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Shell vuole smantellare le piattaforme petrolifere nel mare del Nord
La Shell alza bandiera bianca e inizia – nel 2017 – le operazioni di smantellamento delle piattaforme petrolifere nel mare del Nord. Una buona notizia che nasconde eredità pesanti per l’ambiente.
Shell è pronta a smantellare la sua base di estrazione petrolifera nel mare del Nord, a 115 miglia a nordest delle isole Shetland e composta da quattro gigantesche piattaforme petrolifere. Primo step nel 2017: lo smontaggio della piattaforma Brent Delta che verrà ricordato come uno dei primi progetti di smantellamento su larga scala di una piattaforma petrolifera nel mare del Nord, per poi passare alle altre tre piattaforme: Alpha, Bravo e Charlie.
Dopo una progettazione delle attività di smontaggio e trasporto di tutto il materiale che è durata 10 anni, l’inizio del complesso lavoro di smantellamento, stimato per il 2016, è stato rinviato al 2017, come scrive Reuters. Le operazioni di allestimento della nave specializzata che trasporterà le 25mila tonnellate della piattaforma al porto di Hartlepool, dove sarà smontata, hanno richiesto più tempo del previsto. Una volta arrivata a destinazione, la struttura sarà rottamata e riciclata. Un lavoro faraonico se si considera che la Brent Delta è alta quanto la torre Eiffel (l’analogia è della stessa Shell).
La questione che maggiormente ha fatto discutere gli osservatori riguarda la sostanza del piano di smantellamento delle piattaforme. Shell, infatti, prevede di smantellare solo le parti superiori delle piattaforme, lasciando al loro posto i basamenti, ovvero le “gambe” costruite in acciaio e cemento che sorreggono tutta la struttura. Rimarranno in mare anche le 64 celle di stoccaggio alla base delle strutture, oltre a un numero sconosciuto di tubazioni e di detriti creati dalle operazioni di perforazione.
Il campo delle piattaforme petrolifere Brent
Le piattaforme della stazione petrolifera Brent sono costituite da tre o quattro gambe in calcestruzzo e sono alte circa 165 metri, per 18 metri di diametro e si innalzano fino a 25 metri sul livello del mare. Alla base si trovano 64 serbatoi di stoccaggio di cemento rinforzato in acciaio dello spessore di quasi un metro che misurano 20 metri di diametro e 60 metri di altezza (più alte della colonna di Nelson a Trafalgar Square) con una capacità di quattro piscine olimpioniche messe assieme.
Nel corso degli anni 42 serbatoi sono stati utilizzati per lo stoccaggio di petrolio e dopo lo smantellamento della piattaforma rimarranno sui fondali del mare del Nord sepolti in spesse piramidi di cemento, alla base delle piattaforme, sempre secondo Shell.
Una soluzione questa a cui la multinazionale è arrivata dopo enormi sforzi messi in campo per sperimentare metodi di ripulitura dei serbatoi senza ottenere risultati incoraggianti. Una questione delicata visto che in questi “depositi” di cemento è contenuta una miscela di petrolio, acqua e uno strato di sedimenti, tutti materiali altamente inquinanti. Smontarli e trasportarli è così difficile e rischioso che la Shell ha dovuto rivolgersi alla Nasa per poi comunque decidere di lasciarli in fondo al mare. Oltre alle piattaforme petrolifere nella stazione Brent ci sono 140 pozzi e 103 chilometri di tubature che verranno lasciate dove sono.
Una scomoda eredità per 40 generazioni di scozzesi
Nella presentazione del suo piano di smantellamento Shell dice che utilizzerà tecniche innovative, considerate consone e adeguate in termini economici, di sicurezza e di tutela ambientale. Ma quanto impiegherà a decomporsi tutto quanto sarà lasciato in mare? È la stessa Shell a fornirne una valutazione.
Le gambe di cemento che si trovano sul livello del mare impiegheranno tra i 150 ed i 300 anni per distruggersi. La parte di struttura che si trova invece sotto il livello del mare impiegherà altri 500 anni a cadere a pezzi. E le 64 celle di stoccaggio? Possono richiedere fino a 1000 anni.
In altre parole, se le proposte contenute nel piano di smantellamento proposto da Shell avranno il via libera da parte del governo britannico e dall’Ospar, un organo istituito per salvaguardare l’ambiente del Nordatlantico, le piattaforme saranno ancora parte della vita quotidiana degli scozzesi per le prossime 40 generazioni.
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