“Sembra di stare nel deserto”, commenta Khaled al-Khamees, i piedi sul terreno riarso, in un punto dove lo scorso anno scorreva l’Eufrate, in Siria. L’agricoltore 50enne ha confidato all’agenzia francese Afp che lui e la sua famiglia stanno pensando di andarsene, perché non c’è più acqua. Prima il fiume irrigava il suo uliveto, che ora è bruciato.
Un tempo la striscia di terra compresa fra il Tigri e l’Eufrate, in Medio Oriente, era così rigogliosa da meritarsi il soprannome di “mezzaluna fertile”. Adesso, invece, la desertificazione avanza mettendo in pericolo intere popolazioni.
Le organizzazioni umanitarie temono un’imminente catastrofe nel nordest della Siria, dove la scarsa portata dell’Eufrate preoccupa già dal mese di gennaio. Una situazione che minaccia di impedire il funzionamento delle due principali centrali idroelettriche della regione, quella di Tishrin e quella di Tabqa, riducendo drasticamente la fornitura già carente di energia elettrica e acqua pulita.
Mancano l’acqua e l’energia elettrica
“Da quando la diga è stata completata nel 1999, mai avevo assistito a una situazione simile”, racconta Hammoud al-Hadiyyeen, direttore di Tishrin. Dall’inizio del 2021 il livello dell’acqua è sceso di cinque metri, e basta qualche decina di centimetri ancora perché le turbine smettano di produrre elettricità.
In tutta la Siria nordorientale, la produzione di energia è già diminuita del 70 per cento rispetto allo scorso anno, riferisce il capo dell’autorità competente, Welat Darwish. Queste centrali alimentano le case di circa tre milioni di cittadini e assicurano acqua potabile a cinque milioni di persone che, per non morire di sete, rischiano di contrarre malattie da fonti alternative, ma contaminate.
L’acqua è una potenziale arma di guerra
L’Eufrate, lungo 2.800 chilometri, nasce in Turchia per poi attraversare Siria e Iraq. Alcune organizzazioni curdo-siriane accusano il governo turco di sfruttare l’acqua come arma di guerra, diminuendone intenzionalmente l’afflusso nelle regioni della Siria controllate dai curdi. Effettivamente, negli ultimi mesi è stata registrata una diminuzione del quantitativo d’acqua che la Turchia deve, in base a un accordo firmato nel 1987, lasciare scorrere dai suoi confini fino alla Siria. Il quantitativo è sceso, infatti, da 500 metri cubi a 200.
I cambiamenti climatici alimentano la siccità
Un diplomatico turco ha dichiarato ad Afp che in nessuna occasione il governo ha ridotto la quantità d’acqua che fuoriesce dal paese. “La nostra nazione sta fronteggiando una delle peggiori siccità di sempre a causa dei cambiamenti climatici”, ha aggiunto. Precipitazioni così scarse non si vedevano, nel sud della Turchia, da almeno trent’anni. L’analista siriano Fabrice Balanche teme che questa non sia però una scusa valida. “Nei periodi più secchi, la Turchia cerca di proteggere i suoi abitanti, senza pensare ai curdi”, puntualizza.
"There’s no water left to drink.”
Plummeting water levels at hydroelectric dams in Syria are threatening water and power cutoffs for up to five million people.
L’Iraq e la Siria sono territori particolarmente delicati
Le Nazioni Unite hanno avvertito che le ondate di calore saranno sempre più distruttive nel Mediterraneo e la Siria, stando al Global climate risk index, è proprio uno dei paesi più a rischio. Anche il lago Assad è vittima di questo trend. “Gli ulivi hanno sete, gli animali hanno fame”, commenta Hussein Saleh, abitante del villaggio di Twihiniyyeh, dove i blackout sono passati dal durare nove a ben diciannove ore al giorno. “Continuando così, l’energia elettrica ci sarà solo per gli ospedali”, aggiunge l’ingegnere Khaled Shaheen.
In un paese dove il 60 per cento della popolazione ha difficoltà nel mettere del cibo in tavola, non avere acqua per irrigare i campi equivale alla morte. Altri sette milioni di persone rischiano di restare privi di risorse idriche in Iraq. Se i governi prestano attenzione ai confini, diversamente fa il clima. Siamo tutti uniti di fronte a questa battaglia.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, intervenendo alla Cop29 a Baku, ha ribadito il proprio approccio in materia di lotta ai cambiamenti climatici.