Il bacino del Po, da cui dipende parte dell’agricoltura italiana, è già in crisi: senza pioggia a marzo e aprile, la siccità sarà peggio dell’anno scorso.
“Io sono del pavese, l’anno scorso nella mia zona sono andati buttati dal 30 al 50 per cento dei raccolti. Per la prossima estate certezze non ce ne sono ancora, ma se non si mette a piovere a marzo e ad aprile, la situazione questa estate sarà ancora peggiore”. Roberto Perotti è il presidente dell’ordine dei Geologi della Lombardia e la sua voce, nei giorni in cui si registra un livello di siccità record per il periodo per il fiume Po e il lago di Garda, è preoccupata.
Il fiume Po a secco
In questi giorni si è risollevato l’allarme siccità, già esploso la scorsa estate, in particolare nel bacino padano. Alla vigilia delle semine 2023, infatti, il fiume Po è già a secco: al Ponte della Becca, in provincia di Pavia, è arrivato addirittura a -3,3 metri rispetto allo zero idrometrico, con le rive ridotte a spiagge di sabbia come in estate. Ma la situazione del più grande fiume italiano è rappresentativa delle difficoltà in cui si trovano tutti gli altri corsi d’acqua del settentrione con i grandi laghi che hanno percentuali di riempimento del 39 per cento per il lago di Garda e il lago Maggiore fino ad appena al 21 per cento di quello di Como. Ma si registra anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell’arco alpino ed appenninico. Il deficit idrico, insomma, si registra in gran parte delle regioni del nord, Piemonte e Lombardia in testa ma anche in Veneto e Trentino e un gap, meno marcato rispetto allo scorso anno, nell’area emiliano-romagnola dove le ultime piogge, corredate da alcune nevicate, hanno contribuito a ricaricare i torrenti appenninici e di conseguenza ad incrementare le portate del Po.
Ci sono anche delle conseguenze solo all’apparenza “piacevoli”: l’isola di San Biagio, a Manerba sul lago di Garda, in questi giorni può essere raggiunta incredibilmente a piedi. Ma se si tratta di un’esperienza suggestiva per i molti visitatori, è soprattutto il segno drammatico dell’emergenza idrica di questo inverno 2022-2023. Normalmente l’isoletta, è raggiungibile con un battello oppure guadando un piccolo istmo con l’acqua che arriva alle cosce o alla vita. In questi giorni, invece, la prolungata assenza di piogge e la scarsità di neve sulle montagne hanno portato il livello del lago di Garda a essere sotto la media stagionale di oltre 50 centimetri, consentendo così a tutti di poter arrivare sull’isola con una semplice camminata.
Anche sul fronte delle temperature si registra un incremento generalizzato di 1-1,5°C nel mese di gennaio, mentre la neve, che a differenza dello scorso anno è caduta (inferiori alle medie, superiori alle minime) è comunque risultata scarsa sui rilievi alpini e quindi non sufficiente per alimentare con continuità anche i bacini artificiali deputati alla produzione di energia idroelettrica.
Acqua salata nei pozzi
Infine, nel Delta del Po preoccupa anche l’intrusione salina (o cuneo salino), secondo il bollettino dell’Autorità di Bacino, che potrebbe aumentare in caso di diminuzione della portata del fiume. “Significa che, se si abbassa la falda che alimenta il fiume, l’acqua salata del mare tenderà ad avanzare nell’entroterra, non essendo sovrastata dalla massa di acqua dolce. Questo creerà un cuneo verso l’entroterra con acqua salata: i pozzi in prossimità del delta emungeranno acqua salata e non dolce, e sarà un problema in agricoltura”.
Dopo le 18 sedute organizzate in stato di continua emergenza idrica dello scorso anno, il 9 febbraio, per la prima volta nel 2023, si è riunito l’Osservatorio permanente sugli utilizzi idrici dell’autorità di bacino distrettuale del fiume Po, che comprende le regioni e le relative agenzie di monitoraggio (Ispra) e tutti i portatori di interesse dell’area padana coinvolti nella gestione della risorsa acqua. Ma i problemi, secondo il presidente dell’ordine dei Geologi della Lombardia, sono di due ordini. Il primo è che probabilmente si sarebbe dovuto arrivare meglio preparati per il 2023: “I casi degli anni scorsi avrebbero dovuto metterci già nella condizione di procedere con interventi strutturali, che invece quasi certamente non saranno sufficienti”.
L’altro è che all’interno dell’osservatorio vengono esposti “tantissimi dati, da parte di portatori di interesse diversi, che spesso sono difficili da coordinare. Per esempio c’è la necessità da parte di produttori di energia di portare l’acqua verso valle per sfruttare l’idroelettrico, il che però svuota il bacino a monte. Insomma, si tratta di un osservatorio di raccolta dati, ma manca un potere decisionale e operativo”. Che interviene in genere, sotto forma di Protezione Civile, solamente “quando c’è il punto di non ritorno e si deve cercare di mettere d’accordo tutti”.
I progetti in realtà ci sono: i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza prevedono 3,2 miliardi di euro per la realizzazione di 10mila bacini entro il 2030, “ma al momento sono partiti solo 223 progetti e solo il 2 per cento è stato portato a termine”, a causa di problemi strutturali, tempistiche per l’individuazione delle zone idonee, talvolta anche perché si rende necessario provvedere all’esproprio di terreni che, seppur idonei, sono utilizzati in agricoltura. Bacini di raccolta e invasi che però sarebbero necessari “anche perché poi, dopo lunghi periodi di siccità, si verificano i cosiddetti eventi spot, in zone molto concentrate, e magari ci trova con valli con tanta acqua e altre con nulla: in questi casi i bacini potrebbero tamponare”.
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