Ha 300 anni e può essere visto persino dallo spazio. È stato scoperto nel Triangolo dei Coralli grazie a una spedizione della National Geographic society.
La sete del bosco. Come le foreste reagiscono alla siccità e come aiutarle
Gli alberi stanno morendo. Ecco come la siccità dovuta ai cambiamenti climatici sta trasformando e facendo soffrire foreste e biodiversità.
a cura di Giorgio Vacchiano, Alessandra Bottero, Daniele Castagneri, Ugo Chiavetta, Giorgio Matteucci, Francesco Ripullone e Martina Pollastrini
Pensate a un bosco: un insieme di alberi, animali grandi e piccoli, erbe, funghi, microrganismi nel suolo, tutti in relazione tra loro. Il bosco è un sistema complesso, che stabilisce un delicato equilibrio con l’ambiente in cui vive e in particolare con il clima. Per questo motivo il fenomeno della siccità impatta significativamente sugli ecosistemi forestali. In ogni bosco, nel tempo, la pressione selettiva esercitata dalle caratteristiche tipiche di quell’ambiente ha premiato gli organismi che sono stati in grado di adattarsi meglio ad esse. Di conseguenza, le specie vegetali e animali che oggi abitano il bosco sono quelle che l’evoluzione ha dotato della forma, della velocità di crescita, della capacità di tolleranza e resistenza più idonee a vivere e riprodursi in quel clima, che sono state tramandate di generazione in generazione. Grazie a queste caratteristiche, e alle interconnessioni tra tutti gli esseri viventi, il bosco vive in una condizione di “equilibrio dinamico”: le sue specie sono in grado di rispondere agli eventi imprevisti in modo da limitare il più possibile gli impatti negativi.
Ma le cose stanno cambiando. La comunità dei climatologi e degli ecologi forestali è concorde nell’affermare che il clima globale è in rapido cambiamento rispetto al passato. La causa è l’emissione da parte dell’uomo di gas “ad effetto serra” – anidride carbonica, metano e protossido di azoto. Le manifestazioni principali del cambiamento climatico sono l’aumento delle temperature medie annuali e stagionali, l’alterazione del regime delle precipitazioni (con piogge più intense ma meno frequenti), l’aumento di eventi estremi (trombe d’aria, alluvioni, ondate di calore e incendi boschivi). Tra questi fenomeni, uno dei più preoccupanti nel bacino del Mediterraneo è l’aumento della siccità. Gli organismi che vivono nel bosco, e in particolare gli alberi, stanno già affrontando una grossa sfida.
Esistono tre tipi di siccità
Ma che cos’è la siccità? Gli scienziati distinguono tre tipi di siccità. Quella meteorologica, che corrisponde a una diminuzione della pioggia rispetto alle medie climatiche di lungo periodo, misurata con indici quantitativi come i millimetri di precipitazione accumulata o il numero di giorni senza pioggia.
La siccità idrologica, che, in seguito alla assenza della pioggia nel bilancio idrico, determina una diminuzione del deflusso superficiale, della portata di fiumi e laghi, e della quantità di acqua circolante nel sottosuolo. Normalmente, questi effetti si manifestano con un ritardo di alcuni giorni rispetto alla siccità meteorologica.
Infine, la siccità agricola, che si riferisce agli impatti della siccità meteorologica e di quella idrologica sulle coltivazioni e sulla vegetazione naturale. Per essere definita correttamente, la siccità agricola deve tener conto della vulnerabilità dei diversi tipi di coltura o vegetazione e della loro fase di sviluppo, dalla germinazione del seme alla maturità.
La sete degli alberi
Come per tutti gli esseri viventi, anche per gli alberi l’acqua è fondamentale. Quando non ne hanno a sufficienza, le piante tendono a rallentare la fotosintesi. La riduzione dell’attività fotosintetica è uno degli effetti più evidenti e studiati della siccità, perché determina non solo una riduzione della quantità di legno prodotta, ma anche del sequestro di carbonio nella biomassa forestale.
Secondo un recente studio coordinato dai Los Alamos national laboratories negli Stati Uniti le siccità di grande intensità, che si verificheranno sempre più frequentemente nel corso del ventunesimo secolo, ridurranno la quantità di carbonio che gli alberi possono assorbire per mezzo della fotosintesi di oltre tre volte in più rispetto a quanto avvenuto in occasione delle siccità verificatesi finora. Siccità particolarmente intense o prolungate possono causare direttamente la morte degli alberi che, a causa della sempre più intensa riduzione della fotosintesi, vanno in “fame da mancanza di carbonio” (carbon starvation). Inoltre, la siccità influenza anche il ciclo riproduttivo degli alberi, ossia la fioritura, l’impollinazione, la fruttificazione, la produzione di semi vitali e le probabilità di sopravvivenza delle giovani piantine. Siccità più frequenti ed intense provocheranno, pertanto, cambiamenti nel paesaggio forestale, come osservato da due studi scientifici coordinati dalle Università di Monaco e Wurzburg, in Germania, nelle foreste dell’Europa centrale, dove si sono osservate estese aree di deperimento e morte degli alberi in seguito alla siccità dell’estate 2018.
Come ben sanno tutte le persone che hanno un orto o semplicemente delle piante in vaso, la quantità di acqua che le piante necessitano dipende anche dalla temperatura dell’aria. Più fa caldo, più le piante hanno bisogno di acqua e più facilmente entrano in stress idrico se questa scarseggia. Certamente, le foreste che si trovano in regioni calde e con scarse precipitazioni (regioni semi-aride e aride), come molti boschi mediterranei, anche se meglio adattate di altre a precipitazioni ridotte, possono essere soggette alla siccità. È stato comunque osservato, che l’aumento delle siccità, connesso al riscaldamento globale, sta causando il deperimento e la morte di alberi e arbusti in diverse foreste del mondo, incluse quelle tropicali, che crescono in zone con abbondanti precipitazioni, e quelle boreali, che vivono in regioni con basse temperature.
In alcune regioni del mondo caratterizzate da un clima siccitoso, come ad esempio nell’Italia meridionale e insulare, un peggioramento delle condizioni idriche potrebbe portare alla sostituzione naturale di specie vegetali e di comunità forestali, passando da boschi sempreverdi, come le leccete, a formazioni di macchia mediterranea, con numerose specie arbustive, sino ad arrivare anche a formazioni a gariga. Anche in altre regioni, potremmo osservare un cambiamento delle specie di alberi che popolano il bosco. Uno dei maggiori problemi di questi cambiamenti è la loro velocità che potrebbe non consentire adattamenti come nel passato.
Come le piante reagiscono allo stress idrico
Non tutte le specie arboree subiscono gli effetti della siccità allo stesso modo. Esistono specie piú resistenti (cioè che risentono meno degli effetti immediati della siccità) e specie più resilienti (che sono maggiormente capaci di riprendersi dopo la siccità). Tutte queste specie, infatti, adottano strategie di risposta alla siccità molto diverse tra loro.
Le specie chiamate isoidriche, tra cui i pini mediterranei, ai primi segnali di stress idrico chiudono gli stomi, aperture microscopiche che si trovano sulle foglie ed attraverso le quali avviene la fotosintesi con assorbimento di anidride carbonica e perdita di acqua sottoforma di vapore (la traspirazione). La chiusura degli stomi permette di ridurre il consumo di acqua. Però, se il vapore acqueo non può più uscire, la CO2 non può più entrare, quindi la fotosintesi rallenta e, all’estremo, si interrompe.
Diversamente, le specie anisoidriche, come i pioppi e alcune querce caducifoglie, mantengono gli stomi aperti fino a quando l’intensità della siccità raggiunge valori elevati. Questo comporta un grande dispendio di acqua, ma permette alla pianta di fotosintetizzare anche in condizioni mediamente siccitose. Benché questa seconda strategia comporti un consumo di acqua più elevato, troviamo specie anisoidriche anche in ambienti siccitosi.
Le specie che vivono in ambienti caratterizzati da siccità possono avere adattamenti particolari, nella forma, nelle dimensioni e nella consistenza dei loro organi, che permettono di ridurre il consumo di acqua o un suo uso più efficiente. Ad esempio, molte specie mediterranee ricoprono le proprie foglie con peli (i tricomi) e con una cera che riduce la traspirazione e quindi la perdita d’acqua. Anche lo sviluppo dell’apparato radicale gioca un ruolo importante nella risposta delle piante alla mancanza di acqua nel suolo. Un recente studio condotto da ricercatori italiani e spagnoli ha confermato che le specie con radici più profonde riescono ad accedere alle risorse idriche in profondità, che si esauriscono più difficilmente, riuscendo a fronteggiare meglio i periodi di siccità. Oltre che tra specie, è stato dimostrato che anche le differenze di profondità tra gli apparati radicali dei singoli individui (misurate usando l’isotopo deuterio dell’acqua per tracciare da quale profondità l’acqua venisse assorbita da ciascuna pianta) gioca un ruolo determinante nella sopravvivenza delle piante in caso di siccità intensa.
La combinazione di specie diverse all’interno di un bosco può quindi influenzare la resistenza complessiva della comunità vegetale. Ad esempio, specie con apparati radicali distribuiti lungo il profilo verticale del suolo possono sfruttare meglio l’acqua e i nutrienti del suolo rispetto a un bosco costituito da piante che attingono risorse alla stessa profondità, entrando quindi in competizione l’una con l’altra.
Più in generale, le piante resistono alla siccità attraverso tre strategie:
- evitare l’avversità (stress escape). Le piante che seguono questa strategia compiono il proprio ciclo di sviluppo evitando la siccità. Ad esempio, piante con ciclo biologico molto breve che viene completato prima dell’arrivo della siccità estiva, come diverse specie della macchia mediterranea e molte specie erbacee;
- evitare lo stress (stress avoidance). Rientrano in questa categoria le piante che possiedono degli adattamenti morfologici e/o funzionali che permettono di minimizzare lo stress causato dalla siccità. Ad esempio, piante come l’aloe o altre piante “succulente”, capaci di accumulare e conservare l’acqua nelle foglie; o l’oleandro, che ha una spessa cuticola fogliare che limita la traspirazione; o alcune conifere con foglie sottili e aghiformi;
- tollerare lo stress (stress tolerance). Le piante in grado di tollerare la siccità sono caratterizzate da meccanismi fisiologici che consentono loro di ridurre gli effetti dello stress idrico. Ad esempio, alcune piante che vivono nei deserti in grado di seccarsi e reidratarsi nel giro di poche ore.
All’interno dello stesso bosco, in caso di siccità, le specie meno resistenti andranno prima incontro a sofferenza e, eventualmente, alla morte. Ad esempio, sulle Alpi, il pino silvestre, il larice o l’abete bianco soffrono meno rispetto all’abete rosso, che ha radici più superficiali e poco capaci di cercare l’acqua in profondità. Se pensiamo all’ambiente mediterraneo, il pino d’Aleppo è una delle specie più adattate alla siccità, e che quindi potrà resistere meglio al cambiamento climatico essendo, tra l’altro, anche una specie adattata e favorita dal passaggio del fuoco.
Le nuove regole del gioco climatico
I modelli predittivi sul clima ci dicono che alla fine del ventunesimo secolo, se il riscaldamento globale continuerà ai ritmi attuali, l’Europa meridionale, Italia inclusa, avrà un clima caldo e siccitoso in cui solo le specie tipicamente mediterranee, come le querce sempreverdi e i pini mediterranei, riusciranno a sopravvivere. Le altre specie forestali troveranno le condizioni climatiche necessarie al loro sviluppo solo a quote elevate sull’Appennino centro-settentrionale e sulle Alpi.
Negli ultimi decenni è stato osservato un aumento progressivo della vulnerabilità ai cambiamenti climatici degli ecosistemi forestali, con numerosi casi di deperimento e mortalità degli alberi in ogni parte del globo, causati soprattutto dall’aumento della frequenza ed intensità della siccità. In Italia, sono stati segnalati numerosi casi di deperimento e moria di querce, come la farnia nel parco Regionale del Ticino, e di conifere, tra cui il pino silvestre e l’abete bianco e del castagno alle quote più basse. I sintomi più comuni di deperimento dei boschi sono la defogliazione e il disseccamento della chioma, la riduzione delle dimensioni e la ritardata emissione delle foglie, la fessurazione della corteccia e in molti casi la morte della pianta. Il deperimento da siccità è quindi ampiamente presente in Italia, ma allo stato attuale manca una conoscenza approfondita sulle cause e i meccanismi, e soprattutto non è stata determinata l’entità e la distribuzione completa del fenomeno. Di recente, è stata messa in atto un’iniziativa da parte di alcuni ricercatori dell’Università della Basilicata e del gruppo di lavoro Sisef “Foreste, tra Mitigazione ed Adattamento” per realizzare un censimento di tutti i siti forestali di deperimento in Italia e creare una banca dati a livello nazionale.
Tali fenomeni, soprattutto in ambiente Mediterraneo, possono alterare rapidamente la composizione, la struttura e il funzionamento degli ecosistemi forestali, con gravi conseguenze su biodiversità, paesaggio, sequestro del carbonio e altri servizi ecosistemici. Conoscere dove e quando si verificano fenomeni di siccità aiuta a capire quali sono le cause di danno alle foreste e a identificarne la vulnerabilità, al fine di predisporre interventi di gestione volti alla salvaguardia dei boschi più suscettibili.
Il monitoraggio dello stress idrico nelle foreste
Per tutte le ragioni descritte finora, il mondo scientifico è impegnato in attività di monitoraggio degli effetti della siccità sulle foreste al fine di poter elaborare metodi di gestione dei boschi efficaci per renderli meno vulnerabili alla carenza di acqua.
Negli ultimi anni, gli scienziati hanno scoperto che lo stato di salute della vegetazione può essere monitorato da satellite, con tecniche basate su indici vegetazionali, tra i quali l’Ndvi (Normalized difference vegetation index). Questo indice è il risultato di una formula matematica piuttosto semplice, ovvero il rapporto tra la differenza e la somma tra l’energia riflessa dalla vegetazione nelle frequenze del vicino infrarosso e del rosso. Se la pianta è in buona salute, il rosso viene maggiormente assorbito dalla clorofilla, piuttosto che riflesso, così che il rapporto tra (infrarosso – rosso) e (infrarosso + rosso) nella luce riflessa ha un valore vicino a uno. Se la pianta invece è in condizioni di stress, il denominatore di questo rapporto tende ad avere un valore più alto del numeratore, e il valore dell’Ndvi diminuisce verso lo zero.
Usare l’Ndvi come indice di stato della vegetazione permette di tenere sotto controllo con i satelliti estese superfici forestali, con strumenti ormai di facile accesso e utilizzo, e confrontare l’andamento del loro stato di salute nel tempo, grazie ai numerosi passaggi dei satelliti che vengono di volta in volta utilizzati. Nonostante questo indice sia quello più utilizzato e affidabile, presenta tuttavia alcune criticità; ad esempio non riesce a distinguere la componente secca delle chiome da quella del suolo. Inoltre, non tiene conto della temperatura dell’aria e del suolo, che come abbiamo visto sono variabili determinanti per il fabbisogno idrico delle piante. Sono in corso ricerche per sviluppare nuovi indici che considerano anche l’emissività delle superfici nell’infrarosso termico e sono combinati con la temperatura superficiale per ottenere informazioni a eventuali stress termici, che permetterebbero di migliorare le performance del segnale da satellite. Contemporaneamente, è in corso di studio anche l’uso di sensori radar.
Questi sensori attivi, cioè che emettono un segnale e ne ricevono la sua riflessione sulla terra, se opportunamente tarati sono sensibili all’acqua presente negli strati superficiali del suolo, sensibilità che hanno anche le microonde. Questa caratteristica potrebbe darci informazioni utili sulla siccità idrologica durante i diversi stadi di sviluppo e crescita degli alberi o la loro fase fenologica. Proprio in questa direzione un recentissimo studio ha dimostrato come alcune fasi fenologiche del faggio possono essere desunte attraverso il satellite europeo Sentinel-1.
I dati telerilevati necessitano di essere supportati, confermati e correlati con parametri fisiologici rilevati “sul campo”, che descrivono lo stato di vitalità delle piante. Sono state sviluppate tecniche innovative e strumenti altamente tecnologici per misurare la quantità di clorofilla e degli altri pigmenti fotosintetici, l’intensità degli scambi gassosi, la conduttanza stomatica e la traspirazione.
Anche il tasso di crescita degli anelli legnosi è considerato un utile indicatore dello stress idrico e del deperimento delle piante. In particolare, il declino nella crescita delle piante a seguito di eventi climatici estremi è considerato un segnale di preallarme della mortalità. E il monitoraggio non si ferma al numero e alle dimensioni degli anelli, ma si può spingere ad analizzare gli elementi microscopici che ne costituiscono l’anatomia del legno, come il numero e la dimensione dei vasi conduttori di linfa, o la concentrazione di alcuni isotopi stabili del carbonio ed ossigeno, che forniscono informazioni sull’efficienza degli scambi gassosi delle piante, sulle interazioni pianta-ambiente e sull’efficienza d’uso dell’acqua, integrate su differenti scale temporali.
Infine, un metodo decisamente innovativo per monitorare lo stress idrico, sviluppato da un gruppo di ricercatori italiani coordinati dall’Università della Tuscia, prevede l’utilizzo di sensori “Tree talker” installati direttamente sugli alberi. Tali sensori sono in grado di trasmettere in tempo reale via web dati relativi all’accrescimento diametrico, al flusso di acqua nei vasi linfatici, allo stato di salute delle foglie, misurati ad altissima frequenza (una misura al minuto), in modo da monitorare i cambiamenti registrati in ciascun albero e fornire informazioni sul suo stato di stress.
Alleviare la sete del bosco dovuta alla siccità
Ma torniamo al nostro bosco. Nella vita quotidiana, ogni albero deve competere con i suoi vicini per le risorse, che sono, essenzialmente, acqua, sali minerali e luce. In un contesto di crescente scarsità di acqua, quali problemi affrontano gli alberi? Qualcuno si trova in condizioni più favorevoli, qualcun altro in condizioni più sfavorevoli? Come possiamo alleviare la loro sete? Tramite una gestione forestale mirata, è possibile intervenire per cercare di ridurre gli effetti della siccità in bosco.
Il diradamento, ovvero la riduzione del numero di piante in un bosco, è un intervento che viene spesso suggerito per aumentare la resistenza del bosco alla siccità. L’efficacia di tale intervento è stata studiata e verificata in diversi ambienti, per lo più in boschi di conifere, ma anche in alcuni boschi cedui. Il diradamento mira a ridurre la competizione per le risorse, riducendo il numero degli alberi “seduti a tavola”. Pertanto, quando le risorse diminuiscono (come ad esempio durante una siccità), i boschi più radi possono trovarsi avvantaggiati.
L’efficacia del diradamento e la sua possibilità di realizzazione, però, vanno valutate di caso in caso, anche tenendo conto di altri fattori quali la fase di sviluppo in cui si trova il bosco, le specie presenti, le caratteristiche stazionali e la funzione del bosco. Ad esempio, come abbiamo visto in precedenza, favorendo la presenza di specie meno suscettibili alla siccità, l’uomo può promuovere la resistenza alla siccità di interi boschi.
Anche il monitoraggio continuo delle condizioni climatiche di un bosco e la previsione a breve termine della probabilità che un evento siccitoso possa verificarsi sono strumenti di supporto alla pianificazione degli interventi di gestione forestale sostenibile. In tali casi, infatti, si possono spostare nello spazio e nel tempo gli interventi forestali previsti in un comprensorio forestale in modo da sincronizzarli con l’assenza o con il verificarsi delle siccità, a seconda delle caratteristiche delle singole specie. In Italia, un progetto coordinato dal Centro di ricerca foreste e legno del Crea sta testando se questo approccio può essere trasferibile nella gestione ordinaria dei boschi.
Altre strategie possono riguardare, invece, la migrazione di pool genici facilitata dall’uomo. In questi casi, provenienze più meridionali della stessa specie, plausibilmente già adattate a condizioni di siccità marcata, possono essere introdotte in aree più settentrionali in modo da determinare una resilienza maggiore a fenomeni di questo tipo. Oppure si possono introdurre specie di altre aree, in cui le condizioni climatiche siano simili a quelle che ci si aspetta nel futuro in una determinata zona suscettibile al cambiamento climatico. Inoltre, questo approccio può avere delle ricadute significative anche sugli aspetti economici di alcune specie utilizzate per il loro legno. In Svezia, attraverso uno studio comparato su popolamenti di origine naturale e artificiale di abete rosso, è stato osservato che in alcuni casi alberi di provenienza non locale hanno degli accrescimenti maggiori rispetto ad alberi di origine locale che sono meno adatti alle nuove condizioni climatiche. La migrazione assistita può essere impiegata anche per misure attive di conservazione di specie rare e vulnerabili con areali frammentati come suggerisce uno studio recente condotto in Scozia sulla betulla nana.
Pur non potendo trattare in modo completo la complessità dell’argomento, abbiamo visto in modo esemplificativo come un bosco subisca e affronti i periodi di siccità e i meccanismi che gli alberi mettono in atto per potervi sopravvivere. Certamente, i cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova la varietà dei meccanismi di cui la natura dispone per adattarsi alla carenza idrica e per soddisfare la sete degli alberi. Infatti, la velocità con cui stanno mutando le condizioni climatiche in cui i nostri boschi si sono evoluti li sta esponendo ad un futuro incerto, almeno per quelli meno adattati a condizioni di siccità. Tuttavia, dalla scienza arrivano numerose informazioni su come le piante reagiscono alla siccità, su come possiamo monitorarne gli effetti e su quali tecniche possiamo applicare per mitigarne gli impatti. Per questo motivo, è di primaria importanza proseguire con lo studio scientifico sull’argomento ed è altrettanto importante che questi studi siano di supporto a potenziali misure di adattamento della gestione forestale sostenibile, affinché i servizi ecosistemici di cui beneficiamo adesso possano continuare ad essere forniti dai nostri boschi nel futuro allo stesso modo, se non meglio, che oggi, anche durante periodi di siccità.
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