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Continua, discontinua e selvaggia: la seta non è tutta uguale
Con la seta si fanno abiti da sera, ma anche imbottirure e protesi e produrla ha un basso impatto ambientale. Ecco come distinguere quella cruelty free.
- La seta è una fibra naturale di origine animale intrinsecamente sostenibile per via del basso impatto ambientale della sua produzione, ma non tutte le tipologie sono anche cruelty free.
- Per ottenere la seta continua ad esempio, bisogna mantenere integro il bozzolo, cosa che implica necessariamente la morte della larva che lo ha prodotto, il Bombyx mori.
- Per produrre la seta discontinua non è necessario uccidere la larva perché è realizzata con fili più corti, spezzati, filati insieme ad altre fibre premium come lana e cashmere per ottenere altri materiali tessili, oppure utilizzati per le imbottiture.
La seta, al pari di tutte le altre fibre tessili ricavate dagli animali, è un materiale naturale con un’intrinseca base di sostenibilità tessile. La sua produzione infatti non necessita di un processo inquinante e, legandosi a un sistema agricolo che preserva il territorio come la coltivazione del gelso, ha un valore anche dal quel punto di vista. Come ogni fibra ricavata da un organismo vivente però, è opportuno operare le dovute distinzioni per quello che riguarda il benessere e la salvaguardia dell’animale. Per questo bisogna distinguere tra seta continua, discontinua e alcuni tipi di seta selvaggia: non tutte le sete infatti sono cruelty free. Va specificato inoltre che il mercato della seta all’interno dell’intero settore tessile è una nicchia: con una percentuale che oscilla tra lo 0,15 e lo 0,20 per cento non rappresenta infatti che una piccolissima parte delle fibre di origine animale, ovvero il 2 per cento del totale delle fibre prodotte.
Si può dire che la seta sia una fibra sostenibile, ma non è tutta uguale
La produzione serica è sostenibile dal punto di vista del materiale in sé, perché la produzione non va a limitare risorse naturali alle generazioni future. La coltivazione della seta è infatti strettamente legata alla coltivazione dell’albero del gelso: non ci può essere seta senza l’albero di gelso e non è conveniente mantenere l’albero di gelso se non si produce la seta. Il gelso ha bisogno di pochissima acqua e, per essere utilizzato per produrre seta di pregio, non va assolutamente trattato con pesticidi e fertilizzanti, perché queste sostanze determinano un calo di produzione del bozzolo di almeno un 20-30 per cento. La coltivazione del gelso può essere inoltre utilizzata in contesti di agricoltura rigenerativa perché protegge il terreno ed evita attività complementari di coltivazione intensiva. Non solo: da uno studio basato sulla comparazione tra produzioni e coltivazioni di sete indiane e brasiliane, Silk industry and carbon footprint mitigation, è emerso come la coltivazione di campi a gelso per la produzione della seta, oltre a mantenere intatto l’ecosistema e rappresentare un elemento culturale e sociale essenziale, sia in grado di attenuare l’incidenza di CO2 e di gas serra nell’atmosfera. Per ogni chilo di seta prodotta, infatti, vengono immagazzinati 732,96 chili di anidride carbonica.
I fili di seta poi altro non sono che la produzione di bava di una larva di lepidottero, il Bombyx mori, che per nutrirsi ha bisogno esclusivamente delle foglie di gelso. Questa larva è capace di produrre fili di 900 metri di lunghezza che, attorcigliandosi intorno al proprio corpo, creano il bozzolo che rappresenta l’ambiente giusto perché si trasformi in farfalla. I fili di bava solidificati sono il punto di partenza, il materiale grezzo, della seta. La produzione del filato di quella che viene definita seta continua presuppone l’integrità del bozzolo, perché è necessario che il filo sia lungo per preservare le qualità che ne determinano il pregio in questo segmento. Per ricavare la seta continua quindi non c’è altra possibilità che evitare che lepidottero, la larva, si trasformi in farfalla e che, a quel punto, rompa il bozzolo e rompa il filo continuo. La seta ricavata dal filo continuo presuppone quindi che il Bombyx mori venga ucciso. Quando il filo del bozzolo si spezza infatti non è più conveniente economicamente, perché è difficoltoso dal punto di vista tecnico recuperarlo per creare altri fili.
Seta discontinua, un materiale cruelty free
Quando si il filo si spezza, si ha un bozzolo in fibra che è il punto di partenza per realizzare invece la seta discontinua: nel momento in cui il bozzolo non viene utilizzato per la produzione di un filo unico infatti, non è un problema se la larva “sfarfalla”, ovvero si trasforma in crisalide e poi in farfalla. Ci sono infatti produzioni di seta discontinua che derivano da bozzoli che vengono lasciati sfarfallare per raccogliere la successiva produzione delle uova, che servono per la riproduzione e per ottenere altri esemplari; ma ci sono anche delle tipologie di animali che creano dei bozzoli che hanno già dei buchi nella parte alta. Dalla seta discontinua opportunamente lavorata e recuperata si producono diversi tipi di filati, utili a molteplici produzioni a seconda di quali “cascami”, ovvero di quali sottoprodotti derivanti dal bozzolo, vengono utilizzati.
“La seta discontinua non è meno pregiata, ma è la materia prima per la produzione di tipologie di filati diversi, utilizzata in puro oppure per miscelarsi con altre fibre nobili come cashmere, lana, alpaca, vicuna, lino, canapa o con altre fibre naturali come cotone, viscosa o nylon”, spiega Silvio Mandelli, Ceo di Cosetex, società tessile da più di 120 anni specializzata nel settore della seta discontinua. “Come Cosetex siamo fornitori dei maggiori gruppi di filatori e per esempio riforniamo molti lanifici del biellese per la creazione dei loro blend: utilizzano la seta in abbinamento con altre fibre, come la lana o il cashmere, per creare fili differenti dai fili continui, ma non necessariamente meno premium. Sfruttando le eccellenti caratteristiche della fibra discontinua di seta abbiamo ideato e brevettato T.Silk, una serie di imbottiture 100 per cento seta per il bedding e l’abbigliamento. La fibra discontinua ha delle caratteristiche di termoregolazione che sono eccezionali, non fanno sudare e mantengono costante la temperatura corporea”.
Benché sia una produzione industriale, quella della seta ha ben poco scarto perché il sistema serico è abbastanza chiuso e si ricicla molto: ogni elemento della produzione viene riutilizzato. Anche le crisalidi derivanti dalla morte del lepidottero, ad esempio, vengono riciclate come fertilizzanti mentre la larva in sé, in Cina dove è localizzata la maggior parte della produzione, è un alimento molto consumato. Nel caso della seta discontinua, l’aspetto del riuso è massimizzato perché nessun segmento di fibra viene buttato: “Ogni step di produzione ha il suo sottoprodotto, con una lunghezza di fibra diversa, che viene riutilizzata per produrre altri fili e caratterizzarli in modo diverso”, continua Mandelli. “Alcune fibre opportunamente parallelizzate e lavorate possono essere mischiate con pettinati di lana, altre con pettinati di cashmere, altri ancora con fibre corte cotoniere. La fibra più corta ancora può essere utilizzata per filati e tessuti operati che ricercano un aspetto di irregolarità, oppure in parte per imbottiture”.
L’utilizzo della seta discontinua in altri settori
Nella seta si combinano due proteine naturali, la fibroina e la sericina, che vengono prodotte dal baco e sono altamente compatibili con quelle della nostra pelle. La fibroina è una fibrosa e simile alla cheratina dei capelli e delle unghie, mentre la sericina è un collante naturale che viene usato molto in cosmesi. “Queste due proteine vengono estratte dai cascami di seta: la sericina viene destinata soprattutto all’industria della bellezza mentre la fibroina viene impiegata in operazioni di rigeneramento cellulare umano, come la ricostruzione dei legamenti, perché è altamente compatibile e dunque minimizza il rischio di rigetto e ha un eccellente flessibilità. Ci sono inoltre progetti innovativi nel food, nel packaging, nella componentistica aeronautica, nell’isolamento sonoro e acustico per la produzione di cornee o di timpani delle orecchie, protesi in fibroina”.
E la seta selvaggia?
Il Bombyx mori, nel momento in cui esce dal bozzolo, diventa farfalla e non è dotato né di apparato digerente né di un sistema nervoso. Per questo vive dalle 24 alle 48 ore durante le quali si accoppia, produce le uova e poi muore. Questo animale infatti ormai è addomesticato, ha subito degli incroci e degli adattamenti tali per cui non è più in grado di vivere in modo autonomo: oggi, senza l’intervento dell’uomo, non sarebbe in grado né di alimentarsi né di riprodursi. Almeno per quello che riguarda il baco che produce la seta più comune.
Al contrario, la seta selvaggia è prodotta a partire da un larve non allevate che su alcune specifiche tipologie creano un bozzolo già aperto, non utilizzabile per il filo continuo; non è quindi necessaria l’uccisione del lepidottero prima che diventi farfalla. Viene prodotta in Cina, in India, in alcune parti della Thailandia, del Vietnam e in generale in molti paesi del Far East, e comprende alcune tipologie, chiamate peace silk o ahimsa, utilizzate nel passato dal Mahatma Gandhi.
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