Il clima che cambia sta delineando una nuova geografia del cibo con l’agricoltura chiamata a rispondere alle sfide ambientali e di sicurezza alimentare.
Solo il contatto con la terra può guarire un mondo ferito dall’essere umano
La seconda edizione di Siamo fatti di terra vuole far riflettere sul fatto che ciò che fa bene all’ambiente e alla Terra, fa bene alle persone.
Nel 2020 il concetto di salute è entrato di prepotenza nelle nostre vite, costringendoci a fermarci e riflettere su noi stessi, sul nostro stile di vita. La pandemia di coronavirus ha cambiato la nostra visione del mondo che ci circonda, restituendoci forse un po’ di quella prospettiva che negli anni avevamo perso.
Già nel 2019 avevamo iniziato un progetto editoriale insieme ad Alce Nero, l’impresa partecipata costituita da agricoltori biologici e trasformatori, dal titolo Siamo fatti di terra. L’obiettivo era proprio quello di far riflettere sul fatto che ciò che fa bene all’ambiente e alla Terra, fa bene alle persone.
Il fil rouge di questo progetto risiede nell’innegabile concetto che la salute del Pianeta e quella dell’essere umano sono la stessa cosa e che nessun cibo o prodotto agricolo può nutrire un organismo in modo sano se proviene da un modello che sfrutta terre, risorse e lavoratori.
La seconda edizione di Siamo fatti di terra
La salute della Terra è la salute dell’essere umano. Pratiche distorte di sfruttamento di ciò che avidamente consideriamo mere risorse volte solo a soddisfare i nostri bisogni hanno generato conseguenze tali da paralizzare l’intero Pianeta per più di un anno.
La seconda edizione di Siamo fatti di terra parla proprio di questo, di come il 2020 abbia messo in discussione l’intero sistema umano, dall’alimentazione all’agricoltura, fino alle certezze che credevamo di avere come specie, ma che abbiamo realizzato non essere più così valide.
Il futuro non dipende solo dall’informazione, dipende anche da quanto impegno metteremo a lavorare su noi stessi, come singoli individui
In questo percorso ci hanno accompagnato Martina Donegani, biologa nutrizionista, Mario Cucinella, architetto, Angelo Vaira, educatore cinofilo, divulgatore scientifico e insegnante di meditazione, e Serena Giacomin, presidente di Italian climate network.
Sono tre le parole chiave da tenere sempre presente: varietà, equilibrio e moderazione
Sull’alimentazione ci stiamo giocando tutto
L’alimentazione è uno dei temi chiave del progetto. Alimentarsi non equivale solamente a ragionare in termini di quale cibo stiamo mettendo nel piatto, ma dovrebbe sottintendere anche un’attenzione particolare ai processi con cui viene prodotto quell’alimento, in termini umani, ambientali ed etici.
“Sull’alimentazione ci stiamo giocando tutto. Il futuro del Pianeta dipende dall’alimentazione”, ci ha spiegato Angelo Vaira. “Si tratta di prendere coscienza della rete in cui il nostro piatto si inserisce; degli esseri viventi, umani, animali e vegetali, coinvolti; dei processi psicologici e sociali che ci portano a scegliere quello stesso alimento. L’atto del mangiare è molto più complesso di ciò a cui siamo abituati a pensare”.
Davanti a quello che mangiamo dovremmo fermarci e pensare alla vastissima, incommensurabile rete di individui che hanno permesso quel piatto
Anche Donegani è convinta che l’approccio utilizzato fino a questo punto sia sbagliato. “Banalmente: mangiamo troppo! – ha commentato –. Si scelgono cibi di bassa qualità e in quantità eccessiva rispetto al nostro fabbisogno e rispetto alle risorse messe a disposizione dal Pianeta”.
Un’agricoltura diversa è ancora possibile
Consumare più risorse di quelle necessarie nuoce alla salute umana tanto quanto a quella del Pianeta. Non a caso il settore dell’alimentazione è uno dei più impattanti sulla crisi climatica, proprio a causa delle abitudini assunte. Ogni giorno diventa sempre più chiaro quanto le emergenze che stiamo vivendo, quella climatica e quella sanitaria, si alimentino a vicenda: “L’utilizzo del suolo non fa altro che portare una frammentazione degli habitat e una perdita di biodiversità che tende ad aumentare le possibilità di contatto con specie animali capaci di trasmettere virus ai quali l’essere umano non è abituato – ha precisato Giacomin –. L’emergenza climatica e quella sanitaria possono sembrare crisi separate, ma non è così. È importante sottolineare le concause, legate anche al settore dell’alimentazione”
Questa emergenza sanitaria potrebbe essere il motore verso un cambiamento migliorativo nell’utilizzo delle risorse
Per certi versi, abbiamo perso quello che era il contatto diretto con gli alimenti che giungono sulle nostre tavole, abbiamo dimenticato cosa ci vuole per produrli e troppo spesso diamo per scontate e sprechiamo quelle stesse risorse.
Ma forse riavvicinarsi alla terra, può aiutarci a ritrovare l’equilibrio perso. Perché un’agricoltura diversa è ancora possibile. Perché alla fine siamo davvero fatti di terra. “Mi piace molto ‘riscalare’ l’idea che l’agricoltura – racconta Cucinella – non sia solo un’azione industriale, ma che le persone possano avvicinarsi al proprio cibo costruendolo, facendolo. Questo è utile anche per creare una coscienza dello spreco perché costa fatica. Quindi l’idea della grande agricoltura, un’idea del Novecento, potrebbe essere affiancata da un sistema di produzione del cibo locale, vicino”.
La vulnerabilità di una gerarchia che non esiste
Il progressivo allontanamento dalla terra, dalla sua stessa vita, si è dimostrato fallimentare. “Durante questo anno di emergenza sanitaria, una sensazione che ci eravamo dimenticati di provare è tornata nelle nostre vite: l’incertezza. L’essere umano si è scoperto vulnerabile quando l’incertezza ha bussato alla sua porta”, riflette Giacomin. “Dopo un primo momento di shock, potrebbe essere la spinta giusta per migliorare il nostro posto sul Pianeta. Potrebbe essere un motore verso un cambiamento migliorativo nell’utilizzo delle risorse”.
Collaborare verso la sostenibilità non vuol dire rinunciare alla nostra qualità della vita, anzi, vuol dire avere un pensiero evolutivo, propositivo, riflettere sui nostri errori per migliorare nel futuro
Ma per migliorare bisogna avere la forza di mettere in discussione quanto fatto fino a questo momento. “Siamo abituati a pensare al mondo naturale come una piramide con noi stessi, la specie che si crede più evoluta, in cima. Dovremmo avere l’umiltà di comprendere che potremmo non essere al vertice e che potrebbe non esserci nessun vertice”, conclude Vaira.
La seconda edizione di Siamo fatti di terra ci fa ripartire proprio da qui, dalla salute come rete che connette ogni specie vivente, ogni giorno, in ogni angolo del Pianeta.
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