L’anno che sta per concludersi fa ben sperare per il futuro dell’energia solare. I dati globali sul fotovoltaico crescono, gli esempi positivi si moltiplicano. Sebbene resti molto lavoro da fare, seguire il sole ci manterrà sulla strada giusta.
Shale gas e fracking: il metano estratto dalle rocce
Qualcosa sta cambiando nel mercato mondiale dell’energia, il nuovo protagonista è lo shale gas, ovvero gas estratto dalle rocce porose tramite perforazione.
Ci sono movimenti, anzi, smottamenti, in corso nel mercato mondiale dell’energia, e uno degli elementi di rottura dei vecchi equilibri è lo shale gas. Rottura è il termine giusto, perché è il gas estratto dalle rocce porose tramite perforazione o fratturazione idraulica (fracking).
Leggi anche: Cos’è il fracking (fratturazione idraulica)
Lo shale gas, gas naturale – in prevalenza metano – è contenuto in rocce scistose, argille, rocce porose. Gli ingegneri statunitensi sono stati i primi a rendersi conto delle potenzialità di questa risorsa. Nel 2000 lo shale gas valeva il 2 per cento della produzione di gas naturale degli Stati Uniti. Alla fine del 2012 la percentuale è il 40 per cento. Con le tecnologie di horizontal drilling (estrazione orizzontale) e di multi stage hydraulic fracturing (fracking, fratturazione idraulica multi-stadio delle rocce), si estrae a costi bassi il gas naturale. Le due tecniche possono essere utilizzate sia in pozzi nuovi, sia (a costi ulteriormente più bassi) in vecchi pozzi. In pochi anni lo sviluppo di queste risorse non convenzionali promette di dare agli Stati Uniti l’indipendenza energetica, con ripercussioni su tutti i mercati energetici mondiali per l’abbassamento del costo dell’energia e lo spostamento degli assali di import-export.
È di pochi giorni fa la notizia dell’autorizzazione da parte di Obama all’export di gas da fracking all’estero, in particolare verso l’Asia. Viene considerato un gas non convenzionale perché intrappolato in rocce poco permeabili, che per l’estrazione devono essere “fratturate”.
La fratturazione idraulica prevede l’iniezione in giacimento di un fluido ad alta pressione. L’operazione crea nuove microfratture nella roccia e mette in connessione quelle preesistenti, creando una via di fuga per il gas verso il pozzo. La tecnica è però sotto accusa in molti Stati per rischi di danni ambientali e inquinamento delle falde acquifere. Lo shale gas insieme al tight gas (sabbie compatte) e al coalbed methane (carbone) rappresenta circa il 60% delle riserve terrestri tecnicamente recuperabili con questi nuovi metodi negli Stati Uniti, secondo le stime del Dipartimento Usa dell’Energia. Le riserve di shale gas potrebbero essere in grado di soddisfare la domanda americana per i prossimi 30 anni.
Sono quattro i più grossi giacimenti di shale gas negli Stati Uniti: il Barnett in Texas, dove si produce il 50 per cento dell’output totale, l’Haynesville in Luosiana e Texas, il Fayetteville in Arkansas e il Macellus in Pennsylvania e in alcuni stati limitrofi.
In Europa lo shale gas non ha ancora conosciuto lo sviluppo registrato negli Usa per diversi fattori, tra cui l’alta densità abitativa e forse un’attenzione maggiore al principio di precauzione. Polonia e Ucraina sono i paesi che pare ci stiano puntando di più, ma ultimamente anche la Gran Bretagna e la Francia stanno mettendo a punto dei piani di sfruttamento. In Germania è in corso un dibattito molto intenso. Lo sfruttamento dello shale gas non è esente da punti critici.
Le preoccupazioni connesse con le operazioni di fratturazione idraulica sono quattro: inquinamento delle falde acquifere, impatto ambientale-paesaggistico, rischio di provocare eventi sismici, effetto serra.
Per quel che riguarda l’acqua, secondo i fautori i giacimenti di roccia in genere si trovano al di sotto delle falde acquifere utilizzate dall’uomo che dunque non dovrebbero esserne lambite, e poi il rischio di perdite nelle porzioni più superficiali dei pozzi può essere ridotto con il rivestimento di cemento dei pozzi.
Per l’impatto ambientale-paesaggistico, le zone dove si pratica il fracking vengono sconvolte e deturpate: in America le aree interessate pare soffrano anche di desertificazione.
L’incremento in molte zone degli Stati Uniti di terremoti di bassa intensità (magnitudo non superiore a 3) potrebbe essere dovuto secondo molti geologi proprio ai 35.000 pozzi di fracking attivi e il Senato americano ha già avviato un’inchiesta sulla potenziale sismicità indotta da tecnologie energetiche.
Infine, l’acceso dibattito sul contributo dello shale gas all’effetto serra si è sviluppato dato che durante le fasi iniziali della produzione una parte del gas estratto si libera in atmosfera e il metano ha un potenziale climalterante altissimo, sei volte maggiore della CO2. Attualmente si stanno sviluppando tecnologie specifiche per limitare queste perdite, che comunque riguarderanno sempre almeno l’1% della produzione totale di un pozzo.
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