Il west highland white terrier è un piccolo cane dal grande carattere. Selezionato in Scozia è diventato ben presto famoso in Europa e Usa
I simboli naturali della Pasqua e il loro significato: cosa ci dicono coniglietti, uova e agnelli
È affascinante ripercorrere le tappe alla ricerca dell’origine dell’impiego, oggi, di molti elementi provenienti dalla natura per celebrare la Pasqua. Si scopre, o si riscopre, il nuovo significato delle piccole cose, il rispetto del sacro, l’amore per il creato. I simboli di Pasqua In questo caleidoscopio di disegni, colori e messaggi, la natura riaffiora in tante diverse forme.
È affascinante ripercorrere le tappe alla ricerca dell’origine dell’impiego, oggi, di molti elementi provenienti dalla natura per celebrare la Pasqua. Si scopre, o si riscopre, il nuovo significato delle piccole cose, il rispetto del sacro, l’amore per il creato.
I simboli di Pasqua
In questo caleidoscopio di disegni, colori e messaggi, la natura riaffiora in tante diverse forme. Il tratto comune a tutti i simboli che da millenni ci accompagnano in questo periodo – e, si noti bene, sia in era precristiana che in era cristiana, quando alcuni furono rivestiti di nuovi significati – sembra essere quello della rinascita. La vitalità, l’emersione dal freddo dell’oscurità e della morte, ben s’incarnano negli esseri viventi tutt’intorno a noi, specialmente nei più piccoli: l’uovo e il pulcino, i conigli, gli agnelli, gli uccelli.
L’agnello
Il piccolo della pecora, per la sua commovente innocenza, è il simbolo per eccellenza della creatura pura e candida. È da sempre l’immagine di Cristo. Simbolo di dolcezza, di semplicità, di innocenza, di purezza e di obbedienza, per il suo comportamento e per il suo colore bianco, l’agnello purtroppo in ogni tempo è stato considerato l’animale sacrificale per eccellenza. Dopo la profezia di Isaia, “Dio ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Lo si maltratta, e lui patisce e non apre bocca, simile all’agnello condotto al macello”, Giovanni il Battista dirà di Gesú che gli veniva incontro nella valle del Giordano: “Ecco l’agnello di Dio: ecco Colui che toglie i peccati del mondo”.
Il venerdì santo Gesù, come vittima espiatoria, prende su di sé i peccati dell’umanità ed assume il senso del sacrificio dell’agnello preparato per la pasqua ebraica e il ruolo salvifico del sangue con cui gli ebrei avevano contrassegnato le loro porte prima dello sterminio. Per questo suo patire, le più antiche immagini ce lo mostrano coricato e non in piedi.
Il simbolo però, rimanda anche al Cristo resuscitato e glorificato, come si legge più volte nell’Apocalisse. In questo caso, la docile bestia si afferma non solo come il purificatore del mondo, ma anche come il dominatore, e l’iconografia medievale ce la presenta con una croce che le trapassa il corpo da parte a parte e verso la quale la sua testa si rivolge con la bocca semiaperta ad invitare con le parole del Signore: “Venite a me che sono dolce e umile di cuore e troverete il riposo delle vostre anime”.
Per evitare confusione di culti e di credenze che avrebbero potuto sorgere per analogie di simboli (nel culto di Dioniso i fedeli sacrificavano un agnello per indurre il dio a tornare dagli inferi), il Concilio di Costantinopoli del 692 impose che l’arte cristiana rappresentasse il Cristo in Croce, non più sotto la forma dell’agnello affiancato dal sole e dalla luna, ma in forma umana.
La dinamica per cui si sacrifica, cioè si offre a una divinità, ciò che di più prezioso si possiede, è nota fin dall’antichità, ma oggi, essendosi tradotta in un rito commerciale, la mattanza di agnelli ha perduto ogni significato devozionale. Il sacrificio non era strage, era un’offerta. Oggi è una ghiottoneria abitudinaria e cruenta. “Chi ti ha creato e ordinato di nutrirti al ruscello e sul prato; chi ti diede quell’abito di gioia, soffice, lanoso, splendente; chi ti diede sì tenera voce, per far gioire le valli? Agnellino, chi ti fece? Agnellino, Dio ti benedica!” cantano i Canti dell’innocenza (1789) di William Blake.
La colomba
È il nome e il segno della prima Grande Madre della civiltà mediterranea che, nelle incisioni rupestri di Creta, era venerata come “dea colomba”. Per i Greci, era un uccello da cui trarre profezie. Nel bosco sacro di Dodona, in Epiro, le sacerdotesse interpretavano la loro voce intorno alla quercia sacra di Zeus come volere di dio. Tra gli animali sacri alla dea greca dell’amore, della bellezza, della fecondità, Afrodite, c’era la colomba.
Fin dagli albori del Cristianesimo la colomba, animale dalla natura dolce e mite, è stato un simbolo di purezza e innocenza, che ha poi rappresentato l’intervento divino in alcuni episodi. Come simbolo di mitezza è usata in vari episodi biblici. Per gli ebrei Giona (Yohnàh, “colombo”) era ed è un nome maschile comune. Nel Cantico dei Cantici “mia colomba” è un appellativo affettuoso rivolto alla Sulamita dal pastore innamorato e gli occhi dolci di una ragazza sono paragonati a occhi di colomba.
Come simbolo di volontà divina è pure citata in alcuni passi della Bibbia. Al tempo del Diluvio fu l’animale che riportò a Noè il rametto d’ulivo, promessa di pace e salvezza. C’è un gesto nobile e dolcissimo che a volte sfugge: “Egli stese la mano, la prese e la fece rientrare” (8,9), gesto di bontà, di cura e di accoglienza verso un animale che porta speranza. Nel Nuovo Testamento, in Matteo 3,16, una colomba viene vista scendere dal cielo da Giovanni Battista durante il Battesimo di Cristo. Per questo inizialmente l’animale venne associato al battesimo (come in Tertulliano o in rappresentazioni artistiche del IV secolo).
Nei codici miniati del V e VI secolo la colomba si era però già slegata dal significato unicamente legato al battesimo, per assumere il ruolo di simbolo dello Spirito Santo, in episodi come l’Annunciazione o le raffigurazioni della Trinità.
Per gli alchimisti era lo Spirito che sorge dalla Materia grezza.
Ai giorni nostri, è simbolo universale di pace: uno stupendo disegno di Picasso la immortala come tale.
Il coniglio
Simbolo di fecondità, probabilmente per la sua prolificità. Sacro a Afrodite, fu poi associato anche a Venere.
Il coniglio è anche l’emblema di tutte le bestiole perseguitate dai cacciatori: proprio perché preda abbastanza facile e comune, i santi irlandesi e delle Ebridi li proteggevano. I leprotti correvano anche a rifugiarsi sotto la tunica di S. Giuseppe di Cupertino per sfuggire ai cani e ai cacciatori, che così rimanevano disorientati (nel XVII secolo S. Giuseppe era una celebrità nel Salento).
L’ulivo
La storia dell’ulivo nell’immaginario culturale europeo e Mediterraneo è antichissima. Sinonimo di longevità, sapienza, fertilità e resistenza alle ingiurie del tempo e delle guerre, è simbolo di pace e valore.
Rappresentava nella mitologia, come poi nella religione, un bastione di forza, di longevità e di purificazione. È l’albero sacro alla dea Atena, il cui culto nell’area Egea risale probabilmente a epoche preistoriche.
La tradizione pone di fronte all’antica Gerusalemme un monte degli ulivi e la bellezza di questa pianta è cantata spesso nell’Antico Testamento, citata almeno settanta volte ed esaltata nel libro del profeta Osea dove il Dio d’Israele è paragonato alla magnificenza dell’olivo.
Nell’antica Grecia agli Ateniesi vincitori venivano offerti una corona di ramoscelli d’ulivo e un’ampolla d’olio; anche gli antichi Romani ne intrecciavano rami per farne corone con le quali premiare i cittadini più valorosi. Nella tradizione cristiana, da secoli, viene usato olio d’oliva per la celebrazione di alcuni sacramenti: Cresima, ordinamento sacerdotale, Estrema Unzione. Ed è un rametto di olivo benedetto che viene distribuito a tutti i fedeli la Domenica delle Palme, in ricordo della resurrezione e come simbolo pace.
L’uovo
È la perfetta raffigurazione, tra tutti gli elementi naturali, del racchiudere, del proteggere. Ha rappresentato, nella storia, mistero, magia, medicina, nutrimento, presagio.
Nell’antichità, disegni ovoidali erano usati durante molti riti primaverili. I Romani, I Galli, i Cinesi ritenevano l’ovale la raffigurazione dell’universo. I Persiani si scambiavano questo dono quale segno di benvenuto alla primavera, celebrata con riti per la fecondità e il rinnovamento della natura. Secondo il poema epico finnico Kalevala il cosmo intero è nato dalle uova di un’anatra primordiale, e il sole dal tuorlo: “Dalla parte inferiore delle uova prese forma la Terra, madre di tutte le creature viventi. Dalla parte superiore sorse il cielo sublime. Il tuorlo di un uovo divenne il giallo sole raggiante, e l’albume la luna”. Un detto romano era “Omne vivum ex ovo”, un’epoca in cui seppellivano un uovo nei loro campi per propiziare un buon raccolto, mentre le giovani donne credevano di poterlo usare per predire il sesso del loro bambino. In era cristiana il simbolismo dell’uovo è virato, andando a rappresentare non più la rinascita della natura, ma la resurrezione dell’uomo, ed è stato adottato come simbolo della Pasqua. Ancora una volta è simbolo di rinascita ma questa volta della resurrezione di Cristo: il guscio rappresenta infatti la tomba dalla quale Gesù uscì vivo.
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