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Anche Singapore vuole il bilancio di sostenibilità
A partire dall’anno fiscale che termina il 31 dicembre 2017, anche a Singapore le imprese saranno obbligate a pubblicare un bilancio di sostenibilità. Dovranno quindi descrivere i fattori ambientali, sociali e di governance che influiscono sulle loro attività, annunciare le politiche con cui intendono affrontarli, relazionare sui risultati raggiunti e stabilire degli obiettivi per il
A partire dall’anno fiscale che termina il 31 dicembre 2017, anche a Singapore le imprese saranno obbligate a pubblicare un bilancio di sostenibilità. Dovranno quindi descrivere i fattori ambientali, sociali e di governance che influiscono sulle loro attività, annunciare le politiche con cui intendono affrontarli, relazionare sui risultati raggiunti e stabilire degli obiettivi per il futuro. La decisione è stata ufficializzata dopo una consultazione pubblica lanciata a gennaio. Le aziende avranno fino a dodici mesi di tempo per pubblicare i loro primi report; un periodo-cuscinetto che è stato ampliato rispetto alle ipotesi iniziali, soprattutto per venire incontro alle società più piccole che si troveranno ad affrontare un’attività radicalmente nuova.
In Asia la responsabilità d’impresa fa passi avanti
Finora in Asia il bilancio di sostenibilità è stato presentato solo su scala volontaria, con risultati altalenanti. Uno studio condotto del Singapore Compact for Corporate Social Responsibility e della Business School dell’università di Singapore rivela infatti che, alla fine del 2013, soltanto 160 delle 537 più importanti società quotate avevano scelto di relazionare sulle proprie politiche ambientali, sociali e di governance. Ma questi temi anno dopo anno attirano sempre di più l’attenzione degli investitori istituzionali: nove su dieci – rivela un’indagine della Borsa di Singapore – li prendono in esame per decidere come allocare i propri capitali. Non a caso, circa un mese fa la Borsa dello Stato asiatico ha lanciato quattro nuovi indici di sostenibilità.
Il bilancio di sostenibilità in Europa
La capitale finanziaria dell’Asia arriva in ritardo di parecchi mesi rispetto all’Unione Europea, che già con la direttiva 2014/05/UE ha introdotto per le società con più di cinquecento dipendenti l’obbligo di rendicontare una serie di informazioni non finanziarie. La regola scelta dalle autorità comunitarie è quella del “comply or explain” (letteralmente, “rispetta o spiega”). Le aziende, quindi, dovranno rendere note le politiche che hanno adottato per ridurre il proprio impatto ambientale, contrastare le corruzione, garantire l’equa rappresentanza di genere e così via. Oppure, dovranno spiegare il motivo per cui non hanno fatto nulla al riguardo.
Visto che, come tutti gli altri Stati membri, dovremo recepire la direttiva europea già entro la fine di quest’anno, il ministero dello Sviluppo Economico e quello dell’Economia hanno lanciato negli scorsi mesi una consultazione pubblica, che è stata aperta fino all’inizio di giugno.
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