli animali fotografati sono a rischio di estinzione e più del 60 per cento sono protetti da leggi internazionali”, ha dichiarato Neil D’Cruze, della World animal protection (Wap), una ong internazionale che si occupa di tutelare il benessere degli animali. Infatti, tra le dieci specie più fotografate in assoluto compaiono elefanti, leoni e tigri, tutti animali presenti nella lista Cites delle specie da proteggere. E ancora: koala, delfini, bradipi e primati di ogni tipo. Chi propone queste attività non si preoccupa certo di proteggere i propri animali, che, dietro le quinte, sono maltrattati, picchiati e incatenati. Senza contare i traumi psicologici che l’interazione con un essere umano può provocare.
Quando il buonsenso viene meno
La Wap ha scoperto che il 94 per cento dei tour operator di Manuas, in Brasile, propone la possibilità di interagire direttamente con i bradipi. Il 77 per cento incoraggia addirittura il contatto fisico, proponendo di tenerli in braccio, accarezzarli e scattarsi selfie con loro. Infatti, il 70 per cento delle fotografie con i bradipi su Instagram, il social network dedicato alle fotografie, raffigura persone che baciano e abbracciano questi animali. Una situazione in apparenza tenera, ma che cela una tragica realtà.
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I bradipi, contrariamente a quanto si vede su Instagram, sono per natura animali solitari che non dovrebbero essere avvicinati dall’uomo e avrebbero bisogno di riposare per la maggior parte della giornata. Nel report dello studio si legge come “ci siano delle buone ragioni per credere che i bradipi utilizzati per fare foto con i turisti non sopravvivano più di sei mesi”, contro i dodici anni di vita media che trascorrerebbero in natura.
Del resto, non mancano esempi in cui turisti hanno scattato dei selfie persino letali. Il più famoso è sicuramente il caso del cucciolo di delfino ucciso in Argentina nel 2016 da un gruppo di persone che voleva scattare una foto con lui. Intenzioni innocenti hanno avuto un risvolto tragico quando l’animale è stato tolto dall’acqua, morendo, così, di disidratazione.
Come è stato possibile arrivare a questo punto?
L’assurdità è che i selfie con animali selvatici sono diventati popolari proprio nel tentativo di proteggerli. Inizialmente star e influencer hanno sfruttato le loro piattaforme per aumentare la consapevolezza sulle specie in via d’estinzione, ma “hanno finito per normalizzare il contatto con gli animali”, sostiene Cassandra Koenen, portavoce della Wap. Le foto, tolte dal contesto in cui erano state scattate, hanno contribuito a diffondere l’idea che questi animali siano felici di essere toccati tutto il giorno. E tour operator sconsiderati hanno pensato bene di lucrarci sopra.
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La stessa cosa è successa nel caso di biologi e ricercatori che hanno pubblicato foto mentre interagivano con esemplari che stavano curando. I social hanno erroneamente contribuito a censurare gli anni di studi che queste persone hanno dovuto fare prima di potersi anche solo avvicinare agli animali.
Bisogna sottolineare però come Instagram stia cercando di invertire la rotta. Ha infatti inserito una schermata che compare quando si cercano hashtag inerenti a selfie con animali selvatici e una pagina di approfondimento con link a ong che si occupano di tutelare queste specie.
“Ti invitiamo a prestare attenzione al modo in cui interagisci con gli animali selvatici e a chiederti se un animale è stato contrabbandato, catturato da cacciatori di frodo o maltrattato per scopi turistici. Ad esempio, non fidarti di chi ti offre la possibilità di scattare foto con animali selvatici a pagamento, dato che questo tipo di foto e video potrebbe mettere a rischio animali in via d’estinzione.” © 2019 Instagram, Inc
Cosa si può fare?
Informarsi, informarsi e informarsi ancora un po’. È bene ricordare che i quokka e i bradipi sorridono anche quando sono stressati, quindi non bisogna farsi trarre in inganno da comportamenti che a prima vista sembrerebbero umani. Imparare a scattare fotografie nel modo giusto non consente solo di avere un bel ricordo di una vacanza, ma permette di educare chi ci sta intorno sui rischi di pratiche pericolose. La Wap ha pubblicato un vademecum di buone pratiche da seguire quando si ha a che fare con specie protette. Ad esempio, le fotografie, e persino i selfie, scattate in lontananza, senza flash, non nuocciono a nessuno, a patto che non ci siano interazioni dirette con l’animale, che deve essere sempre libero di girare nel suo habitat naturale. Come sostiene da anni la Wap, “abbiamo tutti il potere di cambiare il futuro di questi animali”.
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