L’anno che sta per concludersi fa ben sperare per il futuro dell’energia solare. I dati globali sul fotovoltaico crescono, gli esempi positivi si moltiplicano. Sebbene resti molto lavoro da fare, seguire il sole ci manterrà sulla strada giusta.
7 stati che hanno dato una scossa positiva al nostro Pianeta nel 2018
Il 2018 ha visto Paesi e organizzazioni intervenire per spingere la decarbonizzazione, la messa la bando della plastica monouso e lo sviluppo delle rinnovabili nel Pianeta, ma non mancano esempi negativi come le nuove posizioni del Brasile.
Tra le tante cose successe nel 2018, ci sono state molte iniziative in diversi Paesi che hanno cercato di affrontare alcuni dei maggiori problemi ambientali che affliggono il nostro Pianeta come l’inquinamento da plastica, la mitigazione dei disastri legati ai cambiamenti climatici e l’avvio di una transizione energetica. Accanto a politiche lungimiranti, purtroppo il 2018 è stato caratterizzato anche da alcuni governi come Stati Uniti e Brasile che hanno pensato al profitto immediato piuttosto che mettere in atto azioni per la salvaguardia del Pianeta. Alcune tra le misure più significative ve le raccontiamo di seguito.
Malesia
In settembre la Malesia ha annunciato il suo obiettivo di eliminare la plastica monouso entro il 2030, diventando il primo paese nel sud-est asiatico ad aver adottato azioni specifiche in questo campo, oltre ad aver ha deciso di limitare le importazioni di plastica dall’estero che hanno portato alla nascita di impianti di riciclaggio illegali in tutta la regione. La scelta arriva dopo che anche la Cina a gennaio aveva adottato tale provvedimento. Parallelamente il governo di Kuala Lumpur ha deciso di sviluppare un’industria per la produzione di materiali ecologici che possano sostituire la plastica.
Anche in ambito energetico la Malesia ha avviato un cambio di marcia orientandosi verso la transizione energetica e lo sviluppo di impianti a fonti rinnovabili. Yeo Bee Yin – ministro per l’energia, tecnologie verdi, scienza, cambiamento climatico e ambiente – ha avviato una politica di riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, annullando solo quest’anno quattro contratti energetici che altrimenti sarebbero stati assegnati alle compagnie del carbone. Yeo Bee Yin è il più giovane ministro femmina del governo ed è pronta a intraprendere un’azione legale contro la società minerario australiana Lynas per l’accumulo di scorie radioattive nelle loro attività in Malesia.
Cina
La Cina quest’anno si è distinta per il suo crescente scontro con gli Stati Uniti nella lotta ai cambiamenti climatici, per il suo sviluppo delle fonti rinnovabili e il divieto di importazione di rifiuti dall’estero, provvedimento quest’ultimo che ha messo in crisi le nazioni occidentali. La sua opposizione a essere la “discarica di rifiuti del mondo” ha stimolato la prese di coscienza anche da parte di altri Paesi asiatici che hanno così dato avvio a una serie di divieti di import dei rifiuti destinati allo smaltimento. Nonostante Pechino stia investendo molto nelle fonti rinnovabili, nel 2017 le emissioni di carbonio sono aumentate, secondo un rapporto pubblicato all’inizio di quest’anno dal Center on global energy policy della Columbia University. A preoccupare non sono solo le emissioni, ma anche gli impatti ambientali del faraonico progetto “Belt and Road” da mille miliardi che la Cina sta realizzando per lo sviluppo di infrastrutture e di impianti energetici.
Vanuatu
Lo stato del Pacifico di Vanuatu ha recentemente dichiarato di avere intenzione di citare le compagnie di combustibili fossili e i governi che le sostengono per il loro ruolo nel guidare i cambiamenti climatici. L’annuncio è stato fatto due anni dopo che Vanuatu e altri cinque stati insulari hanno rilasciato la Dichiarazione per la giustizia climatica (Declaration for Climate Justice), dopo che il peggior ciclone che ha colpito la regione del Pacifico ha devastato la piccola nazione. Il direttore esecutivo di Greenpeace International ha fatto riferimento alla mossa di Vanuatu come simbolo di leadership politica e morale “in un mondo pieno di miopia politica e vigliaccheria”. Se Vanuatu intenta la causa, sarebbe la prima causa per la responsabilità dei cambiamenti climatici presentata da un governo nazionale.
Stati Uniti
Negli Stati Uniti, nonostante il Presidente Trump abbia più volte affermato di non credere ai cambiamenti climatici e di non voler prendere parte alla lotta per contrastarli chiamandosi fuori dall’Accordo di Parigi, molti cittadini e associazioni americane si sono scagliate contro il governo e le compagnie legate ai combustibili fossili, tant’è che il Paese registra il più alto numero di cause intentate. New York, San Francisco, Oakland e Baltimora sono alcune delle città che hanno citato in giudizio imprese importanti come Exxon Mobil e Shell mentre è arrivata la “Children’s Climate Lawsuit” con cui ventuno giovani tra gli 11 e i 22 anni hanno portato in tribunale il governo degli Stati Uniti per costringerlo a ridurre le emissioni di gas serra. A dispetto delle politiche favorevoli al carbone dell’amministrazione, il 2018 ha segnato anche il più alto numero di chiusure di centrali a carbone nel Paese.
Kenya
Il Kenya, Paese particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici, ha predisposto un piano ambizioso con l’intenzione di arrivare al 100 per cento di energia pulita entro il 2020. Il Paese sta diventando leader in tema di clima sia nella regione est africana sia a livello mondiale: cinque delle sue contee hanno recentemente promulgato leggi per investire una parte dei loro budget annuali per lo sviluppo di misure inerenti l’adattamento ai cambiamenti climatici e la costruzione di una resilienza energetica. Un lavoro che oggi ha portato il Kenya ad avere il 70 per cento della capacità elettrica installata proveniente da fonti rinnovabili.
Taiwan
A novembre Taiwan, attraverso un referendum popolare, ha respinto la politica del governo di eliminare gradualmente l’energia nucleare entro il 2025. Quasi 6 milioni di persone hanno votato per riportare il nucleare nel mix energetico del Paese sette anni dopo il disastro nucleare di Fukushima. Gli elettori hanno inoltre approvato il blocco della costruzione di centrali a carbone e un piano energetico che sottrae il Paese al carbone. Gli esperti hanno attribuito questo cambio di posizione del Paese alle preoccupazioni degli elettori per l’aumento delle emissioni inquinanti.
Brasile
Un mese dopo che il Brasile ha eletto il nazionalista Jair Bolsonaro, il più grande paese dell’America Latina si è ritirato dalla sua offerta per ospitare la conferenza sul clima delle Nazioni Unite COP25 nel 2019 citando “vincoli di bilancio”. La decisione conferma le forti preoccupazioni dagli ambientalisti e degli osservatori internazionali in merito alle politiche ambientali del neo presidente che mirano a ribaltare le leggi ambientali brasiliane di tutela della Foresta amazzonica e a bloccare le azioni di lotta ai cambiamenti climatici. Considerando che l’Amazzonia è il più grande serbatoio di carbonio del mondo, il polmone del Pianeta, il piano del nuovo governo per distruggere più foreste per far posto a terreni agricoli per la coltivazione di soia è una brutta notizia per tutti noi.
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