Il 9 agosto l’Ipcc ha presentato i risultati del primo gruppo di lavoro del sesto rapporto di valutazione (Ar6). La conclusione? Agire adesso contro la crisi climatica o vivremo in emergenza continua.
Succede spesso e – è proprio il caso di dirlo – volentieri che previsioni negative di scienziati come economisti ed altri esperti vengano disattese. Succede perché quegli “allarmi”, lanciati con largo anticipo, servono proprio a far suonare la sirena per consentire a chi di dovere, ai leader che devono prendere decisioni di merito, di farlo per tempo. Senza aspettare l’emergenza di turno o – peggio – di agire sulle macerie quando le conseguenze sono ormai irreversibili.
Non è – purtroppo – il caso dei climatologi, cioè coloro che studiano la climatologia. Questi scienziati hanno lanciato numerosi allarmi, fatto suonare innumerevoli sirene, eppure le azioni intraprese a livello globale per tagliare drasticamente le emissioni di gas serra, frenare il riscaldamento globale e contrastare la crisi climatica sono ancora troppo, troppo poche. In un voto: gravemente insufficienti.
Questa, in una sintesi poco tecnica e molto pratica, la conclusione della prima parte del sesto rapporto di valutazione dell’Ipcc (Ar6), il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, fondato nel 1988 grazie alla collaborazione tra l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) e premio Nobel per la Pace “per gli sforzi per costruire e diffondere una conoscenza migliore sui cambiamenti climatici causati dall’essere umano e per aver posto le base per la creazione delle misure necessarie per contrastarli”. Correva l’anno 2007.
Quello di oggi, dunque, è l’ennesimo allarme lanciato. Questa volta a ridosso della Cop 26, l’annuale conferenza sul clima della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Unfccc), che si tiene a Glasgow, nel Regno Unito, dal 31 ottobre al 12 novembre. Ultimo appuntamento considerato utile per prendere decisioni definitive.
Ipcc, le conferme nell’Ar6
Secondo i 234 scienziati provenienti da 66 paesi che hanno firmato il rapporto, per evitare effetti catastrofici e irreversibili, è necessario non superare l’aumento della temperatura media globale – causata dalle emissioni di gas serra, come la CO2 e il metano – di 1,5 gradi centigradi. Una soglia nota e che nell’Accordo di Parigi, il primo trattato internazionale sul tema firmato nel 2015, è stato tradotto in un “ben al di sotto dei 2 gradi”.
Invece secondo il dossier presentato il 9 agosto, quello relativo alle basi e alle evidenze scientifiche, il pianeta Terra ha già subito un riscaldamento pari a 1,1 gradi rispetto al periodo 1850-1900, con un’accelerazione drastica negli ultimi anni. Il lavoro del primo gruppo di lavoro è più accurato nei dati e nelle previsioni e ha stimato in modo più preciso il carbon budget, cioè la quantità di gas serra che possiamo ancora emettere prima di vanificare ogni sforzo di successo.
The evidence is irrefutable: greenhouse gas emissions are choking our planet & placing billions of people in danger.
Global heating is affecting every region on Earth, with many of the changes becoming irreversible.
“Il rapporto di oggi è un codice rosso per l’umanità”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. “I campanelli d’allarme sono assordanti e le prove sono inconfutabili: le emissioni di gas serra dovute ai combustibili fossili e alla deforestazione stanno soffocando il nostro pianeta e mettendo a rischio immediato miliardi di persone. Il riscaldamento globale sta interessando ogni regione della Terra e molti dei cambiamenti che stanno diventando irreversibili. Dobbiamo agire ora in modo deciso per tenere ‘viva’ la soglia dei 1,5 gradi”, ha proseguito Guterres in una nota alla stampa internazionale.
Soglia che, stando così le cose raggiungeremo e sfonderemo in soli vent’anni. Agire ora, quindi, significa far sì che quella soglia venga raggiunta, ma non superata, ricordano gli scienziati dell’Ipcc. Del resto alcuni degli effetti che stiamo vivendo e osservando, come le alluvioni o gli incendi, non si verificavano sulla Terra da migliaia, se non centinaia di migliaia di anni.E le ondate di calore si intensificheranno fino a diventare quasi tre volte più frequenti e quindi non più eventi eccezionali, bensì la normalità nel prossimo futuro (si veda in tal senso il tweet di seguito sulle ondate di calore della settimana di ferragosto nel mondo). Mentre altri – come l’innalzamento del livello dei mari – sono già da considerarsi come irreversibili.
“Questo rapporto è la rappresentazione degli sforzi straordinari compiuti in circostanze eccezionali”, ha detto il capo dell’Ipcc Hoesung Lee. “Le novità e i progressi scientifici sul clima contenuti in questo rapporto forniscono un contributo inestimabile ai negoziati sul clima [la Cop 26, ndr] e ai processi decisionali”.
Le novità del nuovo rapporto dell’Ipcc
Da una lettura approfondita del report emergono alcuni punti chiave, su tutti la chiara correlazione scientifica tra l’azione dell’essere umano e vari fenomeni legati al riscaldamento globale. Diventa “inequivocabile”che la nostra attività influenza abbia reso l’atmosfera, gli oceani e le terre emerse bollenti. Siamo la causa principale del ritiro dei ghiacciai a livello globale dagli anni Novanta e della diminuzione del ghiaccio marino artico tra il 1979 e il 1988 e il 2010 e 2019.
È sempre colpa nostra l’acidificazione dei mari e degli oceani a partire dagli anni Settanta. La correlazione è alta anche per quanto riguarda la variazione delle precipitazioni, mentre sempre l’influenza umana ha aumentato la probabilità di eventi estremi complessi a partire dagli anni Cinquanta. Il documento Ar6 sullo stato del clima, che ha forte valenza politica essendo espressione dei governi che fanno parte dell’Onu, riconosce dunque il nostro ruolo incontrovertibile nella crisi climatica.
Le evidenze scientifiche sul ciclo dell’acqua
Grande attenzione viene data alle ricerche sul ciclo globale dell’acqua. Secondo l’Ipcc infatti si verificherà un aumento di intensità, variabilità e severità dei fenomeni, dai monsoni ai diluvi, dalle siccità alle tempeste. Se nei report passati c’era ancora incertezza, i nuovi modelli pressoché garantiscono che si verificheranno aumenti delle precipitazioni e dei flussi di acqua superficiale. Si prevede che la precipitazione media annua globale del suolo aumenterà dello 0-5 per cento nello scenario con emissioni di gas serra molto basse e dell’1-13 per cento con emissioni di gas serra molto elevate entro il 2081-2100 rispetto ai dati del 1995. Si prevede che le precipitazioni aumenteranno alle alte latitudini, nell’oceano Pacifico equatoriale e in parti delle regioni monsoniche, ma diminuiranno su parti delle regioni subtropicali e limitate aree tropicali. C’è un’elevata probabilità in un inizio anticipato dello scioglimento delle nevi primaverili, con flussi di picco più elevati a scapito dei flussi estivi nelle regioni dominate dalla neve. Per l’Italia sono tutte pessime notizie, se nella pianura Padana aumenterà la scarsità idrica legata all’anticipo dello scioglimento di nevi e fusione dei ghiacciai, a sud e sulle isole significherà sempre più siccità prolungate e conseguente rischio di incendi.
Cosa succederà alle precipitazioni
C’è poi il rischio delle tempeste: l’intensità delle precipitazioni (elevate quantità in tempi ridottissimi) è destinata a crescere di 7 punti percentuali per ogni grado di aumento della temperatura. Cicloni e uragani di categorie 4 e 5 sono destinati a diventare sempre più frequenti, con gravi conseguenze sulle popolazioni e sulla sicurezza interna degli stati. Questo è un altro dei grandi elementi di novità del report che mette sempre più in relazione gli eventi estremi con il riscaldamento globale. Per valutare gli impatti di questi fenomeni sulla salute e sull’economia, però, bisogna attendere il secondo e terzo capito dell’Ar6.
Le conseguenze sono irreversibili per mari e monti
Altra certezza è il fatto che gli effetti saranno irreversibili per secoli, se non per millenni. In particolare quelli legati all’acidificazione e all’aumento della temperatura degli oceani, alla fusione della criosfera e all’innalzamento del livello dei mari. Le conseguenze sulla vita marina sono ancora tutte da studiare. Stesso discorso per i ghiacciai montani e polari e per il permafrost che avranno bisogno di secoli per riformarsi: continuando così per le prossime generazioni sarà difficile, se non raro, ammirare luoghi come il ghiacciaio dei Forni o dell’Adamello sulle Alpi.
Molto preoccupanti anche le evidenze sull’aumento dei livelli dei mari che nello scenario ad emissioni di CO2 elevato potrebbe aumentare tra 0,63-1,01 metri al 2100 (“solo” 0,32-0,62 metri nello scenario con emissioni ridotte), raggiungendo fino a 1,88 metri al 2150. Tuttavia scenari ancora più catastrofici come “2 metri entro il 2100 e 5 metri entro il 2150 in uno scenario di emissioni molto elevate (SSP5-8.5) non può essere escluso a causa della profonda incertezza nei processi della calotta glaciale”. Un fenomeno destinato a durare e che continuerà ad aumentare “da secoli a millenni a causa del continuo riscaldamento delle profondità oceaniche e che con molta probabilità rimarrà elevato per migliaia di anni. Nei prossimi 2.000 anni, il livello medio del mare aumenterà di circa 2-3 metri se il riscaldamento è limitato a 1,5 gradi centigradi, da 2 a 6 metri se limitato a 2 gradi e da 19 a 22 metri con un riscaldamento di 5 gradi.
Al lavoro del primo gruppo seguiranno quelli del secondo sul tema dell’adattamento a un clima che cambia e del terzo sulla mitigazione – cioè sul taglio – delle emissioni di gas serra. I prossimi documenti saranno pubblicati nel corso del 2022.
La via la traccia di nuovo il segretario dell’Onu Guterres: “Questo rapporto deve fungere da funerale per carbone e combustibili fossili. Da quest’anno non c’è più spazio per nuove centrali a carbone. I paesi dovrebbero anche porre fine a tutte le nuove esplorazioni e produzioni di combustibili fossili e trasferire i sussidi alle energie rinnovabili. Entro il 2030, la capacità solare ed eolica dovrebbe quadruplicare e gli investimenti nelle rinnovabili dovrebbero triplicare per mantenere la traiettoria verso le emissioni nette zero da raggiungere entro la metà del secolo.
It doesn't tell us what to do. It is up to us to be brave and take decisions based on the scientific evidence provided in these reports. We can still avoid the worst consequences, but not if we continue like today, and not without treating the crisis like a crisis. 2/2
Mentre il punto, anzi il chiodo, finale lo mette Stephan Singer, senior advisor del Climate action network, il gruppo costituito da oltre 1.500 ong attive per il clima: “Questo rapporto deve fungere da ultimo chiodo sulla bara dell’industria dei combustibili fossili”.
Possiamo ancora evitare le conseguenze peggiori, ma non se continuiamo a fare le cose che facciamo oggi e senza trattare la crisi come una crisi.
Greta Thunberg, attivista per il clima
Smetto quando voglio
Abbiamo perso troppo tempo per interessi personali, di breve termine. I climatologi ci dicono cosa dobbiamo fare da oltre 30 anni. E ogni rapporto che passa in modo più preciso. Forse neanche dopo questa volta cambierà qualcosa, ma se così fosse, vorrebbe dire che la nostra specie è consapevole di non essere in grado di “smettere” con le fossili. Come succede per altre dipendenze individuali. Eppure come individui, come “esemplari” abbiamo più volte dimostrato che la forza di volontà è in grado di farci fare cose che pensavamo impossibili. Come cambiare il corso della nostra vita. Ciò che non dobbiamo fare è “smettere” di crederci. Quello sì.
Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.