Profilazione razziale, xenofobia nel dibattito politico e omofobia nel report dell’Ecri. Tra le sue richieste c’è quella di rendere indipendente l’Unar.
Silvia Romano è finalmente a casa, a Milano
La folla l’attendeva sotto casa. Amici, conoscenti, sconosciuti, giornalisti. Erano tutti lì per lei, per applaudirla e darle il bentornato, nonostante una Milano piovosa. E lei è arrivata a bordo di un’auto grigia, poco dopo le 17, scortata dai carabinieri, sorridente sotto la mascherina e avvolta dal suo abito tradizionale somalo. Silvia Romano finalmente è
La folla l’attendeva sotto casa. Amici, conoscenti, sconosciuti, giornalisti. Erano tutti lì per lei, per applaudirla e darle il bentornato, nonostante una Milano piovosa. E lei è arrivata a bordo di un’auto grigia, poco dopo le 17, scortata dai carabinieri, sorridente sotto la mascherina e avvolta dal suo abito tradizionale somalo. Silvia Romano finalmente è a casa. La sua, nel quartiere Casoretto di Milano. La ventiquattrenne volontaria, catturata il 20 novembre 2018 in un villaggio del Kenya e liberata venerdì 8 maggio 2020, è rientrata domenica in Italia, a Roma, dove è stata ascoltata dai magistrati e dai carabinieri del Ros per ricostruire i diciotto mesi di prigionia di cui è stata vittima. Poi oggi, in mattinata, è partita alla volta di Milano, insieme alla madre e alla sorella. “Sto bene, rispettate questo momento”. Sono le uniche parole che Silvia ha pronunciato davanti alla calca dei giornalisti che l’aspettavano. Tutt’intorno risuonavano gli applausi dei presenti e dei vicini affacciati dai balconi ad accoglierla.
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Il saluto dalla finestra
Alcuni minuti dopo il suo arrivo, Silvia si è affacciata alla finestra di casa – sempre con il capo coperto – salutando con la mano tutti i presenti. A chi chiedeva: “Come stai, Silvia?”, ha risposto con il pollice alzato e un ampio sorriso. E tra gli applausi e i “brava!”, la ragazza si è congedata mandando a tutti un bacio sulla punta della dita. Poi è di nuovo sparita dentro casa, a godersi la sua famiglia. A quel punto la folla si è diradata e la via è stata riaperta al traffico.
Torna a respirare l’Italia intera con la liberazione di Silvia, ma ancora di più lo fanno i famigliari, gli amici, le persone che nel quartiere l’hanno vista crescere, che l’hanno vista portare in giro il cane o passeggiare con la madre, ma anche chi ha seguito la vicenda e se l’è presa a cuore. “Non ce l’aspettavamo: le notizie che davano i giornali erano poche e onestamente non davano speranza – racconta un signore tra i presenti –. È sicuramente stato fatto un ottimo lavoro da parte dello Stato italiano e dei servizi segreti, che fino all’ultimo non hanno lasciato trapelare nulla”. E ancora, una signora che attendeva il suo arrivo: “Aver ricevuto sabato la notizia del rilascio è stata veramente un’esplosione di gioia immensa, di emozione. Adesso essere qui ad aspettare anche sotto la pioggia, è un onore, nonostante le critiche che le sono state fatte da tante persone, da chi la conosce, da chi non la conosce. Io personalmente mi sento di non dover crticare nessuna sua scelta”.
Nell’attesa c’è anche chi porta mazzi di fiori da lasciare davanti al portone d’ingresso, ormai coperto di messaggi e fotografie. “Non abbiamo mai perso la speranza – raccontano alcune amiche ad aspettarla sotto la pioggia – ma pensavamo che nell’ultimo periodo, a causa del coronavirus, le ricerche si fossero un po’ affievolite. È stata una sorpresa stupenda”.
Gli ultimi mesi di prigionia e lo scambio
Il punto di svolta arriva sei mesi fa, a pochi giorni dall’anniversario del rapimento. Probabilmente una prova in vita. Non è ancora abbastanza: le informazioni che erano giunte fino a quel momento erano confuse e spesso contraddittorie, ma soprattutto non c’erano prove che Silvia fosse ancora in vita. Poi il 17 gennaio 2020 arriva il video in cui la giovane volontaria afferma di stare bene. Era il segno che l’intelligence attendeva per dare il via libera all’ultima fase della trattativa e autorizzare il pagamento del riscatto, operazione che si è svolta in collaborazione con i servizi turchi e somali.
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Da allora sono trascorsi altri tre mesi e mezzo segnati da un gioco al rialzo che in alcuni momenti ha fatto temere il peggio. Fino a venerdì notte, quando in un’area a trenta chilometri da Mogadiscio, in Somalia, avviene lo scambio. Tutto fila liscio nonostante le esplosioni di mortaio e l’alluvione che si sta scatenando proprio in quelle ore. Silvia è provata fisicamente e psicologicamente, ma sembra stare bene. Ma non è ancora finita perché il viaggio verso la capitale presenta alcuni ostacoli. Poi la notizia dell’arrivo in ambasciata. Al sicuro. Libera.
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