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Sharing economy o economia collaborativa: cos’è e alcuni esempi
Le tecnologie ormai ci consentono di condividere auto, case, servizi professionali. Piattaforme come Blablacar ed Airbnb servono innanzitutto per dividere le spese, ma se ne può approfittare anche per viaggiare in modo più flessibile e magari per socializzare. Non stiamo parlando soltanto di una moda, ma di un vero e proprio settore economico che si
Le tecnologie ormai ci consentono di condividere auto, case, servizi professionali. Piattaforme come Blablacar ed Airbnb servono innanzitutto per dividere le spese, ma se ne può approfittare anche per viaggiare in modo più flessibile e magari per socializzare. Non stiamo parlando soltanto di una moda, ma di un vero e proprio settore economico che si chiama sharing economy, o economia collaborativa.
Cos’è la sharing economy: una possibile definizione
Come spesso accade quando un settore è in rapidissima evoluzione, non esiste ancora una definizione univoca di sharing economy (la traduzione in italiano è “economia collaborativa” o “economia della condivisione”). Il libro che teorizza questo approccio si intitola “Ciò che è mio è tuo. L’avanzata del consumo collaborativo” ed è stato pubblicato dagli imprenditori Rachel Botsman e Roo Rogers nel 2010. Nelle sue pagine, si legge che la sharing economy promuove forme di consumo consapevole, che si basano non più sulla proprietà e sull’acquisto dei beni, quanto sull’accesso e sull’uso.
Certamente la crisi economica ha giocato un ruolo importante nella nascita e nella diffusione di questo modello, che ottimizza le risorse, taglia le spese e abbassa le barriere economiche d’accesso a certi beni e servizi. Pensiamo ad esempio alle vacanze in barca, che tradizionalmente sono un lusso ma, se condivise, diventano alla portata di tutti o quasi. Da un lato, dunque, c’è la necessità di risparmiare e usare al meglio le risorse. Dall’altro le nuove tecnologie, senza le quali nulla di tutto questo sarebbe possibile. Ma c’è anche un altro fattore: le persone non vogliono più sentirsi soltanto consumatori passivi, ma cercano sempre più di ritagliarsi un margine di scelta e partecipazione.
Le cinque forme di sharing economy, con alcuni esempi
Questo comparto, secondo un report realizzato da PricewaterhouseCoopers per la Commissione Europea, sta facendo passi da gigante. Complessivamente, solo nel 2015, in Europa le piattaforme hanno raggiunto entrate pari a 4 miliardi di euro. Ma non solo: hanno anche facilitato transazioni per un valore complessivo di 28 miliardi di euro. La ricerca si è focalizzata su cinque settori-chiave.
Trasporti
Sono i trasporti a fare la parte del leone. Le entrate di piattaforme come Blablacar o Uber, che consentono di condividere viaggi e auto, hanno raggiunto 1,6 miliardi di euro nel 2015. E hanno facilitato transazioni economiche che valgono più di 5 miliardi.
Il fermento è tale da aver dato vita anche a servizi più di nicchia, come Clubsharing, il car pooling dedicato agli appassionati di musica. Con questa piattaforma, giovani e meno giovani possono accordarsi per andare insieme a un concerto. Ciò significa non solo trovare un passaggio (e, dall’altro lato, ridurre le spese della trasferta), ma anche incontrare qualcuno con cui vivere l’esperienza.
In Svezia esiste addirittura una piattaforma che mette in contatto gli automobilisti, alla ricerca di un punto di ricarica per il proprio veicolo elettrico, e i privati disponibili a condividere la postazione domestica. Si chiama Elbnb ed è promossa da Renault. I viaggiatori accedono alla app con il proprio smartphone e consultano la mappa degli aderenti, con l’ubicazione, la capacità, gli orari e i costi delle postazioni più vicine.
Alloggi
La sharing economy va a gonfie vele soprattutto nel campo del turismo. Non a caso, le piattaforme per mettere a disposizione dei turisti una stanza inutilizzata della propria casa (come Airbnb e Couchsurfing) hanno incassato ben 1,1 miliardi di euro nel 2015 e, cosa ancora più interessante, hanno agevolato transazioni economiche per un valore di oltre 15 miliardi. Vale a dire più della metà del totale su scala comunitaria.
Oltre ai più canonici servizi di condivisione e scambio di case e stanze, sono state proposti anche esperimenti più particolari. Come Mini living forests, una sorta di giardino condiviso. Si tratta di un’installazione presentata a settembre nel cuore di Shoreditch, uno dei quartieri più creativi di Londra. Spazi verdi contenuti all’interno di tre installazioni a forma di parallelepipedo, dove chiunque si può sedere o fare una passeggiata. E, soprattutto, dove chiunque può condividere il verde, portando una pianta in vaso e prendendone un’altra in cambio.
Servizi domestici
Soprattutto a chi vive da solo capita spesso di trovarsi in difficoltà a portare a termine qualche piccola faccenda domestica, che, per quanto banale, richiede un minimo di competenze. Piccole riparazioni, mobili da montare o spostare, rubinetti che perdono. O ancora, si può aver bisogno di una babysitter, di un ripasso di inglese in vista di un periodo all’estero, di una bicicletta usata. Insomma, tante piccole questioni per cui spesso non vale la pena di rivolgersi a un’azienda vera e propria: quello che servirebbe in molti casi è il genuino aiuto di un parente o di un vicino di casa. Laddove non arrivano le conoscenze personali, ci pensano le app, come Vicinidicasa, Mariti in Affitto o servizi simili.
Nel complesso, le transazioni di queste piattaforme di sharing economy hanno raggiunto la quota di 1,9 miliardi di euro nel 2015.
Finanza
Quando si parla di economia collaborativa in campo economico e finanziario, ci si riferisce prevalentemente a due mondi. Il primo è quello delle piattaforme di crowdfunding, con cui si può finanziare “dal basso”, a suon di donazioni individuali, pressoché qualsiasi cosa. Devono ringraziare il crowdfunding innovazioni tecnologiche come la prima auto solare di serie, che sarà prodotta in Germania, o il più avanzato antifurto hi-tech per biciclette. O ancora, innumerevoli dischi, film, documentari, spettacoli.
Il secondo mondo è quello dei prestiti peer-to-peer. Ne è un esempio la londinese Funding Circle, una delle sedici startup miliardarie in Europa. Si tratta di un marketplace con cui singoli investitori possono effettuare prestiti alle piccole imprese, bypassando le banche, con un servizio più rapido e condizioni più favorevoli. Dalla sua fondazione nel 2010, Funding Circle ha già erogato circa 1 miliardo di prestiti a 8.000 attività in Inghilterra e in Usa.
Nel settore della finanza, le piattaforme di sharing economy in Europa hanno introiti piuttosto bassi (250 milioni di euro) ma le transazioni valgono molto di più, arrivando a 5,2 miliardi.
Servizi professionali
Qualsiasi pizzeria da asporto ha bisogno di un menu, impaginato in modo professionale. Chiunque apra un sito web per promuovere la sua attività prima o poi lo dovrà tradurre almeno in inglese, se non in altre lingue. Una startup ha senz’altro bisogno di qualcuno che gestisca la contabilità e tenga traccia di fatture e pagamenti. Due fidanzati in procinto di sposarsi devono stampare le partecipazioni, magari con una bella illustrazione. Tutti questi casi hanno qualcosa in comune: servono competenze professionali, che vanno retribuite il giusto, ma al tempo stesso non ci si può permettere di assumere qualcuno in pianta stabile. Per uscire dall’impasse, su siti come Twago o Upwork si possono trovare freelance a cui affidare servizi di grafica, contabilità, sviluppo web e così via. In Europa queste piattaforme stanno muovendo ancora i primi passi e nel 2015 hanno incassato “solo” 100 milioni di euro, ma si può prevedere che siano destinate a crescere in fretta.
L’economia collaborativa cambia volto all’Europa
Ma la cosa ancora più importante, secondo PwC, è che i modelli di condivisione stanno iniziando a cambiare le abitudini delle persone, incoraggiandole ad esempio a viaggiare di più. Nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 39 anni, un europeo su tre ha usato almeno una volta un servizio di sharing economy. “Il consumo collaborativo e l’economia collaborativa stanno cambiando il modo in cui viviamo, lavoriamo e consumiamo, per creare un futuro più sostenibile”, ha dichiarato April Rinne, uno dei massimi esperti internazionali di economia collaborativa.
E siamo solo all’inizio. Secondo lo studio, entro il 2025 le piattaforme di questi cinque settori incasseranno oltre 80 miliardi di euro e le transazioni varranno ben 570 miliardi. Ma le istituzioni europee dovranno fare la loro parte, lavorando per costruire una regolamentazione solida e adeguata.
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