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Sergio Savaresi, Polimi. La pandemia ha accelerato la virtualizzazione della mobilità
Intervista a Sergio Savaresi, professore del Politecnico di Milano: questo sarà il decennio delle auto elettriche, il prossimo di quelle a guida autonoma.
Si parla molto del futuro della mobilità, meno della virtualizzazione della mobilità stessa. Per Sergio Savaresi, professore del Politecnico di Milano, è questo l’effetto più importante dell’emergenza pandemica. Abbiamo capito di poter fare molte cose senza spostarci, di conseguenza entro i prossimi 20 anni sarà la domanda stessa di mobilità fisica a crollare. Ci saranno molte meno automobili nelle strade, sostituite da taxi a guida autonoma in sharing per gli spostamenti delle persone e da furgoncini, robot e droni per le consegne a domicilio. Intanto, in questo decennio, assisteremo alla piena affermazione dell’auto elettrica, che già ora è più conveniente di un mezzo tradizionale. Il costo di acquisto, l’autonomia delle batterie e la carenza di colonnine di ricarica non rappresentano ostacoli reali: per Savaresi si tratta piuttosto di “tre pregiudizi”. Ecco perché.
In Europa e in Italia le auto connesse incontrano sempre di più il favore degli automobilisti. Sulle auto a guida autonoma, invece, i tempi per un’ampia diffusione sembrano ancora molto lunghi. Cosa frena il loro sviluppo?
Le auto connesse e quelle a guida autonoma presentano livelli di complessità tecnica molto diversa e non paragonabile. Le prime si servono di tecnologie già ampiamente disponibili in un mondo in cui siamo iper-connessi, che oltretutto non riguardano il movimento del mezzo ma i servizi a chi siede al volante. Per quanto riguarda l’auto a guida autonoma, ora siamo al livello 2: ci sono già mezzi in commercio che permettono in alcune situazioni, per esempio in autostrada, di inserire il pilota automatico. Il grande salto è costituito dal livello 3, nel quale – come avviene sugli aerei – il conducente può permettersi di distrarsi e di fare altro, perché la macchina segnala situazioni di difficoltà in tempo per permettergli di riprendere il controllo del mezzo. Si tratta di un grande salto perché tutto ciò non tocca solo aspetti tecnologici ma anche normativi, legislativi e assicurativi.
Quando potremo vederne in numero considerevole sulle nostre strade?
Al momento le auto a guida autonoma di livello 3 non sono autorizzate ma sono convinto che, se gli anni 20’ di questo secolo saranno quelli dell’auto elettrica, gli anni 30’ vedranno la piena affermazione della guida autonoma. Credo che in Cina anticiperanno leggermente gli altri Paesi, prendendosi anche qualche rischio giustificato. Se già oggi sostituissimo tutti i piloti umani con piloti automatici, i secondi sarebbero sempre più efficienti in termini di riduzione degli incidenti stradali. È chiaro che oggi un sinistro causato dalla guida autonoma fa clamore, al contrario delle migliaia di vittime legate alla guida tradizionale: si tratta di un paradosso simile a quello dei vaccini al quale stiamo assistendo in questi giorni.
Intanto le auto elettriche continuano a conquistare quote crescenti di mercato. Generalmente si sostiene che i prezzi di vendita, l’autonomia delle batterie e la carenza di infrastrutture di ricarica siano i tre elementi che ne condizionano una diffusione ancora più ampia.
In realtà si tratta di tre pregiudizi. Partiamo dai prezzi: se si considera non solo il prezzo di acquisto ma anche i costi da sostenere durante l’utilizzo – dall’energia all’assicurazione, fino al bollo – l’auto elettrica è già conveniente. Il break even, ovvero il punto di pareggio tra entrate e uscite, ora si raggiunge tra i sei e i sette anni e in futuro anche prima, perché scenderà il prezzo delle batterie. Per quanto riguarda l’autonomia, un nostro studio ha dimostrato che il 50 per cento delle auto italiane non percorre più di 300 chilometri nelle 24 ore, in nessun giorno dell’anno: ciò vuol dire che per la metà del parco auto circolante quello dell’autonomia non è un problema reale, ma solo percepito. Le colonnine sicuramente facilitano la transizione ecologica, ma oggi già il 30 per cento degli italiani potrebbe passare all’elettrico utilizzando solo la ricarica notturna domestica. Questi tre pregiudizi sono destinati a sparire man mano che le persone, utilizzando sempre più auto elettriche, si accorgeranno che non si tratta di limiti reali.
C’è poi il tema, forse non abbastanza considerato, della provenienza dell’energia che alimenta le auto elettriche…
L’auto elettrica è pensata per non emettere CO2 mentre è in movimento. Ma bisogna chiedersi come viene prodotta l’energia che serve ad alimentarla, e in Europa emergono enormi differenze. In Francia, con il nucleare, si emettono 51 grammi di CO2 per Kilowattora; in Estonia, con il carbone, 1.100 grammi, ovvero 20 volte tanto. L’Italia, con 360 grammi, si colloca in una posizione intermedia ma tale che l’elettrico risulti già conveniente rispetto a benzina e diesel. Al momento se si è sotto i 500 grammi l’elettrico è più performante, ma in futuro il dato è destinato a calare in tutti i Paesi che, sia pur con velocità diverse, hanno avviato il percorso della transizione energetica.
Cosa pensa invece delle auto a idrogeno? Possono davvero favorire la transizione ecologica del comparto, e in che tempi?
Intanto è bene evidenziare che l’idrogeno non è una fonte di energia ma solo un vettore: l’auto alimentata a idrogeno è comunque un’auto elettrica, con la differenza che l’accumulo di energia viene effettuato con idrogeno accoppiato a celle a combustibile e non in una batteria al litio. Il grande vantaggio è dato dalla possibilità di ricaricare un mezzo in cinque minuti, garantendo un’autonomia di 500 chilometri. Gli svantaggi sono l’inefficienza, perché nella trasformazione da idrogeno a elettricità si perdono i due terzi dell’energia, e la mancanza di infrastrutture che andrebbero realizzate partendo da zero. L’idrogeno rappresenta una valida soluzione per il trasporto pesante e, tra una ventina di anni, sostituirà il diesel sui camion. Invece non sono pronto a giurare che possa diventare un reale competitor delle batterie per quanto riguarda le auto.
Uno studio del Politecnico ha stimato che, tra soli 20 anni, sarà sufficiente un decimo del parco circolante attuale per soddisfare i bisogni della mobilità. Cosa sostituirà questo enorme numero di auto?
Per raggiungere quello scenario l’auto autonoma dovrà essere completamente sviluppata fino al livello 5, che prevede un pilota automatico del tutto sostituibile a un conducente umano. A quel punto sarà velocissima la transizione verso l’auto condivisa e verso il modello del robot-taxi. Sarà un mondo in cui quasi nessuno avrà un’auto di proprietà, resterà solo una piccola nicchia di “emotional cars” pensate non tanto come mezzo di trasporto quotidiano ma come sfizio, un po’ come avviene oggi per alcune tipologie di moto. Ci si sposterà in taxi, mezzi sempre presenti nelle strade e a basso costo, e sarà un modello molto più efficiente con poche macchine che faranno poca strada perché condivise: oggi, in media, ogni auto italiana percorre solo 10mila chilometri in un anno.
Abbiamo parlato molto di prospettive future, eppure tra gli effetti più evidenti dell’emergenza pandemica ci sono il ritorno all’auto privata, un crollo di presenze sui mezzi pubblici e una certa ritrosia nell’uso delle auto in sharing…
Sono tutti effetti di una comprensibile paura di contagiarsi. Ma tra qualche mese ci metteremo queste preoccupazioni alle spalle e torneremo a muoverci in maniera più efficiente, con mezzi pubblici e in sharing. Le città stanno resistendo perché le persone si muovono di meno, immagini se tutti ci spostassimo ai ritmi di un anno e mezzo fa solo con mezzi privati. Più che altro, a mio avviso la pandemia ci ha insegnato altro.
Cosa?
L’emergenza pandemica ha accelerato il concetto di virtualizzazione della mobilità. Abbiamo capito che esistono tecnologie che ci permettono di fare molte cose da remoto: pensiamo ai meeting virtuali, che oltretutto saranno potenziati grazie a meccanismi di realtà aumentata. Oppure all’acquisto di beni ormai di ogni tipo, dall’abbigliamento alla spesa. Tutto ciò va a discapito della mobilità fisica delle persone, di conseguenza ci sarà un abbattimento della richiesta stessa di mobilità fisica, e un aumento della mobilità della logistica. In pratica vedremo sulle nostre strade molte meno auto e molti più furgoncini, robot e droni: non saremo più noi ad andare dove c’è la merce, ma la merce ad arrivare da noi grazie all’e-commerce.
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