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Secondo il Wwf almeno 114 dei 229 siti Unesco presenti al mondo sono a rischio a causa di estrazioni petrolifere, sfruttamento illegale delle foreste e creazione di grandi infrastrutture.
La grande barriera corallina australiana, con la sua variopinta biodiversità, le foreste pluviali del Madagascar, nelle quali risuonano le grida dei lemuri, le riserve faunistiche della Tanzania e il santuario del panda gigante di Szechuan, in Cina, questi e molti altri tesori naturali e culturali sono a rischio a causa delle attività economiche umane.
È quanto emerge dal rapporto “Proteggere gli uomini salvaguardando la natura” realizzato dal Wwf, secondo il quale su 229 siti dichiarati patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco, 114 sono compromessi da attività nocive di origine antropica. In particolare l’esplorazione petrolifera e il disboscamento illegale minacciano di distruggere i preziosi habitat, compromettendone, oltre la ricchezza biologica, anche l’elevato valore economico.
Secondo il Wwf il degrado di queste aree comprometterebbe infatti i benefici economici che sono in grado di generare e di cui godono attualmente circa undici milioni di persone che hanno a che fare, a diverso titolo, con queste località. “Queste aree contribuiscono alla nostra economia attraverso il turismo e le risorse naturali, fornendo mezzi di sussistenza a milioni di persone”, ha dichiarato David Nussbaum, direttore generale di Wwf-Uk.
Per esemplificare l’impatto negativo dell’uomo l’organizzazione per la conservazione della natura ha evidenziato il caso della barriera corallina del Belize. La costruzione di edifici lungo la costa ha danneggiato le foreste di mangrovie, che forniscono il principale riparo contro le tempeste e l’erosione del suolo, influenzando così la vita di 190mila persone, circa la metà della popolazione dello stato.
Il Wwf ricorda infine che l’inserimento di un sito nella lista Unesco non comporta automaticamente la sua tutela, invita pertanto i governi a proteggere le proprie risorse naturali, vietando attività industriali nocive all’interno delle aree maggiormente a rischio.
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