L’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe è morto all’età di 67 anni dopo essere stato ferito da un colpo di arma da fuoco, come confermato da un annuncio ufficiale l’8 luglio. Abe è stato colpito nelle strade di Nara, una città nel centrosud del Giappone, intorno alle 11:30 di mattina ora locale. L’attentatore è stato identificato con il nome di Tetsuya Yamagami, di 41 anni. Sono stati sentiti due spari, e almeno uno ha colpito Abe mentre dava un discorso per un candidato del suo partito liberal democratico (Ldp) per le elezioni della camera alta giapponese che si terranno il 10 luglio.
Il sospettato, un ex membro delle forze di autodifesa marittime, è stato immediatamente fermato e arrestato. L’emittente giapponese Nhk riporta una dichiarazione della polizia secondo cui l’attentatore ha usato una pistola fatta in casa per attaccare l’ex primo ministro.
Abe, rimasto per terra senza sensi, è stato portato in elicottero all’ospedale di Nara, con un arresto cardiopolmonare, un termine “spesso usato in Giappone prima che la morte venga confermata ufficialmente”, spiega in un tweet la giornalista Michelle Ye Hee Lee del Washington Post. Abe è stato ferito nella parte destra del collo, e un’emorragia interna al petto ha portato alla sua morte.
High quality footage of the ex PM of Japan, Shinzo Abe being shot at from behind with an improvised double barreled shotgun .pic.twitter.com/5XFbUAjNUj
La reazione in tutto Giappone è stata di shock, considerata la popolarità di Abe e quanto questo tipo di attacchi, così come la violenza da armi da fuoco in generale, sia rara in un paese come il Giappone, dove solo 6 morti da arma da fuoco sono state riportate nel 2014 secondo l’agenzia di polizia nazionale.
La legge giapponese in tema di armi da fuoco è una delle più restrittive al mondo. Il possesso di armi è limitato ai soli sport e caccia, ma anche in questi casi vengono effettuati test, esami psicologici e rigidi controlli sul passato per ottenere una licenza. Anche la violenza a livello politico non è comune nel paese, perlomeno dagli anni Sessanta, anni turbolenti in cui il leader del partito socialista giapponese, Inejiro Asanuma, fu accoltellato a morte da un ultranazionalista.
Mentre Abe lottava per la propria vita, il primo ministro Fumio Kishida, anche lui membro dello stesso partito liberal democratico di Abe, ha tenuto un discorso commovente nel quale confermava la gravità delle condizioni di Abe e condannava l’attacco.
“Si tratta di un atto vile e barbarico, avvenuto nel mezzo di elezioni che stanno alle basi della democrazia, e non può essere in alcun modo tollerato. Lo condanniamo nei termini più duri possibili”.
Le motivazioni dietro l’attacco non sono ancora chiare. Mentre questa vicenda prosegue, diamo uno sguardo alla vita e all’eredità che lascia Shinzo Abe.
Abe has been described as in "serious condition" (深刻な状況), according to Kishida. But the exact details of the situation remain unclear.
“È doloroso dovere lasciare l’incarico prima di avere raggiunto i miei obiettivi”. Con queste parole e gli occhi un po’ lucidi il 28 agosto Shinzo Abe ha annunciato inaspettatamente la sua decisione di lasciare la guida del Giappone, la terza economia globale, dopo sette anni e otto mesi. Decisione dovuta al peggioramento della colite ulcerosa, malattia cronica che colpisce il colon, di cui soffre da tempo; la stessa che lo costrinse a dimettersi dal suo primo mandato nel 2007, dopo solo un anno da premier.
Per cosa verrà ricordato Abe, oltre che per essere stato il primo ministro più longevo del Giappone? Forse l’unica cosa che mette tutti d’accordo è che la sua eredità non si può riassumere con una nota politica univoca o con un momento decisivo. I suoi anni al potere sono stati caratterizzati da molteplici programmi di riforme, da successi (parziali) e opportunità perse. Ora sarà il segretario generale del gabinetto Yoshihide Suga, alleato di Abe all’interno del Partito liberal democratico (Ldp), a prendere in mano le questioni rimaste in sospeso, come la crisi causata dalla pandemia e il dilemma dei giochi olimpici.
Chi è Shinzo Abe, biografia del premier uscente
Per comprendere chi è Shinzo Abe e cosa ha rappresentato per il Giappone bisogna tornare alle origini. Se la politica è un’arte, Abe ne è figlio: il nonno materno Nobusuke è stato primo ministro tra il 1957 e il 1960, e il prozio Eisaku Sato, a capo del governo dal 1964 al 1972, è stato il premier più longevo prima del pronipote. Senza dimenticare papà Shintaro Abe, ministro degli esteri dal 1982 al 1986.
Dopo gli studi a Tokyo, dove è nato nel 1954, e negli Stati Uniti, Shinzo Abe ha lavorato per un’azienda siderurgica per poi iniziare la sua carriera politica all’interno dell’Ldp, partito conservatore al potere quasi ininterrottamente dagli anni Cinquanta. Nonostante sia membro di una famiglia così influente, “dal momento in cui è entrato nella dieta (il parlamento giapponese, ndr) nel 1993, Abe è sempre stato critico della classe dirigente che si è instaurata nel dopoguerra, che secondo lui aveva fallito nel costruire una nazione forte e indipendente”, racconta Tobias Harris, autore de The Iconoclast, biografia di Abe pubblicata il giorno prima dell’annuncio delle dimissioni.
Infatti, l’ascesa politica di Abe si è fondata su questioni di orgoglio nazionale, come la vicenda dei sequestri di cittadini giapponesi per mano del regime nordcoreano negli anni Sessanta. Questione rimasta irrisolta perché nemmeno come premier Abe è riuscito a far rimpatriare le decine se non centinaia di persone scomparse.
In seguito alle dimissioni del popolare primo ministro Junichiro Koizumi, nel 2006 Abe divenne il primo capo di governo giapponese dopo la Seconda guerra mondiale nato dopo la fine del conflitto. Nonostante le dimissioni sulla scia di un anno difficile al governo a causa di scandali e casi di corruzione, Abe è tornato alla guida del paese con due vittorie elettorali nel 2012 e nel 2016. Da notare la decisione di inaugurare il suo ritorno al potere con una visita al santuario di Yasukuni a Tokyo, monumento ai caduti della Seconda guerra mondiale, tra cui alcuni criminali di guerra. Un gesto che ha simboleggiato il desiderio di Abe di restituire al Giappone il ruolo di potenza mondiale, e alcuni tentativi di revisionismo storico.
Popolarità ai minimi
L’aver ridato alla nazione un ruolo internazionale importante è stato proprio uno dei più grandi successi di Abe. Ma il premier lascia l’incarico con un indice di gradimento ai livelli più bassi di sempre, a conferma del momento complicato che sta attraversando la politica interna, complice anche la pandemia da coronavirus. Nonostante il Giappone sia riuscito a tenere un numero di casi relativamente basso se paragonato ad altri paesi industrializzati, la lentezza del governo nel rispondere alla crisi ha deluso molti cittadini.
Le crepe, in realtà, iniziavano a vedersi già prima della pandemia. Scandali e casi di corruzione, alcuni che hanno implicato il premier direttamente – come l’utilizzo spropositato di soldi pubblici per organizzare le feste annuali per l’hanami – e le lacune del programma di riforme economiche, noto come Abenomics, su cui il leader ha basato molta della sua legittimità, avevano già iniziato a erodere la popolarità di Abe.
Luci e ombre di Abenomics
Abbatterò tutti i muri che potrebbero rallentare l’economia giapponese e delineerò una nuova traiettoria di crescita. Questa è la missione di Abenomics.
Shinzo Abe
Adesso che è ora di tirare le somme sull’operato del leader, conosciuto soprattutto per la strategia economica che prende il suo nome, le analisi più svariate e i giudizi contrastanti dei commentatori politici dimostrano come i risultati agrodolci di Abenomics permettono a ciascuno di trovare argomentazioni sia positive che negative.
“Al premier uscente non viene dato abbastanza credito per quello che ha fatto”, si legge su The Economist. “Prima dell’avvento della Covid-19, ‘Abenomics’ stava riuscendo, anche se lentamente, a resuscitare l’economia. L’eredità del primo ministro è molto più grande di quanto suggerisca la sua uscita di scena silenziosa”.
Dunque, la promessa di Abe di sollevare il Giappone da decenni di deflazione (una diminuzione generale dei prezzi) è risultata in maggiori profitti per le grandi aziende e un incremento nel valore delle azioni grazie a un programma di stimoli monetari. “Però il raggiungimento di un tasso annuale dell’inflazione del 2 per cento è un obiettivo ancora lontano a più di sette anni di distanza”, scrive il Japan Times in un editoriale.
“Una cosa che va riconosciuta è che sotto Abe il Giappone ha vissuto il secondo periodo più lungo di crescita economica nel dopoguerra”, ricorda Harris. “Sì, è stato breve, interrotto dall’incremento della tassa sui consumi (dall’8 al 10 per cento, ndr) l’anno scorso e ora dalla recessione causata dalla pandemia. Ma non dimentichiamoci anche il basso tasso di disoccupazione e il fatto che i giovani, ora, hanno ottime scelte di impiego. Anche se la crescita è durata poco, ha avuto un impatto significativo sulla vita di molte persone”.
Womenomics: le donne non brillano ancora
Vogliono che le donne brillino per loro, non per loro stesse. Non si tratta di empowerment.
Wakako Fukuda, femminista e cofondatrice di Sealds
L’impatto delle politiche di Abe è particolarmente dibattuto se si parla di donne. Con il programma Womenomics, il primo ministro uscente ha voluto incentivare la loro partecipazione economica, soprattutto quella delle madri. Dunque, le liste di attesa per gli asili sono state ridotte, anche se non azzerate, i congedi di maternità e paternità sono stati prolungati, ed è stata introdotta una legge che obbliga le aziende a rendere noti gli obiettivi di occupazione femminile.
Queste riforme hanno aperto la porta del mercato del lavoro a due milioni di donne fino a quel momento escluse, con un tasso di occupazione di oltre il 77 per cento – superiore ad altri paesi industrializzati come l’Italia, dove lavora solo il 57 per cento delle cittadine.
Ma in Giappone, la metà dell’occupazione femminile si concentra nei lavori part-time e con contratti a tempo determinato, cioè quelli meno pagati. Poco più di un decimo dei dirigenti d’azienda è donna, ben al di sotto del target del 30 per cento, e il Giappone ha perso undici posizioni quest’anno nella classifica sulla parità di genere redatta annualmente dal World economic forum (Wef) ed è al 121esimo posto su 153 paesi (l’Italia è 76esima).
Un risultato imbarazzante per l’ideatore di Womenomics, il cui gabinetto era composto da 19 uomini e una sola donna. Con solo il 10 per cento di deputate in parlamento, il Giappone ha uno dei tassi di rappresentazione politica femminile più bassi al mondo. Non solo. “La disparità di genere è di gran lunga la più alta tra le economie avanzate, ed è cresciuta nell’ultimo anno”, si legge nel rapporto 2020 del Wef. In questa situazione, il coronavirus ha messo in risalto la vulnerabilità dell’occupazione femminile: dei 970mila lavoratori precari che hanno perso il lavoro ad aprile, più di 700mila erano donne.
Un nuovo ruolo per il Giappone
Nonostante le intenzioni di Abe, la posizione delle donne nella società giapponese non è migliorata. Il premier, invece, è stato più efficace sul piano della politica internazionale. “Ha reso il Giappone visibile in modi in cui non lo era da molto tempo, convertendo la stabilità del suo governo in leadership regionale e globale”, analizza Harris. “I numeri lo dimostrano: ha compiuto 81 viaggi all’estero e visitato un centinaio di paesi”.
Abe è stato abile nel mantenere buone relazioni soprattutto con il presidente Donald Trump, particolarmente importanti visto che la capacità difensiva del Giappone dipende dagli accordi di sicurezza con gli Stati Uniti. Ha rafforzato i rapporti anche con nazioni come l’Australia e l’India ma non è riuscito a trovare un accordo con al Russia sulle disputate isole Curili, alcune delle quali Tokyo considera parte del suo territorio nonostante siano sotto amministrazione russa.
Un’altra nota dolente è l’inasprimento delle relazioni con la Corea del Sud, contro cui Abe ha iniziato una guerra commerciale perché la corte suprema di Seul ha ordinato ad alcune aziende giapponesi di compensare le persone usate come manodopera forzata durante l’occupazione della Corea nella Seconda guerra mondiale. Così, insieme alla visita al santuario di Yasukuni e alle minacce di ritrarre le scuse ufficiali dello stato giapponese alle donne di conforto coreane, schiavizzate dall’esercito nipponico durante il conflitto, il nazionalismo conservatore e revisionista di Abe ha trovato uno dei suoi bersagli nell’ex colonia.
La democrazia dell’uomo forte
Nobosuke Kishi, nonno di Abe, è stato sospettato, ma mai incriminato, di aver compiuto crimini di guerra. Uno dei suoi obiettivi come premier era di cambiare l’articolo 9 della costituzione, architettata dagli Stati Uniti, vincitori della guerra del Pacifico (1941-1945), secondo cui il “popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione”, quindi “non saranno mai mantenute forze di terra, di mare, di aria e qualsiasi altra forza potenzialmente militare”. Le intenzioni incompiute di Kishi di restituire al paese la sua sovranità bellica sono poi diventate quelle del nipote.
Nonostante il fallimento di Abe nel modificare l’articolo 9, nel 2015 passò alcune leggi sulla sicurezza per fornire aiuti militari agli alleati, quindi “segnando la fine del pacifismo giapponese nel dopoguerra”, ha detto Rob Fahey dell’università di Waseda a Tokyo a The Diplomat. Intorno a 120mila manifestanti parteciparono alle proteste contro le leggi sulla sicurezza, le più grandi dagli anni Sessanta. “Ma Abe non si è fatto dissuadere dall’opinione pubblica, e così molte persone hanno perso fiducia nella democrazia”, ha raccontato Wakako Fukuda, co-fondatrice di Sealds, movimento nato per opporre le leggi, al podcast Deep Dive. “Le leggi sono state adottate, lasciando ai manifestanti la sensazione che le loro voci e le loro azioni non contano, e che il nostro movimento abbia fallito”.
“La visione di Abe della democrazia non è fondata sul dibattito libero”, commenta Harris. “Ha voluto allontanare il Giappone da uno stile democratico in cui viene dato spazio alle minoranze e al compromesso tra partiti. Secondo lui, se il premier ha la maggioranza e il controllo del governo può seguire le politiche che vuole; un’idea peraltro ereditata dal nonno. Per Abe, un leader deve stare due o tre passi avanti rispetto al popolo”.
Ma non in materia d’ambiente…
Nonostante la visione di leadership forte di Abe e una posizione internazionale più robusta per Tokyo, le politiche ambientali del premier uscente, soprattutto in materia di lotta contro i cambiamenti climatici, sono state a dir poco deludenti. Il paese è quinto al mondo per emissioni di gas serra e l’utilizzo di combustibili fossili è aumentato da quando la produzione di energia nucleare è stata interrotta nel 2011 in seguito al disastro di Fukushima. Alla Cop 25 di Madrid, il governo si è rifiutato di rinunciare al carbone, da cui dipende per il 30 per cento della sua energia, contro il 18 per cento delle rinnovabili secondo dati del 2018.
Nonostante la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, il Giappone non ha ancora rafforzato i suoi Contributi nazionali volontari (Ndc), mantenendo un obiettivo del 26 per cento di riduzione delle emissioni entro il 2030, insufficiente per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi. Nonostante l’opportunità che offre l’attuale crisi causata dalla pandemia per l’adozione di modelli di sviluppo sostenibile, “il piano di stimolo del governo include solo due punti sulla decarbonizzazione; la trasformazione digitale e il sostegno per l’autoproduzione dell’energia solare”, Ken Tanaka, segretario del Japan climate initiative, ha raccontato a Climate foresight.
Il Giappone che Abe lascia a Suga
Vorrei che non fossero più solo uomini all’antica a dettare la politica.
Wakako Fukuda, femminista e cofondatrice di Sealds
Con solo un anno prima delle prossime elezioni, il nuovo premier Yoshihide Suga dovrà preoccuparsi di fermare la recessione, bilanciando la ripresa delle attività economiche e sociali con il rischio di nuove impennate di contagi da Sars-Cov-2, che potrebbero compromettere la possibilità di ospitare i Giochi olimpici di Tokyo 2020 rinviati all’estate prossima. È improbabile, quindi, che ci saranno molti cambiamenti in materia di clima e ambiente, almeno per ora.
Anche perché nonostante il 71enne Suga sia di origini umili, figlio di un coltivatore di fragole e di un’insegnante, che lo contraddistinguono da una classe politica fortemente elitaria, è stato eletto dai parlamentari del suo partito anche per dare un senso di continuità con Abe, con cui lavora a stretto contatto da quasi otto anni.
Harris confida nelle abilità di Suga. “Credo sia ancora più realista rispetto al suo predecessore e sa quello di cui il Giappone ha bisogno per prosperare. Più di molti membri dell’Ldp, lui è davvero un politico con una prospettiva nazionale perché non appartiene a nessuna fazione. È cresciuto in zone rurali e ha fatto carriera in città, e ha una visione olistica della politica e del governo”. Sarà comunque l’eredità del premier uscente a dettare le sue scelte. E starà quindi ai giapponesi che andranno alle urne nel 2021, non al nuovo primo ministro, decidere se la visione di Abe continuerà a governarli anche negli anni a venire.
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