All’Agri data green summit 2024, organizzato da Xfarm, si è discusso di come tecnologia e intelligenza artificiale possano supportare l’agricoltura rigenerativa e sostenibile.
Siamo fatti di terra. Quando la salute del Pianeta e delle persone sono una cosa sola
D’ora in poi, quando parliamo di salute, parliamo di un concetto che non riguarda più solo le persone. Perché per stare bene tutti su questo Pianeta non bisogna lasciare indietro nessuno. E la chiave di tutto è tornare a un’agricoltura che rispetti la terra.
Quando si parla di salute, salvo precisazioni, s’intende la salute della persona, dell’essere umano. Come se “star bene”, “essere in salute” fossero lussi che solo la nostra specie si può permettere. Eppure il concetto di salute è quanto di più trasversale esista al mondo. Perché la Terra è essa stessa un organismo vivente, e se a “star male” è una specie animale o vegetale, allora ne risentiamo tutti. La parola “salute”, dunque, sta subendo un’evoluzione olistica simile ad altri termini ed espressioni che hanno a che fare con la sostenibilità. Per far sì che la nostra specie stia bene, è necessario che anche l’ambiente in cui viviamo, che la Terra che ci ospita siano in salute. E il primo segnale di tutto ciò è il rispetto della catena alimentare, del modo in cui ci nutriamo, del cibo che produciamo e assumiamo.
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Per parlare di tutto questo, il 2 luglio presso le Serre dei Giardini Margherita a Bologna, si è tenuta la prima tavola rotonda di un percorso dal nome Siamo fatti di terra. Un progetto nato dalla collaborazione tra Alce Nero, l’impresa partecipata costituita da agricoltori biologici e trasformatori, e LifeGate che ha come obiettivo proprio quello di far riflettere sul fatto che ciò che fa bene all’ambiente e alla Terra, fa bene alle persone. Perché nessun cibo, nessun prodotto agricolo, può nutrire un organismo in modo sano se proviene da un modello che sfrutta terre, risorse e lavoratori.
Siamo fatti di terra: un incontro tra esperienza e passione
Presenti al tavolo di un confronto pieno di passione la dottoressa Fiorella Belpoggi, alla guida del Centro di ricerca sul cancro “Cesare Maltoni” che fa capo all’Istituto Ramazzini di Bologna, il professor Giovanni Dinelli del dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna, Manlio Masucci dell’organizzazione Navdanya International, fondata in India dalla scienziata e attivista Vandana Shiva, Chiara Marzaduri, responsabile comunicazione di Alce Nero e Nicoletta Tranquillo, fondatrice di Kilowatt, la realtà che gestisce proprio lo spazio delle Serre dei Giardini Margherita.
“Guardiamo al benessere come fine”
“Il cibo può essere una scelta politica perché è un modo per veicolare concetti in grado di cambiare la società, sia dal punto di vista della produzione che della giustizia alimentare”, ha aperto i lavori la padrona di casa, Tranquillo di Kilowatt. Il riferimento è a GreatLife, il progetto europeo di cui l’Università di Bologna è capofila, che ha come obiettivo la sperimentazione di nuove colture resilienti per ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici contribuendo a sostenere il reddito dei coltivatori e a dar vita a prodotti di qualità per il mercato finale. “Il cibo può essere un vettore di relazioni tra soggetti aperti a stimoli, anche culturali. Per questo il nostro obiettivo, come Kilowatt, è raggiungere il benessere – come sinonimo di buona salute – per dare al lavoro la stessa qualità che diamo al tempo libero”.
Bisogna riscoprire i principi agroecologici
Un concetto integrato dal professor Dinelli: “Il progetto GreatLife, che vede coinvolti Università di Bologna, Kilowatt e Alce Nero, nasce anche per fare educazione, cioè per insegnare o far riscoprire ai contadini i principi dell’agroecologia, come l’importanza di non ricorrere alla monocoltura e di utilizzare mescolanze di varietà di sementi. Uno degli approcci migliori contro il riscaldamento globale perché questi ‘miscugli’ si adattano meglio ai cambiamenti. Una delle parole chiave, dunque, è proprio agroecologia, ovvero la sua riscoperta per riuscire a maneggiare, poi, anche tecnologie come l’agricoltura di precisione. Per tutto questo ci vuole conoscenza e responsabilità”.
Una visione olistica contro il fallimento della rivoluzione verde
E proprio di agroecologia come alternativa al “fallimento della rivoluzione verde” ha parlato Masucci. “Molti agricoltori indiani hanno perso qualsiasi tipo di conoscenza agricola, stretti tra le maglie delle multinazionali e dei debiti contratti per comprare sementi e pesticidi. Oltre al sapere, il sistema industriale attuale distrugge il suolo e contamina le acque causando danni immensi anche alla salute delle persone”, continua Masucci. “Quando andiamo al supermercato e compriamo un prodotto ‘economico’ che viene da questo tipo di produzione, risparmiamo solo in teoria perché quei soldi vengono spesi in altro modo, ad esempio per curare le persone che contraggono malattie causate dai pesticidi”.
Contro i veleni che uccidono la terra, sosteniamo la ricerca
E sulla salute, umana, ha portato il suo contributo la dottoressa Belpoggi, da 40 anni impegnata nella ricerca scientifica: “I pesticidi presenti in commercio oggi sono decine di migliaia come principi attivi e qualche milione come formulati. Quindi l’impatto sull’agricoltura è enorme e ciò che abbiamo di fronte è qualcosa di unico e di non studiato in modo adeguato. Si tratta di agenti pericolosi per l’ambiente e per l’uomo, che finora non hanno ricevuto la giusta considerazione, soprattutto se miscelati tra loro. Anche dove qualche informazione c’è, però, il processo per toglierli dal commercio e dall’ambiente è troppo lungo a causa della burocrazia. Si veda l’esempio del Clorpirifos che è ancora tra noi, anche se è da decenni che sappiamo che è neurotossico”, ha sottolineato Belpoggi. “Abbiamo in corso uno studio sui dieci pesticidi più comuni trovati nelle mele, tutti alla concentrazione giornaliera ammessa nell’uomo, ma mescolati in un cocktail. E il primo studio in tal senso fatto dall’Istituto Ramazzini ci fa intuire che i risultati saranno rilevanti”.
Per un modello e un interesse partecipato
Le conclusioni ci riportano ai singoli individui, alle persone che poi si trovano ad acquistare prodotti su cui devono avere la possibilità di scegliere. Scegliere ciò che rispetta le persone e la terra, rifiutando prodotti che “sfruttano senza mai restituire”, ha affermato Marzaduri di Alce Nero. Sono 34 milioni gli italiani che si sono dichiarati pronti a questo cambiamento, secondo il quinto Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile presentato da LifeGate, in un crescendo di attenzione da parte dei cittadini verso una forma di sviluppo pienamente sostenibile. E il 34 per cento dichiara di mangiare prodotti da agricoltura biologica. Un trend in aumento che deve coinvolgere anche “chi viene solitamente escluso dal modello economico e culturale legato al cibo come gli agricoltori e i trasformatori”. “Per Alce Nero – continua Marzaduri – la chiave è smettere di nutrire un sistema estrattivo. Per noi la restituzione è una fase fondamentale per dar vita a un modello di collaborazione tra ‘diversi’. L’agricoltore ha bisogno di essere ascoltato e allo stesso tempo di ricevere gli strumenti innovativi per guardare avanti. Questo è il tempo di collaborare per un modello e un interesse partecipato. L’alternativa è restare fermi al palo, ma questo non è più possibile perché fermarsi significa alimentare un impoverimento generale già in atto”.
Salute, dunque, racchiude tutto questo. E il contesto, il tempo storico in cui ci troviamo non permette appello. Di fronte a una crisi climatica che porta con sé un intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi, come la stagione che stiamo vivendo, che rischia di mettere in ginocchio il settore agricolo, non ci rimane che cambiare e prendere spunto da quelle specie, come le piante, che sono in grado di rispondere ai pericoli facendo rete. Una tecnica che ha permesso loro di sopravvivere su questo Pianeta per decine di milioni di anni.
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